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Categoria: "Scoperte"

Noi le piante e l'intelligenza

Noi, le piante e l'intelligenza

di Paola Bonfante
 Le piante sono finalmente uscite dal cono d'ombra in cui la plant blindness, la dispercezione per cui tendiamo a non notarle in un determinato ambiente, le aveva confinate. Ma spesso sono raccontate attraverso una lente antropomorfica. È da questa che nasce anche la domanda: le piante sono intelligenti?


Sono comparse sulla terra 450 milioni di anni fa. Dominano il nostro pianeta con la loro imponente biomassa: 450 gigatonnellate di carbonio contro le minimali 0,06 degli umani. Dipendiamo da loro per l'ossigeno che producono e per il cibo che ci danno. Sono le cruciali mediatrici della concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera, e questo valore è strettamente legato al cambiamento climatico. Sono le piante le attrici che - in ipotetico triangolo - legano la salute umana con la salute dell'ambiente nel contesto del One Health, la cui visione olistica è attualmente alla base di molte agenzie internazionali e nazionali.

Molti dei Sustainable Developmental Goals hanno direttamente o indirettamente identificato le piante come target di azioni specifiche. Importanti progetti europei come From Farm to Fork si fondano su un incrocio di ricerca, tecnologia, management il cui obiettivo è mantenere alta la produttività delle piante coltivate, pur riducendo drasticamente l'uso di pesticidi e fertilizzanti. La politica spesso usa il green come bandiera. Diamo spazio alla natura; usiamo un approccio rigenerativo. Nei paesi ancora fuori dalla guerra, questi sono gli imperativi per le generazioni più giovani e sensibili all'ambiente.

Per tutti questi motivi, da alcuni anni le piante sono finalmente uscite dal cono d'ombra in cui la plant blindness, la dispercezione per cui molti esseri umani tendono a non notare le piante in un determinato ambiente, le aveva confinate. Anche in Italia i non specialisti guardano alle piante con rinnovato interesse e rispetto. Tuttavia, a differenza della ricerca scientifica e dei testi universitari, dove l'obiettivo è capire i meccanismi, nella comunicazione stampata, nel web o nella pubblicità, lo spazio dato alle piante e al mondo, che ruota attorno a esse, mostra due letture dominanti. C'è una visione utilitaristica, per la quale le piante nei campi, nei boschi e nei giardini, sono viste non solo come sorgenti di cibo "naturale" che richiama il buon tempo antico, ma anche di bellezza, grazie a profumi e colori che allietano la vita. Grazie all'architettura contemporanea che sostiene boschi verticali, tetti verdi e orti urbani, le piante diventano le compagne della vita degli umani anche nell'ambiente urbano. Da sempre elementi ornamentali nella storia umana, dalle antiche civiltà del Mediterraneo al Liberty del XX secolo, le piante nel nostro XXI sono diventate ora attrici reali, come fossero dei mattoni, una parte integrante dell'architettura. L'altra lettura dominante guarda invece alle piante attraverso una lente antropomorfica, che permette la costruzione di sentimenti e relazioni: in questa narrazione le piante si arricchiscono di sfumature "new age" diventando portatrici di doti taumaturgiche e di benefici psicofisici. È il potere del verde.

In questo contesto si pone un dibattito che vede contrapposti divulgatori e ricercatori con competenze diverse: le piante sono intelligenti? Google indica decine di titoli di libri sull'argomento, che spaziano dalla vita segreta delle piante, alla loro sensibilità, alla loro capacità di avere intenzionalità e memoria, identificando anche una nuova disciplina, la neurobiologia delle piante illustrata in un saggio da Brenner e colleghi nel 2006. Alcuni di questi libri introducono elementi estremi: le piante non solo apprendono, ma anche "parlano" all'essere umano facendo rivivere elementi di un vitalismo/animismo arcaico.

Tuttavia, se un'analisi simile è condotta usando un motore di ricerca scientifico (plant intelligence) i risultati sono molto limitati: lavori sull'intelligenza delle piante pubblicati su riviste scientifiche con un buon valore di impatto sono pochi. Sono, inoltre, per lo più, lavori di riflessione teorica, con pochi dati sperimentali. Negli ultimi anni, alcuni di questi lavori sono stati scritti da filosofi o da psicologi, ma certamente le scuole di biologia vegetale che indicano le direttive attuali in un settore così fondamentale per il bene dell'umanità, non sviluppano tale domanda.

