Categoria: "Scoperte"
LA DIASTASI DEI MUSCOLI RETTI DELL’ADDOME
Ott 3rd
LA DIASTASI DEI MUSCOLI RETTI DELL’ADDOME ED IL SUO TRATTAMENTO MININVASIVO
La parola “diàstasi” è un termine derivato dal greco (“separazione”), e quando usato in medicina si riferisce a tutte quelle condizioni in cui due strutture anatomiche, normalmente vicine tra loro, si separano. La diastasi dei muscoli retti dell’addome consiste in un distanziamento dei muscoli retti addominali, i due muscoli lunghi centrali della parete anteriore dell’addome, estesi tra lo sterno e le coste, superiormente, ed il pube, inferiormente. Normalmente i muscoli retti sono affiancati l’uno all’altro lungo la linea media dell’addome, la linea alba. Quando la distanza tra loro (IRD, Inter Recti Distance, distanza interrettale) aumenta, si parla di diastasi dei retti. La distanza minima per poter porre diagnosi di diastasi varia, a seconda dei lavori scientifici pubblicati, tra 1,5 e 2,5 cm.
La distanza interrettale presenta differenze di genere (è maggiore, per esempio, a livello sovraombelicale negli uomini rispetto alle donne nullipare, ossia che non hanno avuto figli); aumenta con le gravidanze, e dipende anche dalla sede anatomica, essendo superiore al di sopra dell’ombelico. Esistono fattori di rischio di aumento della IRD, tra cui l’età, il numero di gravidanze, il parto cesareo ed il sovrappeso. Secondo un recente studio 2016, la diastasi dei retti interessa il 60% delle donne alla 21° settimana di gravidanza, e persiste nel 31,2% delle donne ad un anno dal parto. Si tratta quindi di un problema comune, che, come si dirà, può influire profondamente sul benessere delle donne che ne soffrono.
I SINTOMI DELLA DIASTASI DEI RETTI
Man mano che la gravidanza procede, la forma dell’addome materno si modifica, a causa dell’aumento delle dimensioni e del peso dell’utero e del feto. I muscoli dell’addome, e tra essi soprattutto di tutti i muscoli retti, si allungano e si si spostano lateralmente: questo causa una modifica dei vettori muscolari, cioè delle linee lungo le quali i muscoli si contraggono. Se dopo il parto questi cambiamenti non regrediscono, le capacità di flessione del tronco e di contrazione armonica dei muscoli della parete addominale (il cosiddetto “torchio addominale”) rimangono definitivamente compromesse. Ciò ha delle conseguenze tanto sulla capacità di mantenere eretto il tronco (essendo la postura eretta un risultato della contrazione armonica dei muscoli dorsali e dei muscoli addominali) – e il primo effetto è la comparsa di dolore dorso-lombare; quanto sulle performances del pavimento pelvico, il che può condurre alla comparsa di incontinenza urinaria da stress, incontinenza fecale (meno frequentemente) e prolasso di organi pelvici come l’utero o la vescica.
Il primo passo nella diagnosi di diastasi dei retti è l’autovalutazione; esistono diversi tutorials in rete che mostrano come valutare il proprio addome, ad esempio su YouTube od in siti specializzati. Il ruolo del Chirurgo specializzato nei trattamenti delle patologie della parete addominale nella diagnosi è importante, perchè è l’unico Professionista in grado di valutare le eventuali ernie associate alla diastasi – infatti, nella quasi totalità delle pazienti con diastasi dei retti postgravidica è presente un’ernia ombelicale, cosa di grande importanza nella corretta pianificazione della strategia chirurgica.
Un esame diagnostico che può essere importante è l’ecografia della parete addominale; la sua utilità, tuttavia, dipende dall’esperienza in diagnostica dei difetti della parete addominale del radiologo che la realizza, visto che si tratta di un esame la cui qualità dipende in maniera critica dagli skills dell’operatore.
I sintomi della diastasi dei retti sono direttamente correlati con l’alterazione dei vettori muscolari addominali e la conseguente compromissione degli equilibri muscolari del tronco, della funzione del pavimento pelvico e del torchio addominale.
Tali alterazioni possono portare ad una dorso-lombalgia cronica e ad incontinenza urinaria da stress (mano frequenti, anche se possibili, sono l’incontinenza fecale ed il prolasso vescicale ed uterino). Nella quasi totalità dei casi di diastasi postgravidica è presente un’ernia ombelicale o, meno frequentemente, un’ernia epigastrica (più rare sono le ernie della porzione sottoombelicale dell’addome, come l’ernia di Spigelio); le cui complicanze, in alcuni casi, possono essere molto gravi, e che pertanto vanno SEMPRE operate, indipendentemente dalla diastasi.
LA CHIRURGIA ENDOSCOPICA MININVASIVA DELLA DIASTASI DEI RETTI
Il trattamento della diastasi dev’essere realizzato da un chirurgo specializzato nel trattamento delle patologie della parete addominale.
