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Cambiamenti climatici: la foresta amazzonica non assorbe abbastanza CO2,anzi, ne produce

 

Cambiamenti climatici: la foresta amazzonica non assorbe abbastanza CO2,anzi, ne produce

causa la precoce mortalita’ degli alberi !

Scritto da Germana Carillo

 

 

Amazzonia senza fiato. Il "polmone verde della Terra" non ce la fa e fatica ad assorbire anidride carbonica.

La causa? La precoce mortalità degli alberi con la conseguenza, ovvio, che tutti i modelli climatici che fanno proiezioni in base all'assorbimento delle foreste tropicali dovranno essere rivisti. (vi ricordate cosa aveva detto il mio Albero Maestro? Cadremo tutti come birilli!)

Tutto ciò emerge da uno studio condotto su questa foresta tropicale da Terra, cioè senza osservazioni satellitari, e descritto in un articolo apparso su Nature da un team inglese dell'Università di Leeds, coordinato da Roel Brienen.

Già una precedente analisi aveva evidenziato il fatto che in meno di un decennio l'Amazzonia ha rilasciato più anidride carbonica di quanta ne abbia assorbita. Oggi, il dato che deve far riflettere è che la capacità della foresta Amazzonica di assorbire CO2 è in riduzione costante e ora è del 30% più bassa rispetto alla capacità registrata negli anni '90.

Per calcolare queste variazioni, i ricercatori hanno esaminato 321 lotti di foresta nei complessivi sei milioni di chilometri quadri dell'Amazzonia, identificando 189 mila alberi e misurandone il tasso di nascita, di crescita e di morte a partire dagli anni ottanta.

"La mortalità degli alberi è incrementata di più di un terzo a partire dalla metà degli anni ottanta, e sta peggiorando e questo fenomeno sta influenzando la capacità dell'Amazzonia di stoccare il carbonio", ha dichiarato Brienen.

Quello che caratterizza le foreste tropicali è il loro ruolo nel mantenimento della salute della Terra: loro sono in grado di assorbire e immagazzinare l'anidride carbonica immessa dall'uomo (uso di combustibili fossili in primis) nell'atmosfera. Queste foreste rendono conto di circa la metà di tutta la CO2 assorbita annualmente dalla biosfera, capacità che si ripercuote sul clima del pianeta, dal momento che l'anidride carbonica è il principale gas serra responsabile del riscaldamento globale.

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…e ora le scie chimiche…..che ne distruggono le radici….

Gli studiosi hanno ora concluso che questo dato allarmante sarebbe causato da una più alta mortalità di alberi nelle zone vergini della foresta e da una stabilizzazione nella capacità di assorbimento delle nuove piante. Questo a causa della accresciuta variabilità stagionale del clima amazzonico e del fatto che maggiori quantità di CO2 in atmosfera anziché favorire lo sviluppo vegetativo degli alberi ne starebbero accelerando la morte.

"Se questa tendenza si conferma nel corso degli anni allora dobbiamo preoccuparci perché significa che l'aiuto che ci ha dato sin qui la natura prima o poi si fermerà e quindi dovremo realizzare riduzioni di ogni tipo di emissioni nocive se vogliamo tenere i cambiamenti climatici sotto controllo", ha concluso Roel Brienen.

Germana Carillo

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Amazzonia: il polmone verde non assorbe più CO2, anzi contribuisce a produrne

 

 

http://www.greenme.it/informarsi/ambiente/16023-amazzonia-anidride-carbonica

 

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FEBBRE ? Quello che devi sapere sulla Febbre

Quello che devi sapere sulla Febbre

 

A cura del dott. Francesco Perugini Billi –

E’ incredibile quanta paura è capace di scatenare nelle persone la febbre. Ad essere colpiti da vero panico sono soprattutto i genitori e segnatamente le mamme, sempre troppo apprensive riguardo la salute dei propri piccoli.

 

 

Il terrore per la febbre è uno dei motivi per cui d’inverno letteralmente si intasano i Pronto Soccorso. Fiumane di persone che si precipitano in ospedale per 38-39°C di febbre, terrorizzate dalle conseguenze di qualche pandemia del momento.