Può essere interessante cercare di trovare una spiegazione su questa diversa percezione. Tutto parte dalla definizione di intelligenza. Se intelligenza è la capacità di un individuo di affrontare e risolvere i problemi, promuovendo la propria fitness individuale, senza dubbio le piante sono intelligenti, esattamente come lo sono tutti gli organismi viventi. Ogni cellula vivente, dal batterio Escherichia coli all'alga unicellulare e agli individui multicellulari, come un delfino o una Ginkgo biloba, possiede una membrana cellulare che separa l'ambiente interno da quello esterno. Grazie a essa, la cellula si interfaccia con il proprio ambiente, ne riconosce gli stimoli, li decodifica, li interpreta, e mette in atto delle risposte regolando il proprio metabolismo. Le piante quindi rispondono agli stimoli esterni e si adattano a un ambiente mutevole. Colonizzano tutti gli ambienti, dai deserti agli oceani, quindi la loro capacità di adattamento è straordinaria, come ben dimostrato dalla loro storia evolutiva.

Tuttavia, questa è la caratteristica insita nella definizione biologica di vivente: un individuo che non si adatta al cambiamento perisce. Un eccellente esempio è dato dalla cosiddetta "catastrofe dell'ossigeno": l'estinzione di massa delle primitive forme di vita anaerobica della Terra causata dall'accumulo di ossigeno che si creò nell'atmosfera terrestre con la comparsa dei cianobatteri circa 2 miliardi di anni fa. Nelle nostre condizioni attuali, i batteri rappresentano il gruppo di viventi di maggiore successo nel nostro pianeta come plasticità metabolica e capacità di occupare ogni nicchia, superando meglio di tutti gli altri le difficoltà della vita sulla terra. Una definizione strettamente biologica di intelligenza (capacità di adattamento) porterebbe a mettere i batteri in testa alla classifica degli organismi più intelligenti.

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La capacità di adattamento delle piante si realizza anche attraverso una serie di movimenti: sono sessili per natura, ma in grado di muovere alcune parti del loro corpo, grazie alla tipicità della cellula vegetale e alla sua capacità di richiamare e perdere acqua, acquisendo e perdendo turgore. Le piante rispondono quindi alla luce incurvandosi verso la sorgente luminosa (fototropismo); spingono le loro radici verso il basso (gravitropismo) e il fusto verso l'alto (gravitropismo negativo); piante come Mimosa pudica e alcune piante carnivore rispondono al contatto scattando rapidamente (tigmonastia), altre lo fanno lentamente, avvolgendosi intorno a un sostegno come le rampicanti, che hanno imparato a sfruttare i supporti disponibili (tigmotropismo). Il vantaggio evolutivo per queste piante è che esse risparmiano le risorse necessarie per costruirsi un solido tessuto meccanico che ne sostenga il peso, anche se devono, come nel caso di Parthenocissus tricusposata, produrre dei cuscinetti adesivi, delle vere e proprie ventose. Sono le piante rampicanti ad avere affascinato Charles Darwin, che nel suo saggio I movimenti e le abitudini delle piante rampicanti, tradotto in italiano già nel 1878, individua nelle radici una sorta di cervello delle piante. Proprio per questo Darwin, insieme al figlio Francis, è citato come il primo ad aver parlato di intelligenza delle piante con la sua root-brain hypothesis.

Le molteplici e differenziate risposte delle piante all'ambiente da una parte si possono riassumere - come in una facile divulgazione - dicendo che le piante posseggono i sensi come gli animali, dall'altra - e non c'è contraddizione - si possono spiegare attraverso una serie di eventi genetico-molecolari-fisiologici che permettono di chiarire la risposta fenotipica (l'incurvarsi della pianta verso la luce, per esempio). In questo caso, il processo parte dai recettori che catturano la luce blu, il cui segnale porta alla sintesi di proteine specifiche, oltre che dell'auxina, l'ormone vegetale che controlla la distensione cellulare, fino ad arrivare all'organo bersaglio, che è il tessuto epidermico del fusticino. Qui, le cellule si distendono in modo irregolare (si accumula più auxina nella parte in ombra) in modo tale da incurvarsi verso la luce. Quindi tutti i movimenti sia quelli più rapidi quanto quelli più lenti sono sempre riconducibili a processi di percezione di uno stimolo attraverso recettori che attivano specifiche vie di segnalazione. Nelle piante, un ruolo cruciale di secondo messaggero è svolto dal calcio che, cambiando la sua concentrazione all'interno della cellula, regola svariati processi, come anche nelle interazioni tra piante e microorganismi. L'approccio riduzionistico permette quindi ai ricercatori di spiegare molti dei processi che le piante realizzano nelle loro risposte all'ambiente senza la necessità di coinvolgere meccanismi cognitivi, di intenzionalità o di apprendimento.