L’intervento tradizionale consiste nell’addominoplastica e nella sua variante miniaddominoplastica. Questo intervento, utile nelle persone con grembiule adiposo (in cui nello stesso tempo può essre eseguita una dermolipectomia, cioè l’asportazione della pelle in eccesso e del sottostante tessuto adiposo), è meno gradito dalle pazienti magre o comunque in buona forma fisica, a causa dei suoi esiti cicatriziali molto ampli, della lunga convalescenza e dei rischi relativi al lembo dermoepidermico (tra cui la necrosi della cute).
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Da alcuni anni è disponibile un nuovo intervento minimamente invasivo per il trattamento della diastasi dei retti: la riparazione endoscopica pre-aponeurotica (R.E.P.A.), tecnica messa a punto dal Dr. Derlin Juares Muas, noto chirurgo della parete addominale argentino. In questo intervento, attraverso tre piccole incisioni (due da 10 mm circa ed una da 5 mm circa) al di sopra del pube, con tecniche ben note ai chirurghi che si occupano di chirurgia laparoscopica avanzata della parete addominale si suturano le fasce dei muscoli retti addominali, ricostruendo la linea media dell’addome e riparando la diastasi, e si stabilizza e rinforza tale riparazione mediante il posizionamento di una rete – la qual cosa riduce sensibilmente il rischio di recidiva. Questo intervento, dai risultati davvero eccellenti, è molto popolare nei Paesi Iberoamericani (Spagna e Paesi dell’America Latina), mentre altrove è quasi sconosciuto. In Italia è realizzato dal Dr. Salvatore Cuccomarino, che ha lavorato per molti anni in Spagna ed ha appreso la tecnica direttamente dal Dr. Juares Muas, suo amico personale.
È opportuno ricordare che chirurgia endoscopica e chirurgia laparoscopica non sono la stessa cosa.
Nella chirurgia laparoscopica della parete addominale - a meno di padroneggiare tecniche molto avanzate di separazione dei componenti, oggi patrimonio di pochi chirurghi al mondo - quello che normalmente si fa è posizionare una rete per riparare un difetto della parete. Non si esegue, quindi, nessuna plicatura della fascia dei retti, rispetto ai quali il punto di vista del chirurgo e gli strumenti con cui lavora si collocano posteriormente. Con la tecnica endoscopica, invece, si realizza la plicatura per via anteriore, esattamente come nell'addominoplastica tradizionale, ma senza la cicatrice dell'addominoplastica. Possiamo dire che la chirurgia endoscopica è, come la chirurgia laparoscopica, minimamente invasiva; ma gli spazi in cui ci si muove, e quindi i gesti tecnici che si possono realizzare, sono molto diversi.
L’uso della rete nella chirurgia endoscopica della diastasi è parte integrante della tecnica. Tutti i chirurghi che si occupano di chirurgia della parete addominale sanno che qualsiasi riparazione di un suo difetto, fosse anche una piccola ernia ombelicale, senza l'uso di una protesi ha una buona probabilità di fallire: le percentuali di recidive aumentano fino a valori oggi non più accettabili. La rete ha una fondamentale funzione di "impalcatura”, e favorisce la formazione del tessuto fibroso che stabilizza la sutura della fascia dei retti. È proprio questo tessuto fibroso che rende stabile la riparazione: la sola sutura, col tempo, sarebbe destinata ad essere riassorbita o a frammentarsi.
Riguardo le complicanze postoperatorie della tecnica R.E.P.A., la principale consiste nella formazione di sieromi od ematomi; può essere facilmente prevenuta lasciando in sede un drenaggio per alcuni giorni e, quando si verifichi, nella maggioranza dei casi può essere facilmente risolta senza dover reintervenire, con tecniche conservative. La percentuale di recidive è molto minore rispetto all'addominoplastica tradizionale, proprio grazie all'uso della rete.
L'intervento prevede in genere una notte di ricovero in ospedale. La paziente dovrà portare da subito e per un mese una fascia addominale, e per lo stesso tempo dovrà evitare di fare sforzi od attività sportiva; in seguito, dovrà eseguire, sotto la guida di un buon fisioterapista, un periodo di drenaggio linfatico addominale e di ginnastica ipopressiva, concluso il quale potrà tornare alle sue normali attività sia quotidiane che sportive.
Un video dell’intervento può essere visionato online all’indirizzo https://coloproctologiatorino.cuccomarinomd.com/chirurgia-endoscopica-della-diastasi-dei-retti-il-video/
C.V. Dott. Luca Grassetti
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Nuove informazioni terapie e cure nella dermatomiosite sclerodermica
Apr 20th
Nuove informazioni, terapie e cure nella dermatomiosite- sclerodermica
Cos'è la dermatomiosite
La dermatomiosite è una Patologia del tessuto connettivo caratterizzata dall’Infiammazione e dalla distruzione dei tessuti della pelle e dei muscoli scheletrici. La dermatomiosite può comportare infiammazioni e insufficienze cardiache o patologie polmonari che, in casi estremi, possono causare la morte. Spesso si manifesta insieme ad artrite reumatoide, febbre reumatica, sclerodermia e – soprattutto nei soggetti anziani – ad alcuni tipi di Tumore. Una condizione simile, che presenta tutti i sintomi tranne quelli cutanei, è la poliomiosite.