 

Ma la febbre è una reazione biologicamente opportuna attraverso la quale il corpo reagisce verso aggressioni microbiche e tossiche. Il rialzo della temperatura mette nelle condizioni il sistema immunitario di reagire al meglio verso la malattia. Vediamo in sintesi le importanti funzioni della febbre (1).

nella febbre l’innalzamento della temperatura corporea fa seguito all’innalzamento del set-point ipotalamico, cioè di quel livello della temperatura corporea che l’ipotalamo fissa come normale e per il quale mantiene in equilibrio i processi di termogenesi e di termolisi;

la febbre è causata dalla liberazione di alcune interleuchine, prodotte dai macrofagi, eccitati dagli stimoli estranei all’organismo (infezioni, tossine, proteine estranee), che a loro volta stimolano la secrezione di prostaglandine E2, essenziali per determinare l’insorgenza della febbre;

gli antipiretici inibiscono la sintesi di queste prostaglandine (quindi impediscono al sistema nervoso di “percepire” l’avviso che arriva dal sangue: in senso antropologico non si forma la percezione di un’esperienza e quindi il ricordo di essa, esattamente quello che accade a livello immunologico);

la febbre ostacola la proliferazione di batteri e virus che non possono sopravvivere a temperature di 38-39°C;

in corso di infezioni batteriche gravi, la sopravvivenza appare inferiore nei soggetti con scarsa reazione febbrile. Uno studio prospettico eseguito in Nuova Guinea su 748 bambini con malnutrizione e polmonite ha dimostrato che la mortalità è più bassa nei bambini febbrili rispetto a quelli senza febbre;

la febbre aumenta la resistenza dell’ospite alle infezioni;

la febbre è un fattore protettivo verso lo sviluppo di allergie: nei primi anni di vita può contribuire ad orientare la risposta immunologica in senso Th1 (reazione verso i microbi) riducendo la comparsa di allergie negli anni successivi. (Oggi giorno, ci sono bambini letteralmente “allevati” ad antibiotici, nessuna meraviglia che le allergie, “intolleranze”, irritabilità del colon, sindromi da sensitività al glutine siano in aumento – nota di FPB);

la febbre è un fattore di protezione dai danni cognitivi a lungo termine in caso di malaria cerebrale (paradossale! Proprio i danni cerebrali come conseguenze cognitive, temuti come complicazione della febbre, vengono evitati se c’è reazione febbrile);

la febbre aumenta il consumo di O2 e la produzione di CO2, aumenta la gittata cardiaca, il catabolismo azotato, e il fabbisogno calorico: richiede quindi attenzione in malati che hanno ridotte riserve cardiocircolatorie e renali;

la terapia con antipiretici è in grado di ridurre i costi metabolici della febbre, è quindi certamente utile nei bambini o negli anziani severamente ammalati o con malattie croniche cardiopolmonari;

la febbre è una risposta fisiologica “regolata” dal termostato ipotalamico e, per tale motivo, solo raramente supera la temperatura di 41°C: “E’ dannosa solo oltre i 41°C, ma questo valore è di solito causato da insulti cerebrali o colpi di calore e in tali casi non è responsiva al paracetamolo o all’ aspirina”;

uno studio eseguito in Pronto Soccorso pediatrico evidenzia come una temperatura uguale o superiore a 41°C è stata registrata solo 100 volte in un periodo di 8 anni, con una incidenza di 1:2100 rilevazioni;

che la febbre elevata possa determinare danni ai tessuti è un timore diffuso, ma mai dimostrato;

l’insorgenza di convulsioni febbrili è la complicanza più frequente; peraltro non è correlata al valore elevato della temperatura e, benché sia un evenienza temuta, non ci sono evidenze a sostegno che le convulsioni febbrili possano causare danni cerebrali o successivi deficit cognitivi;

gli antipiretici non sembrano avere un ruolo nel prevenire le recidive delle convulsioni febbrili. (In omeopatia, classicamente la prevenzione viene fatta con appropriate diluizioni di Belladonna – FPB);

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non esiste un motivo urgente che imponga il trattamento di tutti gli stati febbrili, né la necessità di riportare sempre la temperatura corporea a livelli normali;

esistono poche evidenze a sostegno che la terapia farmacologica sia effettivamente in grado di contrastare la febbre o i sintomi sgradevoli che la accompagnano; la terapia antipiretica può avere un effetto negativo, forse alterando la risposta immune dell’ospite, prolungando la escrezione virale e addirittura aumentando la mortalità nelle infezioni gravi.