L'intelligenza è infatti associata a un complesso di facoltà psichiche mentali, che permettono di elaborare modelli astratti della realtà, fare previsioni, esprimere giudizi, avere consapevolezza di sé e apprendere. La definizione di intelligenza non è pertanto strettamente legata a un organo, ma certamente la neurobiologia dimostra come molti dei comportamenti cognitivi siano associati al funzionamento del sistema nervoso, del cervello e della complessa rete di neuroni. La neurobiologia ha anche identificato come precise funzioni (il linguaggio, per esempio) corrispondano all'attività di specifiche aree cerebrali. Parlare di neurobiologia vegetale sembra pertanto essere una metafora insidiosa e potenzialmente fuorviante, visto che per certo le piante non posseggono anatomicamente tali sistemi, avendo avuto una storia evolutiva del tutto lontana da quella dei metazoi. Inoltre l'intelligenza (nell'essere umano come negli animali) ha anche un'importante componente emotiva, basata sulla capacità di mettersi in relazione con l'altro da sé, attuando comportamenti altruistici o cooperativi.

Questi aspetti emotivi sono colti da Susanne Simard, una famosa ricercatrice canadese, nel suo libro L'albero madre (2023). Partendo da rigorosi studi in cui dimostrava il passaggio di carbonio marcato da una pianta donatrice a una ricevente, messe in connessione grazie al micelio di un fungo micorrizico, ora la ricercatrice racconta di una foresta in connessione (il WWW dei boschi), di una comunità in cui vige la cooperazione, e dove le piante madri nutrono i loro piccoli (i germogli nati dai suoi semi) attraverso la rete sotterranea che i funghi simbionti costruiscono nel suolo. Tale visione è diventata molto popolare e di successo e risponde certamente al nostro bisogno di vedere un disegno "buono" nella natura, attribuendo valori positivi al mondo vegetale. Tuttavia, questa narrazione è fortemente criticata in quanto i lavori su cui si poggia mostrano debolezze sperimentali, e spesso non hanno avuto un corretto referaggio.

Al di là dei commenti tecnici, la critica maggiore è sempre quella di un eccesso di antropormorfizzazione. Il tema del WWW degli alberi rimane pertanto aperto e richiede sicuramente una più accurata sperimentazione. Non ci sono dubbi: oggi le piante attirano attenzione da settori diversi. Oltre alla divulgazione, i ricercatori delle scienze cognitive si pongono interrogativi carichi di valore filosofico: come si chiede il filosofo Emanuele Coccia (in La vita delle piante, 2018) le piante sono il respiro, il pneuma del mondo? Dall'altro lato, i biologi vegetali scendono sempre più in profondità nel decifrare la complessità dei meccanismi che controllano l'operatività delle piante. Tuttavia, se fate loro una domanda sull'intelligenza nel mondo vegetale, pensano - per lo più in accordo con Karl Popper e con il suo principio di falsificabilità - che al momento l'attività cognitiva e di apprendimento delle piante non sia sperimentalmente dimostrata. Se si valuta come attualmente il concetto di rigenerazione alla base della forestazione e dell'agricoltura sia importante per le politiche europee, e non solo, il problema dell'intelligenza delle piante appare non come un ozioso dibattito, ma assume rilevanza politica. La governance penserà al WWW delle piante che si parlano e comunicano con l'essere umano grazie alla loro intelligenza o seguirà le visioni più riduzionistiche dei ricercatori 

 

Si ringrazia la Regenerative Society Foundation per il permesso di pubblicare questo testo

https://www.scienzainrete.it/articolo/noi-le-piante-e-lintelligenza/paola-bonfante/2024-02-16