Cause della dermatomiosite
La dermatomiosite può insorgere in seguito una reazione autoimmune o da un’infezione virale ( BORRELIA BURGDORFERI che ho avuto !) muscolo-scheletrica. Ed essere associata a sclerodermia e rush. Le vere cause sono però ancora sconosciute.
Diffusione della patologia
La dermatomiosite può colpire persone di ogni età, ma è più diffusa tra i 40 e i 60 anni o tra i 5 e i 15 anni. Compare più frequentemente tra le donne piuttosto che tra gli uomini.
Sintomi: come si manifesta la dermatomiosite
I principali sintomi della dermatomiosite sono la rigidità e il dolore muscolare, soprattutto nei muscoli degli arti. Si presentano anche manifestazioni cutanee, sotto forma di eruzioni, arrossamenti e lesioni eczematose (concentrate gli arti) e se vi e’ associata la sclerodermia, vi saranno anche complicazioni interne severe.
Altri sintomi sono rappresentati da dolori articolari, travasi ematici, difficoltà a deglutire e a respirare a camminare a muoversi.
Come avviene la diagnosi
La diagnosi si basa su un esame fisico, atto soprattutto ad identificare la debolezza muscolare (che si presenta con difficoltà ad alzarsi da seduti, a sollevare le braccia o a salire le scale) e l’eruzione cutanea (uno sfogo rosso scuro).
Altri esami da eseguire possono essere:
elettromiografia (per diagnosticare l’infiammazione muscolare);
biopsia muscolare;
Risonanza Magnetica per Immagini;
elettrocardiogramma;
Termografia a raggi infrarossi
Esami polmonari
Esami per la motilita’ intestinale
analisi del sangue, specie della creatinfosfochinasi (enzima liberato durante la distruzione delle fibre muscolari). Etc…
Accertamenti e Trattamento e cura della dermatomiosite
esami di laboratorio:
Laboratorio La diagnosi di SL rimane essenzialmente clinica, ma alcune indagini ne permettono una migliore definizione. Gli indici di flogosi possono risultare modicamente elevati. Il 23-73% dei pazienti presenta ANA positivi (in particolare nelle forme lineari), il 20-45% il fattore reumatoide positivo.
Gli anticorpi anti-istone sono stati rilevati nel 47% dei pazienti; in particolare nella forma generalizzata, si associano a una forma più estesa e correlano con l’attività di malattia. Altri autoanticorpi (anti-DNA, anti-fosfolipidi, anti-U1RNP, anti-Scl70, anti-centromero) sono stati riscontrati in una significativa percentuale di pazienti. L’ipereosinofilia e l’ipergammaglobulinemia risultano markers di attività di malattia, tendendo alla normalizzazione nel corso della risposta alla terapia.
Altri accertamenti
La biopsia cutanea è un’indagine utile per la conferma diagnostica, ma non indispensabile per distinguere le diverse forme.
INTERESSANTE: Una tecnica non invasiva utilizzata da alcuni anni nella rilevazione di alterazioni della temperatura cutanea correlate all’attività di malattia è la termografia a raggi infrarossi. E Anche lo Skin Score Computerizzato (CSS) ha fornito un aiuto a livello diagnostico nei pazienti con sclerodermia. Tale metodica consente la digitalizzazione dell’immagine della lesione sclerodermica. È così possibile calcolare con esattezza l’area della lesione e monitorarne le modificazioni nel tempo. L’ecografia ad alta frequenza rappresenta una tecnica molto valida, soprattutto se associata al color Doppler che permette di apprezzare, oltre alle variazioni di spessore e di ecogenici.
Classificazione della sclerodermia sistemica e localizzata Sclerosi sistemica Sclerodermia cutanea - Diffusa - Limitata Sindromi da overlap
- Sclerodermatomiosite o sclerodermia associata a malattie del connettivo
La risonanza magnetica nucleare (RMN) consente lo studio di organi o apparati che possono essere coinvolti,
come il SNC e l’occhio, e può rilevare l’effettiva profondità delle lesioni cutanee, dato estremamente utile nel sospetto di coinvolgimento osseo.
Monitoraggio del decorso . Il punteggio totale del LoSSI viene calcolato sommando 4 punteggi sulla base del grado di coinvolgimento superficiale all’interno di ciascun sito anatomico, il grado di eritema al bordo di una lesione, lo spessore della pelle, e la comparsa di una nuova lesione e/o ingrandimento di una lesione (col CSS)
Terapia :
Il trattamento della Dermatomiosite sclerodermica rappresenta ancora oggi una sfida per il clinico, principalmente legata alla morbilità associata alle alterazioni cutanee, muscolari e ossee della malattia che determinano un deficit di crescita.