 

Febbre e purificazione

Il nostro organismo produce la febbre non solo come risposta alle aggressioni microbiche, ma anche per sbarazzarsi dalle tossine accumulate, in seguito ad una alimentazione eccessiva o inappropriata, a periodi di stress e strapazzo psicofisico, sedentarietà, sovrappeso, ritenzione di cataboliti, ecc. Il processo febbrile ha un’azione combustiva, dissipante, sciogliente e distruttiva sulle “tossine” accumulate e che indugiano nel nostro organismo sempre come un corpo estraneo dalle qualità fredde, collose, dense e pesanti (pensate al catarro, per esempio);

 

non per niente nella medicina Tradizionale si parla di queste tossine come qualcosa di “crudo” che deve essere appunto “cotto” per essere risolto. Non per niente il termine febbre deriva da Febrvvs/Febris, la Dea Romana della febbre, associata alla purificazione (purificarsi-pirificarsi, da greco PYR = fuoco, a sua volta derivato dal sanscrito PÛ = purificare). Alla Dea Febrva è dedicato il mese di Febbraio, in cui si compiono i rituali di purificazione, “di pvrgamentvm: la Dea Febris libera anima e corpo dal male, dal morbvs, operando su colui che deve purificarsi (pirificarsi) per rinascere, che deve togliere le scorie dall’anima”. Sì, perché contrariamente alla visione moderna, la vera medicina è quella che agisce sull’anima e non solo sul corpo/materia.

 

Quindi, qualche episodio di febbre all’anno, se ben sfruttato, può essere una straordinaria occasione per purificare il proprio organismo…e non solo. Certamente, dopo quanto si è detto, trovo quantomeno inopportuno l’atteggiamento di molti medici, e soprattutto dei pediatri, di somministrare gli antipiretici ogni 6 ore per mantenere sempre bassa la febbre.

 

Febbre e tumori

Abbiamo detto che la febbre mette i tessuti e tutto l’organismo nelle condizioni di reagire nel modo migliore possibile. Infatti, gli enzimi e molte altre sostanze di difesa prodotte dalle cellule funzionano solo in un ambiente acido e caldo. Ma c’è di più: mentre il nostro corpo reagisce verso un’ infezione, contemporaneamente produce anche fattori antitumorali.

“Raffreddare” in modo intempestivo l’organismo con farmaci antipiretici, antinfiammatori e antibiotici potrebbe non essere sempre una buona idea. Sulle lunghe, questo processo di calore non adeguatamente espresso potrebbe dar via a malattie più “fredde”, striscianti, poco sintomatiche, almeno inizialmente, come lo sono le malattie degenerative, sclerotiche e tumorali.

 

Bibliografia

 

1) Calvani e Pizzoli, La gestione della febbre nel bambino: istruzioni per l’uso. Area Pediatrica, Ed Masson citato in Zavattaro E. Febbre: quando la paura fa 40!. Forum di Medicina, novembre 2010, Weleda, Milano.

2) Viola L.M. Tempvs Sacrvm, Introduzione alla Pratica Operativa del Calendario Romano Italiano. 2003, Ed Victrix.

3) Perugini Billi F, Febbre e tumore

 

Francesco Perugini Billi © copyright – vietata la riproduzione senza esplicito permesso dell’Autore.

 

DA: dottorperuginibilli.it

 

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RITMI E NOTE MUSICALI CORRETTI PER ATTIVARE I CHAKRA - CURARE CON IL SUONO

INTERESSANTE SAPERE:

Primo Chakra: collegato all'energia vitale. Governa il plesso sacrale e il coccige. Strumento: tamburo, batteria. Musiche corrispondenti: ritmi tribali.

Secondo Chakra: è il chakra della sessualità. Colore arancione. Governa i genitali. E' stimolato da musiche che implicano movimenti del bacino tipo le danze sudamericane.

Terzo Chakra: è il centro della forza di volontà e dell'autoaffermazione Organi governati: il plesso solare. Strumento: pianoforte, violino, chitarra. Ritmi corrispondenti: brani solenni di musica classica o rock dal ritmo incalzante..

Quarto Chakra: è il chakra del cuore e del sentimento. Strumento: la voce.

Quinto Chakra: è il chakra della gola, della parola, della comunicazione.. Strumento: la voce. Lo alimentano le musiche universali di Mozart.

Sesto Chakra: corrisponde alla mente, all'intuizione, alla chiaroveggenza. A livello fisico governa l'ipofisi. Strumento: tamburi, campane tibetane. Lo stimolano musiche da meditazione come canto gregoriano, canto indiano, Bach, free jazz.

Settimo Chakra: Strumento: arpa. La sua musica è il silenzio.