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Come in un’indagine, dagli indizi alla prova
La storia di questa indagine comincia qualche anno fa, nel 2019, quando Tomás Jungwirth dell’istituto di fisica dell’Accademia delle scienze Ceca e principal investigator dello studio su Nature, assieme ai suoi colleghi teorici identifica una nuova classe di materiali con una particolarità: si comportano in maniera strana dal punto di vista magnetico. Strana nel senso che non rientra nelle classiche descrizioni di ferromagnetismo o antiferromagnetismo fino a quel momento note. Deve trattarsi di qualcosa di nuovo a cui viene dato il nome di altermagnetismo. Inoltre i fisici cechi intuiscono che è qualcosa che ha a che vedere con la struttura degli spin di questi materiali, il vero cuore della scoperta e una cosa piuttosto tecnica su cui torneremo fra un attimo.
Come racconta Jungwirth, «questa è la magia degli altermagneti. Qualcosa che si credeva fosse impossibile finché le recenti previsioni teoriche non hanno mostrato, invece, il contrario». D’altra parte, le opportunità offerte dalle possibili applicazioni dell’altermagnetismo apparivano talmente eccitanti che valeva la pena continuare la ricerca. E così è stato, tant’è che nel 2022 i fisici pubblicano le loro previsioni sull’esistenza dell’altermagnetismo perché, nel frattempo, hanno scoperto più di 200 possibili materiali altermagnetici di ogni genere: dagli isolanti ai semiconduttori, dai metalli fino ai superconduttori. Curiosamente, molti di questi materiali erano ben noti e ampiamente studiati in passato senza che nessuno, però, avesse notato questa loro natura altermagnetica. E tuttavia, si trattava solo di teoria e indizi. Ciò che ancora mancava era la classica pistola fumante che, nel caso della ricerca scientifica, vuol dire la conferma sperimentale. Fino a oggi e alla prima misurazione di questo nuovo tipo di magnetismo ottenuta dal fisico Juraj Krempasky del Paul Scherrer Institute svizzero, in collaborazione con i colleghi dell’Accademia delle scienze Ceca . Prima, però, di vedere cosa hanno scoperto, è giusto mantenere la promessa fatta e cercare di capire che cos’è questo nuovo tipo di magnetismo.

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È questione di…un momento
Tutti conosciamo le calamite da frigorifero, tipico esempio di ferromagnetismo che, fino al XX° secolo, si pensava  fosse l’unico tipo di magnetismo esistente. Poi si è scoperto che non era così. Si è capito, infatti, che le proprietà magnetiche di un oggetto macroscopico sono il risultato di quanto accade a livello microscopico o, meglio ancora, atomico. A manifestarsi è una proprietà comune a tutti i casi in cui vi sia una particella in rotazione e dotata di carica elettrica come l’elettrone: si crea lo spin elettronico o momento magnetico. In pratica una particella con carica “q” in moto circolare può essere considerata come una minuscola spira percorsa da una corrente elettrica e per le leggi dell’elettromagnetismo, ciò determina un momento magnetico “m” cioè una grandezza che ha una direzione (quella dell’asse perpendicolare al piano di rotazione della particella), un verso (che può essere in un senso o nell’altro lungo quest’asse) e un’intensità (un numero che ne misura la grandezza e dipende dalle caratteristiche del materiale).
La magnetizzazione di un materiale è, dunque, dovuta all’orientamento dei momenti magnetici degli atomi che lo compongono. Nel caso dei materiali ferromagnetici i momenti magnetici puntano tutti nella stessa direzione, dando così origine al genere di magnetismo macroscopico che fa sì che la calamita ricordo acquistata in viaggio si attacchi al frigorifero. Negli anni ’30, il fisico francese Louis Néel scoprì un altro tipo di magnetismo che fu chiamato antiferromagnetismo perché in questo caso gli spin puntano in direzioni alternate con il risultato che in questi materiali il campo magnetico netto macroscopico è nullo (e quindi non si attaccano al frigorifero). 
Arriviamo così al 2019 quando i nostri ricercatori predicono uno sconcertante comportamento della corrente elettrica nella struttura cristallina di alcuni materiali antiferromagnetici (l’effetto Hall anomalo) che non si spiega con la faccenda degli spin alternati che abbiamo visto. In pratica la corrente si muove senza alcun campo magnetico esterno. È allora che cominciano a pensare all’esistenza di un terzo tipo di magnetismo permanente, per l’appunto, l’altermagnetismo. I materiali altermagnetici mostrano un’insolita combinazione di proprietà presenti nei ferromagnetici e antiferromagnetici per quanto riguarda la disposizione degli spin e delle simmetrie cristalline e così, come negli antiferromagnetici, l’alternarsi degli spin porta ad avere magnetizzazione netta nulla. Tuttavia, se queste peculiarità potevano spiegare lo strano comportamento della corrente (l’effetto Hall anomalo) erano all’origine anche di altre proprietà più simili a quelle dei materiali ferromagnetici, ma anche di alcune proprietà completamente nuove. Il punto, però è che nessuno era ancora riuscito ad avere un vero riscontro sperimentale e quindi gli scienziati non erano sicuri di trovarsi effettivamente difronte a un nuovo tipo di magnetismo. Questo fino ad ora, perché il risultato ottenuto dagli svizzeri e dai cechi cambia tutto.
Rappresentazione grafica di uno spin elettronico