Il trattamento topico resta la scelta terapeutica ma nei casi in cui la patologia è associata a un tumore, è necessaria la sua rimozione chirurgica.
La riabilitazione e la fisioterapia sono fondamentali per il paziente.
Dermatomiosite associata a Sclerodermia sistemica
Quando sospettare anche una sclerodermia sistemica, il sospetto diagnostico parte dal quadro cutaneo e dalla sua estensione. Si riconoscono tre tipi di SS:
la forma diffusa,
la forma limitata
e le forme overlap.
La prima è caratterizzata da una sclerosi cutanea diffusa, che coinvolge gli arti sia a livello prossimale che distale e può coinvolgere organi interni e apparati precocemente;
la seconda, denominata in passato con il termine CREST (Calcinosi, Raynaud, Esofago, Sclerodattilia e Teleangiectasie), ha invece un decorso più favorevole, poiché interessa per lo più la cute della parte distale degli arti e solo tardivamente e in maniera incostante gli organi interni;
le forme overlap – o da sovrapposizione – sono invece caratterizzate dalla coesistenza di segni e sintomi tipici di altre connettiviti quali la DMG e il LES.
L’esordio è spesso insidioso e connotato da progressivo irrigidimento, assottigliamento e atrofia della cute delle mani e del volto, talvolta preceduto da edema della cute e del sottocutaneo, con dolore e calore localizzati.
Nella forma di CREST la fase sclerotica, induce la cute rigida, dura e aderente ai tessuti sottostanti. A livello delle mani, la sclerosi cutanea può determinare contratture ingravescenti delle dita e il vasospasmo acrale può causare atrofia o ulcerazione dei tessuti molli ai polpastrelli. L’interessamento della cute del volto produce la regressione della mimica facciale, con espressione immobile, scomparsa delle rughe e ridotta apertura della rima orale.
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L’interessamento polmonare, di tipo interstiziale, è una delle complicanze più temibili della dermatomiosite sclerosante con elevato rischio di mortalità.
L’esecuzione del test di funzionalità respiratoria e lo studio della capacità di diffusione polmonare sono indispensabili in questi casi, evidenziando un quadro di natura restrittiva.
L’esame più affidabile per documentare la fibrosi polmonare è tuttavia la TC ad alta risoluzione del polmone, che evidenzia opacità a vetro smerigliato, alterazioni a nido d’ape, opacità lineari e micronoduli sub-pleurici.
Circa un quarto dei pazienti presenta un interessamento gastro-intestinale, con alterazioni della motilità esofagea, disfagia, reflusso gastro-esofageo, esofagite, ipotonia intestinale, quindi rallentamento del transito, distensione intestinale e insorgenza di pneumatosi intestinale.
Sintomi muscolo-scheletrici si osservano in almeno un terzo dei pazienti e si manifestano con rigidità mattutina, dolore e contratture articolari.
Un reperto caratteristico è rappresentato dai rumori di sfregamento prodotti dal movimento del tendine ispessito sulla propria guaina ricoperta di depositi fibrinosi e apprezzabili alla palpazione o alla ascoltazione con uno stetoscopio.
Accertamenti e diagnosi
I pazienti con SS sono spesso ANA ed ENA-positivi, con anticorpi anti-Scl70 frequentemente positivi.
Gli anticorpi anti-centromero sono tipici della forma di SS cosiddetta “limitata”, assai rara nel bambino.
L’esame capillaroscopico può supportare la diagnosi di SS, evidenziando dilatazione dei capillari periungueali, aree avascolari e/o sovvertimento dell’architettura dei capillari, tipici in questa malattia. Il completamento dell’iter diagnostico avviene mediante metodiche mirate allo studio del coinvolgimento polmonare e/o gastrointestinale in particolare.
Terapia :
Non esistono terapie sicuramente efficaci nella DSS ed esistono pochissimi studi controllati a supporto delle terapie esistenti.
I corticosteroidi (CORTISONICI) risultano spesso scarsamente efficaci
Il farmaco storicamente più utilizzato nell’interessamento cutaneo è la D-penicillamina, la cui efficacia è tuttavia controversa.
Nell’ambito degli immunosoppressori, il methotrexate si è rivelato il più opportuno nel trattamento MA SOLO NELLE LESIONI CUTANEE.
Nell’interstiziopatia polmonare la ciclofosfamide è solo parzialmente efficace,
In bambini con SS e fibrosi polmonare progressiva è stato sperimentato con successo il trapianto autologo di cellule staminali.
Ha recentemente destato interesse il possibile impiego dell’Imatinib, un farmaco inibitore delle tirosin-chinasi dotato della capacità di bloccare alcune vie metaboliche coinvolte nella genesi del processo fibrosante. Ma e’ ancora in fase di sperimentazione e ha molti effetti collaterali.
Per un corretto monitoraggio degli effetti di tali terapie, sono stati ideati alcuni scores di misurazione dell’attività di malattia.
In generale, la prognosi delle forme di DSS giovanile rimane più favorevole di quella dell’adulto.