ABBIAMO SCELTO LE CAMPANE TIBETANE DEI CHAKRA PERCHE' "RIATTIVANO" TUTTI I CHAKRA, LI RIEQUILIBRANO E LI ARMONIZZANO

Ognuno di noi, secondo Vemu Mukunda, vibra come uno strumento musicale risuonando in base ad una delle 12 possibilità della scala cromatica: le 7 note base più le altre 5 note alterate o diesis. Possono risuonare in un punto qualsiasi delle tre ottave sonore in cui è diviso il corpo umano e cioè nell'ottava bassa, dall'alluce all'ombelico, nell'ottava media, dall'ombelico alle sopracciglia (il terzo occhio) e infine nell'ottava alta, dal terzo occhio al centro del capo (fontanelle). A ciascuna di esse corrisponde un tipo di personalità.

Tipo SOL: è la nota cosmica, della spiritualità. Chi appartiene a questa categoria è una persona tranquilla, armoniosa. Il suo compito: indicare la via verso l'infinito.

Tipo SOL DIESIS: freddo, cerebrale è diviso tra desiderio di concretezza e la spinta verso l'alto. Il suo compito: mediare tra energie spirituali e terrene.

Tipo LA: attivo, dotato di senso pratico e capacità organizzative, ha la stoffa del LEADER. Il suo compito: trovare lo spirituale nella quotidianità.

Tipo LA DIESIS: solitario, ambizioso desidera affermarsi attraverso lo studio e la ricerca. Il suo compito: ricercare per il bene dell'umanità.

Tipo SI: egocentrico, bugiardo anche con se stesso, a volte geniale, tende a prevaricare per desiderio di autoaffermazione. Il suo compito: imparare a essere più umile e più sincero con se stesso e con gli altri.

Tipo DO: generoso, idealista, compassionevole, armonioso. Il suo compito: ricordare che il Cielo può esistere anche sulla Terra.

Tipo DO DIESIS: artista e sognatore, auspica il ritorno a una vita semplice, naturale. Il suo compito: trasferire sul piano del reale i sogni più belli e le aspettative migliori del genere umano.

Tipo RE: concreto, stabile, consapevole dei suoi limiti e dei suoi pregi. Il suo compito: riconciliarci con la Terra che abitiamo.

Tipo RE DIESIS: dinamico, curioso, ma anche invadente. Il suo compito: seminare il dubbio, smuovere gli immobilismi.

Tipo MI: personalità forte, dominatrice fino alla prepotenza. Il suo compito: ridimensionare il suo Ego smisurato.

Tipo FA: intuitivo, può essere un sensitivo naturale. Il suo compito: mediare tra il rumore della quotidianità e il silenzio della preghiera e della meditazione.

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Tipo FA DIESIS: socievole, amante della vita all'aria aperta, creativo in qualunque campo. Il suo compito: creare qualcosa di nuovo per l'umanità.

Curare con IL SUONO:

Questo lavoro di scoperta del proprio strumento interiore ha effetti benefici anche sulla salute. Infatti, facendo vibrare i chakra secondo frequenze particolari, si stimolano gli organi e le funzioni corrispondenti, risvegliandone le energie.

Non è certo facile trovare la vibrazione giusta per curare una certa zona del corpo perché bisogna individuarne con esattezza timbro, altezza e durata.

Il canto carnatico è una musica che si modula sull'onda dell'espirazione, con effetti molto profondi a livello psichico ed emotivo. Non si basa sul nostro sistema musicale ma sulle 72 raga, che sono le scale indiane. I raga (in sanscrito significa colore, tono musicale) sono alla base dei canti sacri legati ai vari momenti della giornata.

Il potere curativo del suono era noto in tutto il mondo antico. Del resto il corpo umano è stato il modello per molti strumenti musicali, con tanto di manico (spina dorsale), cassa armonica (gabbia toracica) e corde (vocali).

Ogni giorno accumuliamo energie emozionali sia positive che negative e queste possono rimanere bloccate a livello dei Nadi.

Questi blocchi emozionali, anche se a livello inconscio, danno origine a disarmonie mentali e fisiche.

I 22 Nadi sono correlati a note musicali chiamate Shruti.

Se le energie emozionali, bloccate in tali punti, possono essere raggiunte per mezzo di un attento uso delle note, allora le persone affette da turbe psichiche potranno convertire le energie emozionali disarmoniache in energie di serenita' ed avvicinarsi alla comprensione delle cause dei loro problemi e a liberarsene, se l'anima e' pronta

Ognuno di noi possiede la propria nota base o tonica, che è la manifestazione sonora della nostra essenza profonda, che può essere determinata partendo dal suono della voce, mediante un particolare metodo di rilevazione.

Lavorando sui punti di energia emozionale bloccata è possibile influenzare i processi fisiologici e aiutare la mente a sciogliere le sue complessità.