La spintronica e altre tecnologie
Con il loro studio Juraj Krempasky e i suoi colleghi hanno confermato l'esistenza di un altermagnete analizzando con tecniche di spettroscopia di fotoemissione la struttura elettronica di un cristallo, il tellururo di manganese, che in precedenza si pensava fosse antiferromagnetico. «Grazie all'alta precisione e sensibilità delle nostre misure - ha sottolineato Krempasky - siamo stati in grado di rilevare la caratteristica suddivisione alternata dei livelli di energia corrispondenti agli stati di spin opposti e quindi a dimostrare che il tellururo di manganese non è né un antiferromagnete né un ferromagnete convenzionale, ma appartiene al nuovo ramo altermagnetico dei materiali magnetici e ora che l'abbiamo portato alla luce, molte persone in tutto il mondo saranno in grado di lavorarci». 
E in effetti all’orizzonte già si profilano nuove possibilità di ricerca perché questa scoperta arricchirà la nostra comprensione della fisica della materia offrendo, per fare un esempio, una piattaforma promettente per esplorare la superconduttività non convenzionale attraverso nuove intuizioni sugli stati superconduttori che possono sorgere in diversi materiali magnetici. Ma a trarne forse un più immediato giovamento saranno le applicazioni tecnologiche. Basti pensare che, non avendo campi magnetici esterni come nei ferromagneti, questi materiali potrebbero essere usati per creare dispositivi magnetici che non interferiscano tra loro offrendo, per esempio, la possibilità di aumentare la capacità di archiviazione su dischi rigidi. I dispositivi commerciali, infatti, contengono materiali ferromagnetici così strettamente assemblati che i campi magnetici creano interferenze mentre gli altermagneti potrebbero essere assemblati ancora più densamente senza soffrire di questo problema. E poi, più lontano all’orizzonte, c’è la promessa della spintronica, l’elettronica basata sullo spin dell’elettrone che, potendo assumere solo due configurazioni, ben si presta alla codifica binaria. In questo caso la speranza è di rendere i dispositivi spintronici una realtà attraverso una nuova generazione di microprocessori molto più veloci di quelli attuali e con consumi energetici più contenuti, combinando memorie e microchip in un unico dispositivo.
Una strada tutta da percorrere
Dopo 20 anni di ricerche di successo l’attrezzatura usata per condurre lo studio che ha portato alla scoperta del primo materiale altermagnetico è stata disassemblata ed è in attesa di ricevere un upgrade che le consenta di iniziare una seconda vita e condurre nuove e più raffinate ricerche. «È stato con gli ultimi fotoni di luce che abbiamo fatto questi esperimenti - ha ricordato non senza un velo di commozione Krempasky - Che abbiano dato una svolta scientifica così importante è molto emozionante per noi». 
Questa frase può sembrare un punto di arrivo ma, in realtà, parla solo di una tappa di un lungo cammino perché questo, in fondo, è il senso della ricerca scientifica: ripartire ogni volta con un bagaglio di nuove conoscenze, lungo una strada che si dipana davanti ai nostri passi e che non sappiamo di preciso dove conduca. Ma in un viaggio, si sa, a volte il cammino conta più della meta.
 
https://www.corriere.it/tecnologia/24_marzo_02/cos-e-l-altermagnetismo-confermata-l-esistenza-di-un-terzo-tipo-di-magnetismo-che-potrebbe-rivoluzionare-il-settore-dei-computer-b81e847e-2b41-4ad9-84a3-184f306d0xlk.shtml


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L' universo non E' localmente reale

L'universo non E' localmente reale

È ciò che hanno provato i vincitori del premio Nobel per la Fisica del 2022 in seguito a esperimenti di correlazione quantistica tra fotoni.
A quanto pare, l’universo non è localmente reale. A rivelarlo sono stati i vincitori del premio Nobel per la Fisica del 2022, Alain Aspect, John F. Clauser e Anton Zeilinger.

Ma cosa vuol dire “localmente reale”? Si dice ‘reale’ quando gli oggetti hanno proprietà indipendenti dall’osservazione: per esempio, una mela può essere rossa anche quando nessuno la sta guardando. Mentre ‘locale’ significa che gli oggetti possono essere influenzati solo dall’ambiente circostante e, in particolare, che qualsiasi influenza non può viaggiare con una velocità superiore a quella della luce nel vuoto. Ciò che è stato scoperto è che l’universo non può essere sia reale che locale allo stesso tempo.