Tuttavia la possibilità di un coinvolgimento d’organo e la progressione della malattia rendono ancora oggi la DSS una patologia impegnativa, potenzialmente fatale e causa in molti pazienti di importante disabilità.
* aleconsolaro@hotmail.com * alessandroconsolaro@ospedale-gaslini.ge.it
Bibliografia:
AGGIORNAMENTI: www.SPAZIOSACRO.IT
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Le Piante sanno contare? Pare proprio di si'
Gen 22nd
Le piante sanno “contare”? Pare proprio di si’
Secondo una ricerca del John Innes Center di Norwich, in Inghilterra, pubblicata sulla rivista scientifica Focus le piante saprebbero “contare”.
I vegetali sarebbero in grado di fare un countdown per stimare quando sorge il Sole per razionare la propria energia.
Infatti, durante il giorno si alimentano usando l’energia solare che converte l’anidride carbonica in zuccheri.
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Invece, dopo il tramonto si nutrono usando le riserve di amido in modo che si esauriscono all’alba.
Come fanno, allora, a stimare la quantità di amido a disposizione e il tempo che manca al sorgere del Sole?
Il merito sarebbe di due molecole presenti nelle foglie, chiamate S e T. Infatti, l’attività di queste sostanze consente di adattare il metabolismo energetico alla durata della notte.
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Inventa un Pesticida 100% Naturale che Fa Bene al Pianeta ma Nessuno ne Parla
Set 1st
Inventa un Pesticida 100% Naturale che Fa Bene al Pianeta ma Nessuno ne Parla
L’utilizzo di pesticidi chimici nelle coltivazioni agricole preoccupa da molto tempo l’opinione pubblica, perché non solo avvelenano
ciò che mangiamo ma sono anche la causa prima della moria delle api, la cui esistenza è fondamentale per la vita sulla Terra.
Nel 2006 il micologo Paul Stamets ha ufficialmente ottenuto il brevetto per il primo pesticida bio di sua invenzione, ma la notizia non ha avuto la giusta rilevanza sui classici canali di informazione.
Questa scoperta infatti, che renderebbe superfluo l’utilizzo di pesticidi chimici, metterebbe a rischio gli enormi guadagni delle grandi multinazionali che operano nel settore agrario, di cui alcune operanti a livello internazionale.
Il brevetto di Stamets prevede l’utilizzo come pesticidi naturali di funghi entomopatogeni, cioè funghi che uccidono gli insetti. Nel dettaglio, i funghi pre-conidiali, cioè privi di spore, crescendo sulle coltivazioni di grano, sul legno, sugli scarti agricoli e su qualsiasi sostanza cellulosica, attirerebbero più di 200.000 specie di insetti, che nutrendosi dei funghi si mummificano e diventano essi stessi funghi. Inoltre, la loro matrice si presta ad essere essiccata, liofilizzata e trasformata in granuli, cosi da essere riutilizzata al momento del bisogno.
Questo metodo quindi risulta non solo totalmente naturale, ma anche riproducibile in maniera continuativa e permanente, rendendo del tutto vano l’utilizzo di pesticidi chimici. Per tale motivo, le multinazionali, operanti nel settore, hanno utilizzato tutta la loro potenza economica per evitare la diffusione della notizia, fregandosene della salute del singolo e della vivibilità del nostro pianeta.
https://www.youreduaction.it/inventa-pesticida-naturale-fa-bene-al-pianeta-nessuno-ne-parla/
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In principio era la Consapevolezza: intervista al fisico Amit Goswami
Apr 10th
In The quantum activist lei parla di scienza materialistica e scienza della consapevolezza. Che cos’è per lei la “scienza materialistica” e quali sono i suoi limiti?
In realtà, ciò che critico è la metafisica. La scienza materialista, oggi come oggi, ci ha dato una tecnologia meravigliosa. Nessuno può negare i vantaggi che la scienza materialista ci ha dato, a partire dalla luce elettrica per arrivare a internet. Apprezzo molto tutte queste cose. Non ho alcun rimprovero da muovere a nessuno dei padri della scienza materialista: Newton, Einstein, Heisenberg, Schulsinger.
Questi sono nomi insigni che io venero, letteralmente. Il punto non è questo. Il punto è che la scienza materialista, a partire dagli anni Cinquanta, ha cominciato ad adottare un particolare tipo di metafisica dalla quale poi non si è più staccata. L’adozione di questa metafisica è inutile, perché la scienza non si deve fissare su una metafisica, fino a quando non è totalmente certa. La metafisica deve necessariamente essere priva di paradossi. La scienza che opera usando l’attuale concezione del mondo, la metafisica di cui sto parlando, la chiamo scienza materialista. Tale concezione del mondo, non necessaria, è la seguente: ogni cosa è composta di materia.