Secondo il Nada Yoga è importante individuare la nota, l'intervallo e la scala musicale adatti ad esercitare un'azione corretta. Ci sarà infatti una certa nota che, inserita in una determinata combinazione di altre note e intervalli, sarà in grado di armonizzare un determinato chakra e sciogliere le tensioni nella relativa zona. Come le note possono essere bemolle o diesis, cioè avere un aspetto debole e uno forte, analogamente i chakra possono essere ipertonici o ipotonici. Bisognerà distinguere se sia preferibile dare un rinforzo attraverso un suono forte oppure agire omeopaticamente con un suono che rappresenti in forma musicale il problema energetico dell'individuo

I Raga indiani furono concepiti proprio sulla base di questi principi, per cercare di sfruttare tutte le possibili combinazioni di note ed intervalli allo scopo di armonizzare le energie psico-emozionali dell'essere umano. E' nota infatti la connessione tra i Raga, le note che li compongono e le emozioni. Ogni scala modale è ritenuta in grado di esprimere ed elaborare una determinata tipologia di emozione (Rasa) tramite differenti combinazioni di note e intervalli, con una nota "tonica" di base fissa.

Questi microtoni sono chiamati "Shruti", che significa "ciò che risuona", e il loro numero è stabilito in 22. Essi formano la scala su cui si posizionano le sette note della gamma per formare i differenti modi o "raga".

E' importante osservare come aspetti "omeopatici" e "compensativi" siano presenti nei Raga. I Raga sono suoni mantrici non legati a fattori culturali come nel caso dei Mantra tratti da linguaggi verbali, bensì sono universali come lo è la musica.

Esiste un testo vedico molto antico completamente dedicato alla musica e alla scienza dei suoni, il Gandharva Veda, di cui è giunto fino ai nostri giorni soltanto l'indice

Nel Gandharva Veda furono riuniti un gran numero di testi che si riferivano anche ad applicazioni artistiche, magiche e terapeutiche dei fenomeni sonori.

 

 

http://www.amadeux.it/forum/topic.asp?TOPIC_ID=17111

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La luce e gli universi multidimensionali

La luce e gli universi multidimensionali

La luce è associata all'impalpabilità, all'evanescenza, a qualcosa che non si può toccare. Ma la fisica moderna ha dimostrato che la luce ha due nature differenti e coesistenti, una corpuscolare e una ondulatori. Essa è contemporaneamente frequenza e elemento tangibile

La luce è evanescente, magica, evocativa di uno stato spirituale.

La luce: questo termine può evocare in noi tante cose, alcune molto tangibili come l’illuminazione ed altre metaforiche, quali la luce interiore, i giorni luminosi, la bellezza della vita, la poesia. La luce dona benessere ed energia, innesca nelle piante la fotosintesi clorofilliana, permettendo loro di trasformare l’anidride carbonica in ossigeno. Sempre e comunque non priva di fascino, conoscerla anche sotto l’aspetto scientifico non contrasta in alcun modo con la poesia che essa può donare, anzi, forse è proprio questo che ci permette di apprezzarla maggiormente e di volare verso il suo indubbio fascino e la sua profonda armonia.

 

 

Luce e suono: universi complementari ma molto diversi

 

 

La prima cosa che possiamo pensare, quando parliamo di luce, è quella di associarla al suono: la vista e l’udito, vissuti spesso come qualcosa che non si può disgiungere, sono, infatti, i primi dei cinque sensi. Se ad esempio guardiamo un film, percepiamo simultaneamente immagini e suono e così pure se osserviamo la natura. Quando vediamo una persona questa ha per noi un volto ed una voce e ci viene spontaneo collegare l’elemento visivo – dato dalla luce – con quello uditivo, dato dal suono. Se però andiamo a vedere questo da un punto di vista scientifico, abbiamo subito un elemento di divergenza, non così banale.

 

 

 

 

Per comprendere questa differenza, basta vedere un lampo durante un temporale: vediamo il lampo immediatamente, ma il suono giunge dopo e questo ci dice subito che la luce è più veloce e arriva prima. Il suono è più lento, si propaga meglio in un mezzo più denso e non viaggia nel vuoto (non a caso, il nostro orecchio interno contiene un liquido ed i pesci di profondità possono inviare suoni a chilometri di distanza, mentre la luce viaggia molto meglio nel vuoto. Se per il suono il mezzo e la sua densità sono un aiuto, per la luce tutto ciò rappresenta un ostacolo.