In parole semplici

Ricordi il gatto di Shrodinger? Finché non guardi nella scatola, il gatto è sia vivo che morto e solo quando apri la scatola il gatto “collassa” in un gatto vivo o morto. Ora immagina che il gatto abbia un gemello, in un'altra scatola, anche lui vivo e morto finché non viene osservato. MA! Se guardi nella prima scatola e il primo gatto crolla e vive, l'altro gatto all'istante muore. Ecco cosa hanno fatto nell'esperimento: hanno aperto le due scatole esattamente nello stesso momento e hanno visto che entrambi i gatti sono crollati in una posizione opposta.
Stati apparentemente privi di connessione. In base alla nostra precedente comprensione di un universo “localmente reale”, ci dovrebbe essere un trasferimento di informazioni tra di loro: in che altro modo i gatti potrebbero sapere il destino dell'altro? Questo trasferimento di informazioni potrebbe avvenire solo alla velocità della luce, ma ora questo esperimento ha chiuso tutte le scappatoie in quella possibilità. Il crollo è istantaneo, più veloce della velocità della luce.

La nostra comprensione intuitiva dell'universo è che è localmente reale. Per l'universo essere locale significa che le cose sono influenzate solo dall'ambiente circostante, ed essere “reali” significa che le cose hanno uno stato definito in ogni momento. Stranamente questo non è vero. Una particella può trovarsi in una sovrapposizione in cui si trova contemporaneamente in più stati contemporaneamente. Anche le particelle aggrovigliate possono influenzare le loro controparti a qualsiasi distanza, più velocemente della luce.

Secondo la meccanica quantistica, la natura non è localmente reale: le particelle possono non avere certe proprietà (come spin su o spin giù) prima che siano misurate, e sembrano «parlare» fra loro a prescindere dalla distanza. (Dato che i risultati delle misurazione sono casuali, queste correlazioni non possono essere usate per comunicazioni più veloci della luce.)
I fisici che guardavano con scetticismo alla meccanica quantistica hanno proposto che l’enigma potesse essere risolto con variabili nascoste: cioè fattori che esistono a qualche livello non percepibile della realtà, al di sotto del livello subatomico, e che contengono informazioni sullo stato futuro delle particelle.

Questi ricercatori speravano che con qualche teoria a variabili nascoste la natura potesse recuperare il realismo locale negato dalla meccanica quantistica.

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«C’era da pensare che le argomentazioni di Einstein, Podolsky e Rosen avrebbero immediatamente dato il via a una rivoluzione, e che tutti si mettessero a lavorare sulle variabili nascoste», dice Popescu.
L’«attacco» di Einstein alla meccanica quantistica, però, non ha fatto presa fra i fisici, che nel complesso hanno accettato la meccanica quantistica così com’è.

il teorema DI BELL con parole semplici
Il Teorema di Bell ci mostra fondamentalmente che, se la Meccanica quantistica è valida, le misurazioni eseguite su due particelle saranno sempre correlate, indipendentemente dalla distanza che le separa. Immaginiamo di avere un sistema con due particelle molto vicine che ruotano in direzioni opposte: si descrive comunemente questa situazione dicendo che lo spin di una particella è up (verso l'alto) e quello dell'altra è down (verso il basso).

Misurando gli spin delle particelle dopo che queste sono state notevolmente allontanate, scopriremo che gli spin sono rimasti uno up e l'altro down.

Queste particelle, in ragione del loro spin, si comportano come piccoli magneti, quindi si può affermare che sono dotate di momenti magnetici.

E' possibile modificarne l'orientamento facendole passare attraverso campi magnetici: la Meccanica quantistica ci dice che se modifichiamo l'orientamento di una particella in modo che, invece di ruotare verso l'alto intorno a un asse verticale, ruoti a sinistra intorno a un asse orizzontale, scopriamo che anche l'altra particella ruota intorno a un asse orizzontale, ma nella direzione opposta, che definiremo destra.

Questi risultati della meccanica quantistica sono stati confermati da due esperimenti, il primo eseguito nel 1972 da John Clauser e Stuart Freeman negli Stati Uniti e il secondo da A. Aspect, P. Grangier e C. Roger al CERN di Ginevra nel 198I. Quindi, per quanto possa apparire insolito, esiste una qualche forma di comunicazione istantanea tra le due particelle, tale che, modificando lo spin di una, muta istantaneamente lo spin dell'altra, indipendentemente dalla distanza. Istantanea in termini fisici significa velocità superluminare ossia superiore alla luce (forse è il caso di approfondire il concetto di simultaneità???).