Sarebbe stato molto meglio definire questa scienza semplicemente come la scienza del mondo materiale, invece si è voluto a tutti i costi sostenere che non solo avevamo sviluppato la scienza del mondo materiale, ma che quest’ultimo era tutto ciò che esisteva, benché la fisica quantistica ci stesse già offrendo un grande paradosso: secondo la fisica quantica (che è la scienza del mondo materiale, la scienza estrema del mondo materiale) gli oggetti non sono altro che possibilità. E le interazioni materiali non possono mai trasformare queste possibilità in oggetti tangibili. Le interazioni materiali possono solo trasformare le possibilità in altre possibilità. Dunque, se abbiamo solo la materia e niente altro, è impossibile superare il paradosso quantico della misurazione: in che modo la nostra misurazione od osservazione crea le possibilità, trasforma alcune possibilità negli eventi concreti della nostra esperienza.
Questo paradosso era già noto.
Ma c’era un altro paradosso: quello della percezione. In tutte le percezioni, noi non percepiamo soltanto gli oggetti, ma anche il nostro essere dei soggetti. Il filosofo David Chalmers ha fatto notare – e in questo è stato bravissimo – che partendo dagli oggetti, possiamo sempre e solo spiegare altri oggetti. Non possiamo mai spiegare il soggetto. Dunque, questa scissione soggetto/oggetto, presente all’interno di tutte le percezioni ordinarie, resta un notevole paradosso del materialismo scientifico.
Esistono però molti altri paradossi del genere. Per esempio: come distinguere la vita dalla non-vita, l’inconscio dal conscio.
Signor Goswami, cos’è la scienza basata sulla consapevolezza? Quali ne sono le origini e cosa c’è di nuovo in essa?
Le origini, ovviamente, vanno ricercate nel mutamento, richiesto da tutto il mondo, nel nostro modo di fare scienza. Oggi come oggi, infatti, facciamo scienza partendo da una metafisica materialista secondo la quale la materia è il fondamento di tutto l’essere. Ciò non solo impedisce alla consapevolezza e alla spiritualità di essere forze trainanti della nostra società e della nostra vita, ma relega in secondo piano le arti e le discipline umanistiche.
Ciò non è ammissibile. Se davvero tutte le cause risalissero alle particelle elementari e alle loro interazioni, non avremmo il libero arbitrio, ma quest’ultimo è evidente in tutto ciò che facciamo, nella nostra creatività e nell’agire stesso degli scienziati. Einstein non avrebbe mai scoperto la Teoria della Relatività se fosse stato solo una macchina materiale. Quindi, la mia domanda è: “Perché non nutriamo un po’ di sano scetticismo verso questa filosofia?”. È incredibile, per me, che tutte quelle persone intelligenti capaci di costruire grandi acceleratori e condurre ricerche, diciamo così, avventurose, non nutrano poi il minimo dubbio sulla loro metafisica di base, secondo la quale tutto è solo e unicamente materia. La mente, la consapevolezza, non sono altro che epifenomeni del cervello. Se davvero fossimo fatti in questo modo, non esisterebbe il libero arbitrio, la libertà di dare un nuovo significato alle cose.
In alte parole, non avremmo alcuna creatività. La creatività è la scoperta di un significato nuovo, di un contesto inedito all’interno del quale assegnare nuovi significati. Ma se è impossibile elaborare significati, non esiste nulla di simile alla creatività. Roger Penrose ha dimostrato che il processo del significato non può essere svolto dalla materia, dal computer. Per cui, l’attuale concezione del mondo esclude il significato, ma anche il sentimento, perché quest’ultimo non può essere computato. Essa permette solo il pensiero computabile, la materia e la percezione.
Quindi, delle nostre quattro possibili esperienze – percezione, sentimento, pensiero e intuizione – due sono tagliate fuori, e se escludiamo anche la possibilità di creare significati nuovi, ci restano soltanto un’esperienza e mezza: la percezione e la parte computabile del pensiero. Che genere di immagine di noi stessi ricaviamo da tale tipo di scienza? Per questo, io sono dell’opinione che dobbiamo cambiare. Dobbiamo porre la nuova concezione della consapevolezza mondiale alla base di tutto l’essere, perché la fisica quantistica ci insegna ad includere tutte e quattro queste esperienze. La fisica quantistica semplicemente afferma che se la materia consiste in possibilità di consapevolezza, allora anche la mente, le energie vitali che percepiamo e gli archetipi che intuiamo possono rientrare tra le possibilità della consapevolezza, e se qualcuno solleva l’obiezione del dualismo, la mia risposta è molto semplice: qual è il mediatore tra la mente e la materia?
La consapevolezza. E in che modo si attua questa mediazione? Tramite la comunicazione non-locale, una comunicazione che non richiede segnali, perché essi fanno tutti parte della consapevolezza stessa. La consapevolezza interagisce con se stessa. Non richiede segnali locali, per cui non viene violata nessuna legge fisica.
Perché la scienza basata sulla consapevolezza funziona? C’è qualche fenomeno che la scienza tradizionale non sa spiegare e che invece diventa chiaro alla luce della scienza basata sulla consapevolezza?