 

Date queste premesse, nasce spontanea una considerazione metafisica: la luce ha natura autonoma ed indipendente, mentre il suono deve legarsi ad un mezzo per potersi propagare e da solo non può nulla. Infatti, con un approccio più scientifico, il suono appartiene al tipo di onde meccaniche, mentre la luce ad un tipo elettromagnetico: le prime hanno, appunto, bisogno di un mezzo per propagarsi, le seconde non hanno bisogno di nulla.

L’altra caratteristica delle onde elettromagnetiche è la velocità che, nel caso della luce, ci porta quasi a credere la sua velocità di trasmissione infinita, quasi in tempo reale.

 

 

Velocità della luce: limite invalicabile?

In passato si credeva che la luce avesse velocità infinita, visto che i fenomeni luminosi avvenivano in maniera di fatto “immediata”: il lampo appariva subito e la luce sembrava propagarsi istantaneamente.

 

Oggi, questa velocità è ben definita. Il suo valore fu indicato per la prima volta dal fisico tedesco Paul Drude con la costante di 300.000 km/sec e, anche se ci appare come una velocità molto elevata (basti pensare che, in un secondo può compiere sette volte e mezzo il giro della terra) per le distanze che si ritrovano nell’Universo questo è ben poca cosa e del tutto insufficiente a compiere viaggi siderali.

 

La velocità della luce ha una caratteristica ben precisa: non è legata ad alcun mezzo di riferimento o, meglio, è la stessa qualsiasi sia il punto di osservazione. Facciamo un esempio per chiarire questo enunciato: se viaggiamo su un treno che si muove a 100 all’ora e camminiamo a 5 km/h nella direzione del moto lungo un corridoio del treno, un osservatore posto a terra ci vedrà spostarci a 105 km/h.

 

A questo punto ci aspetteremmo che per la luce valesse lo stesso principio, invece questo non accade: la sua velocità è sempre costante, anche procedendo con misurazioni molto accurate, ed appare non superabile.

 

La dimostrazione di ciò deriva dalla Teoria della Relatività, elaborata da Albert Einstein, che si esplica in equazioni che studiano i comportamenti di massa ed energia (ma anche di spazio e tempo) al variare della velocità.

 

 

 

Einstein aveva dimostrato che anche elementi che definiamo come “di stato”, vale a dire indipendenti dal moto e costanti, come appunto la massa, sono invece funzioni della velocità. Secondo la relatività, quindi, se ci si avvicina alla velocità della luce la massa tende all’infinito e un corpo avrebbe massa infinita. Se superiamo questo limite, le equazioni date da Einstein perdono di significato, almeno secondo le condizioni che il fisico aveva posto.

 

Se questo fosse vero a tutti gli effetti, sempre e comunque, avremmo definito che le stelle lontane non sono da noi raggiungibili per ora e per sempre e l’uomo, finché sarà su questo pianeta, dovrà accontentarsi di osservarle con il telescopio. Magari con telescopi sempre più potenti, ma senza nessuna possibilità di andare, materialmente, su questi mondi lontani.

 

Dicevo “se fosse così”, perché in realtà il modello di universo che abbiamo nella mente non è esattamente quello dell’Universo (Multiverso) che oggi si comincia supporre e, con un modello differente, la velocità potrebbe non essere più un ostacolo. Se, ad esempio, l’universo avesse più di tre dimensioni, non sarebbe un problema “tagliare” tra le dimensioni compiendo distanze più brevi di quelle tridimensionali e superare quindi il limite della velocità. Si potrebbe attraversare la galassia in cui viviamo anche alla velocità che possiamo raggiungere camminando a passo tranquillo. Il problema, quindi, non appare più nei termini di distanza, ma di concezione dell’universo e della sua struttura.

 

Le due nature della luce e la delocalizzazione della materia

La luce è associata all’impalpabilità, all’evanescenza, a qualcosa, insomma, che non si può toccare. Ma è davvero così? La fisica oggi ha dimostrato che la luce ha due nature differenti e coesistenti: quella corpuscolare e quella ondulatoria che, tradotto in parole comuni ci mostra come essa sia contemporaneamente onda e corpuscolo: quindi è frequenza e anche elemento tangibile.

 

 

 

Il dualismo onda–corpuscolo della luce appare una contraddizione di termini. Il modello corpuscolare della luce fu definito da Newton, che ne aveva postulato l’essenza come costituita da corpuscoli emanati in tutte le direzioni. E già ne aveva parlato Alhazen, uno scienziato iracheno il cui libro fu tradotto nel 1270 dal monaco polacco Vitellone.