Ricapitoliamo e semplifichiamo: se su una delle due particelle che provengono da una fonte comune viene condotta una "alterazione" di stato, Bell ha dimostrato che la seconda particella che sta viaggiando alla velocità della luce in direzione opposta alla prima, viene anch'essa alterata a causa della modificazione imposta alla prima particella. Per i fisici quantistici, ciò presenta un paradosso al tempo stesso eccitante e fonte di inquietudine. La velocità della luce è un valore assoluto, una costante universale irrefutabile che non può essere negata: e allora com'è possibile che una particella alteri lo stato dell'altra quando una comunicazione tra le due è impossibile? La ricerca di una risposta a questo interrogativo ha tormentato i fisici fin da quando il test venne ideato negli anni Sessanta. Esistono numerose spiegazioni, ma quella che trova più seguito sembra essere la seguente: se alcune particelle subatomiche sono state insieme, esse conservano un'«affinità» permanente che sembra in qualche modo trascendere le limitazioni fisiche. Nel suo libro, intitolato In Search of Schródinger's Cat che è diventato un best-seller, John Gribbin afferma quanto segue a proposito di questo paradosso: "Essi [gli esperimenti basati sul test di Bell] ci dicono che le particelle che hanno interagito una volta continuano in un certo senso a far parte di un unico sistema, che risponde come un'unità a ulteriori interazioni. Virtualmente ogni cosa che vediamo, tocchiamo e sentiamo è costituita da un insieme di particelle che fin dai tempi del Big Bang hanno interagito con altre particelle". Tutto questo comunque porta all'esistenza di un conflitto fondamentale tra le modalità di analisi del mondo fisico: le Teorie della Relatività, infatti, impongono, un limite di velocità al trasferimento delle informazioni, energia e materia, mentre la Meccanica quantistica suggerisce che in determinate situazioni è possibile superare questo limite. In un convegno internazionale di fisica il 7 maggio 1984 il discorso di John Bell si concluse così: "Siamo in presenza di una evidente incompatibilità, al livello più profondo, tra i due pilastri su cui si basa la scienza contemporanea, (Teoria della Relatività e Meccanica quantistica)".


http://www.impresaoggi.com/it2/2437-in_fisica_quantistica_luniverso_non_e_localmente_reale/

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L'AMETISTA E IL SUO MANTRA

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AMETISTA: (6° chakra) "E' per la guarigione spirituale. E' ottimo anche per il sistema immunitario" Yogi Bhajan E' la pietra più indicata per la meditazione; rende la mente chiara, vigile, aperta e favorisce l'introspezione. Placa l'eccesso di ansia mentale, tranquillizza i pensieri, ci mostra nuovi orizzonti nel regno della conoscenza e della saggezza, permettendo alla mente di comprendere che esiste qualcosa al di sopra di se stessa. E' la pietra adatta a chi ha subito la perdita di una persona cara o che è affetto da una malattia terminale, poichè schiude profonde esperienze dell'anima e ci mantiene collegati ad essa. E' utile negli stati di emicrania, tensione e gonfiori, nello stress da eccesso di lavoro o in stati di tremenda prostrazione. E' adatta alle persone con tendenza ad inquietarsi facilmente, poichè placa la collera. Favorisce il sonno profondo, l'eliminazione degli incubi ricorrenti, l'ispirazione e l'intuizione. Risolve i disturbi del sistema nervoso, dei polmoni, delle vie respiratorie e della pelle. Regola la flora batterica e l'assorbimento dei liquidi nell'intestino.


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EK ONG KAR
SAT NAM
SIRI
WAHE GURU =
"C'è un solo Creatore di questa Creazione; Verità è il Suo Nome; grande al di là del tempo e dello spazio è la Sua meravigliosa saggezza".
E' detto Adi Shakti Mantra. I suoni di questo Mantra corrispondono agli otto chakra (l'ottavo chakra è l'aura, il nostro campo magnetico,secondo gli insegnamenti di Yogi Bhajan), ed esso vi aiuta ad aprirli e ad equilibrarli, apre le nadis (canali energetici) e vi mette in contatto con la nostra guida interiore. E' un Mantra che trasforma la Terra in Cielo e il Cielo in Terra. Vi rende coscientemente coscienti. Dà la scintilla che fa cominciare alla Kundalini il suo viaggio. Vi dà l'energia di uno spirito impavido e cristallizza dentro di voi una personalità vittoriosa. Porta l'elevazione e si dice che cambi il proprio destino in completa prosperità. L'intera espansione ed estensione della coscienza verso la realizzazione della Grazia è sperimentata attraverso questo Mantra. Viene cantato solitamente con un ciclo di due respiri e mezzo: respiro profondo - Ek Ong Kar - respiro profondo - Sat Naaaaaaaam(lungo tono) Siri (breve) - mezzo respiro rapido - Wha he Guru.