Ci sono dei fenomeni molto particolari che non potranno mai essere spiegati dalla scienza basata sulla materia. Si tratta di fenomeni che postulano la non-località, la comunicazione senza segnali, la discontinuità, il salto quantico che fa a meno delle fasi intermedie e la gerarchia complicata (un tipo di gerarchia di livelli così elaborata da rendere inevitabile una discontinuità).
Questo sistema va considerato un tutt’uno a cui non si può pervenire mediante il processo razionale, la sintesi dai substrati di base. Mi lasci fare degli esempi. La non-località è stata ormai oggetto di molti e diversi esperimenti, il migliore (e l’ultimo) dei quali è quello sul potenziale di trasferimento. L’attività elettrica viene trasferita da un cervello a un altro senza alcun contatto elettrico. Ebbene, questo esperimento è stato ripetuto da cinque gruppi diversi in altrettanti laboratori sparsi per il mondo. Dunque, le probabilità che sia corretto sono molto elevate. Ci troviamo di fronte, a livello materiale, a una connessione non-locale tra due persone. Poi c’è la discontinuità. Le dirò che è la nostra stessa creatività a essere caratterizzata da questo salto quantico discontinuo. Esso fa parte del processo creativo, come è stato accertato dalle ricerche sull’argomento che vengono condotte ormai da un centinaio di anni.
Non solo: disponiamo anche di dati oggettivi, perché esiste la guarigione quantica, la guarigione che ha luogo spontaneamente senza alcun intervento medico. È noto che ci sono stati casi di tumori spariti in una sola notte. Non esiste altra spiegazione di questo fenomeno che la guarigione quantica, ovvero un salto quantico, all’interno del processo di pensiero, che ha rimosso un blocco emotivo, liberando così profondamente il movimento dell’energia che l’intero sistema immunitario è tornato a funzionare correttamente. In tal modo, un tumore può sparire nell’arco di una sola notte.
Questi processi postulano, ancora una volta, l’idea della discontinuità in modo così convincente che non abbiamo altra scelta che accettare la nuova concezione, dal momento che quella vecchia (il materialismo) ha un grosso difetto: le interazioni materiali non possono mai simulare la discontinuità. Esse sono continue.
Veniamo infine alla gerarchia complicata. Qui desidero lanciare ai materialisti una sfida: due teoremi dell’impossibilità. Il primo teorema è che è impossibile costruire una cellula vivente partendo dalle componenti di base, le molecole. In altre parole, non si può costruire una cellula vivente perché è fondamentalmente un tutto organico. È impossibile scinderla nei suoi componenti, perché ha in sé una gerarchia complicata. Possiede al proprio interno una discontinuità.
È possibile costruire una cosa, passo dopo passo, solo se è un processo continuo. Se nella struttura c’è una discontinuità, non si può edificare passo dopo passo. E questo rende improbabile la creazione di una macchina conscia. Da qui il mio secondo teorema dell’impossibilità: è impossibile costruire un computer conscio in laboratorio. Vediamo se i materialisti riusciranno a risolvere questi due problemi: se sì, tanto di cappello. Accetterò il materialismo.
Consapevolezza e materia: secondo lei, c’è davvero una contrapposizione?
No: e il punto è proprio questo. La consapevolezza è il fondamento di tutto l’essere, inclusa la materia. La materia consiste di onde di possibilità tra cui la consapevolezza può scegliere. Considerando le cose in questo modo, si possono spiegare anomalie come l’effetto osservatore, paradossi come quello della misurazione quantica e molti altri ancora. Prima ho cominciato a spiegare il paradosso della percezione. Tutte queste cose possono essere spiegate benissimo dalla nuova scienza. Di fatto, stiamo assistendo alla nascita di una scienza libera da paradossi, a patto che cominciamo a lavorare con l’idea che la consapevolezza è il fondamento di tutto l’essere.
Esistono prove scientifiche del fatto che la consapevolezza è il fondamento della realtà?
Sì, disponiamo di un’enorme mole di dati scientifici che dimostrano come la consapevolezza sia il fondamento dell’essere: non mi riferisco solo ai paradossi, ma anche ai dati anomali. A tal proposito, uno dei fatti più notevoli è quello che i dati fossili, i ben noti dati fossili, presentano degli intervalli, chiamati intervalli fossili. Secondo la teoria di Darwin, che è una teoria materialista – essa postula solo la materia e le interazioni materiali – esiste un’evoluzione continua da una specie all’altra. In realtà, si tratta di una teoria dell’adattamento. Se l’ambiente muta costantemente, altrettanto costantemente mutano le specie.
Questa era l’idea di partenza: affrontare l’ambiente adattandosi a esso. Per cui, la teoria di Darwin richiede che l’evoluzione sia lenta e continua. Però si dà il caso che esistano ere prive di dati fossili. Provo a spiegarmi meglio con un esempio: prendiamo il caso dell’occhio. Una trasformazione del genere richiede migliaia di migliaia di mutazioni genetiche. La singola mutazione genetica – diciamo un millesimo di un occhio – non è sufficiente. Non ha valore ai fini della sopravvivenza. Quindi, secondo la teoria della selezione naturale di Darwin, essa verrà eliminata automaticamente, perché la selezione naturale opera solo in base al criterio della sopravvivenza. Se un cambiamento non ha valore ai fini della sopravvivenza, non può affermarsi nell’organismo. È semplicissimo. Non si può pensare che migliaia di migliaia di mutazioni simili sfuggano alla selezione naturale e in qualche modo rendano possibile l’evoluzione di una specie in una specie nuova, dotata di un nuovo organo.