Ma lasciava tuttavia qualche punto oscuro nella definizione dei colori. Noi conosciamo i sette colori dell’iride.

 

 

Netwon, inizialmente, ne indicò cinque: rosso, giallo, verde, blu e violetto; ed in seguito introdusse anche l’arancione e l’indaco. Questi sette colori, fondendosi assieme, danno il bianco mentre il nero è assenza di tutti i colori. Secondo il modello newtoniano, quindi, vi sono corpuscoli ben definiti per ogni colore; l’insieme di questi corpuscoli colorati fornisce il colore bianco. Non sempre, però, questo modello spiega come poi i corpuscoli si possano separare, come nel caso dell’arcobaleno.

 

 

Il modello ondulatorio, che invece vede la luce come insieme di onde deriva dagli studi di Christiaan Huygens e fu elaborato nel 1678; ancora non si aveva il concetto di onda elettromagnetica, quindi Huygens suppose che la luce – che al pari delle onde meccaniche doveva avere bisogno di un mezzo per propagarsi – si diffondesse in un mezzo detto etere.

 

Questa teoria spiegò meglio fenomeni come l’interferenza e la diffrazione (fenomeno che si verifica ogniqualvolta la luce incontra un ostacolo dove è posto un foro e da questo fuoriesce in onde sferiche, come se provenisse da una sorgente posta all’interno del foro stesso).

 

La presa di coscienza della natura elettromagnetica della luce è un percorso che ha richiesto molto tempo. Anche se i primi campi magnetici furono studiati addirittura da Talete di Mileto, nel 550 a.C., è solo dal secolo XVII che si cominciarono a studiare tali fenomeni.

 

Per quanto riguarda l’associazione della luce con le onde elettromagnetiche, questa è dovuta al fisico scozzese James Clerk Maxwell che, nel 1864, scrisse A Dynamical Theory of the Electromagnetic Field (1).

 

La fusione tra i modelli corpuscolari ed ondulatori è dovuta ad Einstein che dimostrò che la luce, oltre ad essere composta da onde, è composta anche da particelle di energia, dette fotoni o “quanti di luce” che sono, da un punto di vista fisico, particelle elementari della famiglia dei bosoni. Secondo Einstein e Planck, il fotone è una struttura indivisibile, che porta in sé le caratteristiche sia ondulatorie che particellari

 

 

 

Le implicazioni di tutto ciò sono davvero notevoli. Se la luce è onda e corpuscolo nello stesso tempo, è anche soggetta a quanto la fisica moderna afferma sulla localizzazione di una particella e non ha una traiettoria definita.

Se matematicamente si cerca di esprimere questa traiettoria, si ottiene semplicemente una probabilità di trovare la particella in una certa regione dello spazio. Questa impossibilità di una particella di occupare una posizione definita fu espressa da Heisenberg nel 1927 nel suo famoso “principio di indeterminazione”.

Non abbiamo, quindi, un qualcosa di definito, ma soltanto una probabilità e quindi una particella, per andare da un punto all’altro, potrebbe anche attraversare l’intero universo.

 

Una cosa davvero sconvolgente. E la fisica moderna ha dimostrato che è proprio così. Estendendo questo al pensiero, fatto di onde elettromagnetiche, possiamo dedurne che anch’esso può essere ovunque e, proseguendo il discorso dalle particelle legato ai corpi fisici, possiamo postulare che noi siamo corpuscoli e onde nello stesso tempo, ed abbiamo la possibilità essere ovunque nell’universo. In tal senso, anche esperienze come l’ubiquità, la bilocazione e simili, potrebbero avere un chiaro fondamento scientifico

 

 

Se un fenomeno di questo tipo è vero per una particella o per un insieme di particelle può essere esteso ad organismi più complessi che, in fondo, sono insiemi di particelle come, appunto, gli organismi viventi del nostro pianeta.

 

Sebbene Einstein non accettasse l’indeterminazione (nota la sua frase “Dio non gioca a dadi”, con cui la confutò), egli aveva comunque formulato la nota equivalenza tra materia ed energia.

 

Planck aveva, invece, formulato l’equivalenza tra energia e frequenza.

 

Unendo le due leggi, si ottiene l’equivalenza tra materia e frequenza, esprimendo, così, che la materia è frequenza ed è da questa caratterizzata.