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IL SEGNO DELLA CROCE

IL SEGNO DELLA CROCE….

Uno studio condotto in un laboratorio per le tecnologie medico-biologiche, ha suscitato un vero scalpore, ha dichiarato il giornale russo ”Vita”.
Gli scienziati hanno dimostrato sperimentalmente che il segno della croce uccide i germi e cambia le proprietà ottiche dell'acqua.
“Abbiamo confermato che l'antica usanza di fare il segno della croce sul cibo e bevande a tavola ha un profondo significato mistico con uso pratico: il cibo viene pulito letteralmente in un attimo e questo grande miracolo accade ogni giorno", dichiara Angelina Malahovskaya.

La ricerca sul potere del segno della croce, Malahovskaya e la sua squadra la stanno conducendo da quasi 10 anni.
Gli esperimenti riaffermano ripetutamente lo stesso; c'è un fenomeno scientifico: in acqua sono state trovate proprietà battericidi con la sua consacrazione con la preghiera e segno della croce. Una nuova (finora sconosciuta) proprietà della “Parola di Dio” è stata scoperta per trasformare la struttura dell’acqua, aumentando notevolmente la sua densità ottica nell’area ultravioletta dello spettro. La possibilità stessa di condurre queste ricerche è un miracolo per Angelina Malahovska e per i suoi colleghi di Pietroburgo: il progetto non è né finanziato né inserito nel programma di ricerca. Tuttavia gli scienziati si occupano gratuitamente con l’enorme volume di lavoro scientifico solo per consentire alle persone di sentire il potere curativo di Dio.
I fisici verificano l'azione della preghiera “Padre Nostro” e il segno della croce sui batteri patogeni. Per fare le ricerche sono stati prelevati campioni d'acqua provenienti da diversi bacini d'acqua: pozzi, fiumi, laghi. Tutti i campioni di uscita contengono stafilococco dorato.

Dopo la lettura della preghiera “Padre Nostro” e il segno della croce sul campione si scopre che la quantità di batteri nocivi diminuisce 7, 10, 100 e anche più di 1000 volte!

Sulla condizione dell'esperimento, per escludere le influenze di una possibile suggestione del pensiero, la preghiera è letta sia dai credenti che dai non credenti.

Il numero di batteri patogeni nei ambienti diversi diminuisce ogni volta, rispetto al modello di controllo. L’influenza benefica della preghiera e del segno della croce hanno effetto benefico anche su tutti i partecipanti all'esperimento: in tutti la pressione sanguigna si stabilizza, migliorano anche gli esami del sangue.

La cosa interessante è che nelle persone con pressione sanguigna bassa (ipotonia), la pressione sanguigna aumenta, e invece alle persone con pressione sanguigna alta (ipertensione), l’ipertensione cala.

L'esperimento mostra anche un'altra peculiarità: quando il partecipante non è così concentrato o addirittura negligente nell' illuminare con il segno della croce (il centro della fronte, il centro del plesso solare, le fosse della spalla destra e sinistra), il risultato positivo dell'impatto diminuisce o addirittura è assente.

Gli scienziati misurano anche la densità ottica dell'acqua prima e dopo l’illuminazione con il segno della croce. I risultati indicano che la densità ottica aumenta rispetto a quella iniziale. Secondo Angelina Malakhovskaya, questo significa che come se fosse l'acqua a “distinguere” il significato delle preghiere pronunciate su di essa, ricorda questo impatto e lo conserva sotto forma di maggiore densità ottica. Come se “si saturarsse” di luce.

L’occhio umano, naturalmente, non riesce a catturare queste “curative variazioni nella struttura dell'acqua”, ma lo spettrografo dà una valutazione oggettiva del fenomeno.

Il segno della croce cambia quasi istantaneamente la densità ottica dell'acqua. La densità ottica dell'acqua, su cui è stato eseguito un segno di croce, aumenta in modo diverso quando si esegue il segno; il segno della croce eseguito di un laico, la densità ottica aumenta quasi 1,5 volte, invece quando è consacrata da una persona spirituale quasi 2,5 volte!

4 direzioni alto basso dx e sx, il cuore rimane al centro...

SEGNO di CROCE ORTODOSSO diverso da quello cattolico.
Pollice indice e medio UNITE per tracciare i
Punti:
Centro della fronte
Centro del Plesso solare
Fossette al centro delle spalle (in icone russe in genere c'è un gioiello disegnato...)
da dx a sx

Mudra non eseguito correttamente, diminuisce o addirittura annulla l’ effetto.
È stato anche verificato con la radiestesia

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