Non può succedere, se è vera la teoria di Darwin. Quindi, la nuova teoria (quella basata sulla consapevolezza) sostiene che qui ci troviamo di fronte a un caso di salto quantico. Ecco un esempio di transizione da una specie a un’altra, dotata di un nuovo organo, attraverso il processo della creatività. Il salto quantico è il processo nel quale non occorrono passi intermedi. È un balzo da uno stadio a un altro, senza fasi di transizione. E questo è esattamente ciò che accade nell’evoluzione biologica. Ecco un ottimo esempio delle prove che lei mi ha chiesto. La discontinuità non può mai essere simulata da interazioni materiali. E dinanzi a questi intervalli fossili, abbiamo una prova della discontinuità.
Questo è un esempio, ma ce ne sono molti altri. Prima ho accennato alla percezione quantica: essa rappresenta un altro caso. La non-località, la parapsicologia che ho prima menzionato, sono tutti ottimi esempi che ci portano a ritenere giusta la nuova concezione e sbagliata la vecchia, perché la non-località fa parte della nuova concezione. La consapevolezza è non-locale, mentre l’interazione materiale non può mai essere non-locale. Poi vi sono le prove dell’esistenza dei corpi sottili, non-materiali, a proposito dei quali disponiamo di dati concernenti la reincarnazione, ovvero il fatto che quando moriamo, una parte di noi, i nostri schemi abitudinari, sopravvive alla morte. Perché avviene questo? Perché tale ricordo degli schemi abitudinari non è locale, bensì non-locale.
Quando moriamo, i ricordi non-locali dell’apprendimento mentale e dell’apprendimento vitale sopravvivono, e poiché sono non-locali, possono venire ereditati, in futuro, da un neonato. Eccoci quindi di fronte a un’eccellente teoria della reincarnazione. Naturalmente, i dati sulla reincarnazione oggi sono molto solidi – i primi risalgono a una cinquantina di anni fa – e a essi bisogna aggiungere le esperienze di pre-morte, a loro volta assai ben documentate. Nell’insieme, questi elementi ci forniscono una prova convincente che la sopravvivenza alla morte è una realtà, non una fantasia.
In questo contesto, di cosa parliamo quando parliamo di Dio?
Sono contento che lei abbia posto questa domanda. Dio è una domanda scientifica, perché Egli è dove è: si tratta di una nuova fonte della causalità. Esiste la causalità materiale: non vi sono dubbi su di essa. La scienza materialista è certamente un lato della medaglia: questo è indiscutibile, perché le interazioni materiali tra particelle elementari producono possibilità. Poi, però, abbiamo bisogno della consapevolezza per scegliere tra queste possibilità.
Questo lato della medaglia viene ignorato dal materialismo. Quindi, deve esistere un altro tipo di causalità, una causalità che consista nello scegliere, tra le varie possibilità, l’evento concreto dell’esperienza: questa la chiamiamo “causalità discendente”. La sua fonte, però, potremmo anche chiamarla Dio. A questo proposito, le dico una cosa che potrebbe interessarla. Non mi importa se agli atei la parola Dio non piace e preferirebbero chiamare questa fonte in altro modo.
Questo Dio che stiamo scoprendo è un Dio oggettivo. Quindi, se vuole, può anche chiamarla “consapevolezza quantica”, eliminando tutta quell’emotività che gli scienziati materialisti associano alla parola “Dio”. Qualunque nome scegliamo, l’essenza è ciò che importa, e l’essenza è la causalità discendente. L’essenza è l’esistenza dei corpi sottili. Si tratta di due cose ormai riconosciute a livello sperimentale, per cui dico sempre che la prova scientifica di Dio già esiste. La sola domanda è: cosa vogliamo farci?
Chi è Amit Goswami
Amit Goswami ha conseguito il suo dottorato in Fisica teoretica e nucleare all’Università di Calcutta nel 1964 ed è stato professore di Fisica all’Università dell’Oregon dal 1968.
Ha insegnato fisica per trentadue anni nel suo Paese, in gran parte in Oregon, prima di ritirarsi completamente, nel 2003.
Il professor Goswami è stato anche uno studioso all’Istituto di Scienze Noetiche dal 1998 al 2000.
Amit Goswami è pioniere di un paradigma scientifico multidisciplinare fondato sul primato della coscienza. La sua ricerca è stata pubblicata nelle riviste scientifiche in tre diversi campi: fisica, biologia e psicologia.
http://www.scienzaeconoscenza.it/blog/scienza_e_fisica_quantistica/intervista-fisico-amit-goswami
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