 

 

Note:

(1) Il testo è scaricabile in formato Pdf ed in lingua inglese da:http://users.df.uba.ar/mininni/teo1_2do2010/459.full.pdf

Esiste inoltre una dispensa che, in maniera semplice e chiara, tratta l’argomento della scoperta dell’elettromagnetismo, dalle origini sino alle scoperte più avanzate:http://www.fondazionetonolini.org/files/leOndeElettromagnetiche.pdf

(2) http://it.wikipedia.org/wiki/Fotone

Sul dualismo onda–particella vi è anche un breve video, dalla trasmissione Superquark, che potete trovare all’indirizzo:

(3) “principio di sovrapposizione degli stati”:http://www.uniurb.it/Filosofia/isonomia/3rappresentative.htm

Più da un punto di vista delle possibilità per l’uomo, appare da segnalare l’articolo apparso su Focus, che si trova all’indirizzo:http://www.focus.it/Allegati/2011/3/174_178-grandi-temi-2_41690.pdf

 

Sergio Ragaini

fonte: http://www.karmanews.it/2743/la-luce-e-gli-universi-multidimensionali/

 

 

 

 

 

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Lo scrittore Jules Verne nel celebre (e forse anche profetico) "Viaggio al centro della Terra" scritto più di centocinquanta anni fa parlava dell'esistenza di un grande mare situato nelle profondità del mantello terrestre.

Oggi questa ipotesi non è più relegata al solo mondo della fantasia poichè ha trovato conferma in un rivoluzionario studio di ricercatori internazionali tra i quali un geologo italiano Fabrizio Nestola che afferma: "La scoperta, non solo permette finalmente di spiegare le anomalie osservate tramite tomografia sismica profonda, ma apre uno scenario completamente nuovo sull'interno del nostro pianeta".

 

 

 

 

Oasi d'acqua dentro la Terra: forse grandi 10 volte l'oceano Pacifico

 

Se le stime dello studio venissero confermate, l'idea della conformazione generale del nostro pianeta andrebbe completamente rivista: all'interno della Terra ci sarebbero oasi d'acqua la cui estensione totale potrebbe essere pari a 10 volte quella dell'oceano Pacifico, che copre 1/5 della superficie del pianeta. A stimarlo un team di ricercatori, di cui fa parte anche Fabrizio Nestola dell'Università di Padova, che hanno pubblicato su Nature uno studio che apre nuovi scenari sull'evoluzione del magmatismo terrestre e della tettonica delle placche. Il lavoro dei ricercatori parte dall'olivina, un minerale che costituisce il 60% dell'interno della Terra, dalla superficie fino ai 410 chilometri. E che, con l'aumento di pressione e temperatura si trasforma in minerali con la stessa formula ma una differente disposizione spaziale dei suoi atomi, diventando prima wadsleyite e ringwoodite, che si dovrebbero trovare tra mantello superiore e mantello inferiore cioè in quella zona detta di transizione tra i 410 e i 660 chilometri di profondità.

 

 

 

 

Analizzando la propagazione delle onde sismiche in profondità, tuttavia, gli scienziati ritenevano che in quella fascia si dovesse trovare qualcosa di densità inferiore: creando in laboratorio i due minerali con un minore densità i ricercatori hanno generato artificialmente a wadsleyite e ringwoodite in grado di ospitare fino al 2,5% di acqua avvicinando così la densità dei due materiali a quella dell'olivina e facendo pensare che la fascia sia davvero un'oasi di acqua all'interno della Terra. Il team di ricerca ha individuato per la prima volta un campione di ringwoodite terrestre ancora incapsulato all'interno di un diamante trovato in un giacimento brasiliano del distretto di Juina e tale campione contiene circa l'1,4% di acqua. "La scoperta - spiega Nestola - non solo permette finalmente di spiegare le anomalie osservate tramite tomografia sismica profonda, ma apre uno scenario completamente nuovo sull'interno del nostro pianeta".

 

 

 

 

 

Infatti, l'1,4% di acqua nella ringwoodite permette di stimare un contenuto medio dell'1% di acqua nella zona di transizione. Tale percentuale corrisponde a uno spessore di acqua liquida di circa 8 km sull'intera superficie terrestre. Considerando che l'Oceano Pacifico copre circa un quinto di tutta la superficie terrestre ed è profondo in media 4,2 km, per confronto, è come se avessimo ben "nascosta" all'interno della Terra una quantità di acqua pari a circa 10 oceani profondi come il Pacifico".

 

 

 

A cura di Noiegliextraterrestri - See more at: http://www.noiegliextraterrestri.it/2015/03/mare-all-interno-della-terra-dice-studio-scientifico-fabrizio-nestola-julio-verne.html#sthash.Hvm1Q2or.dpuf

 

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