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Le armi ultra-piccole della medicina

Un nanometro è un miliardesimo di metro: strumenti e farmaci talmente piccoli da poter interagire con le cellule

MILANO – Promettono d’individuare nuovi strumenti di diagnosi precoce e possono aiutare a trasportare i farmaci all’interno delle cellule tumorali, minimizzandone l’effetto sui tessuti sani. È questa la grande scommessa delle nanotecnologie, le cui applicazioni in medicina (non solo in oncologia) sono già numerose e in continua crescita. Non a caso le notizie e gli studi sul tema si fanno sempre più frequenti. Alcuni giorni fa è apparso sulla rivista dell’Accademia di Scienze Americana (Pnas) lo studio di un gruppo di ricerca statunitense che descrive come una crema dermatologica comunemente in commercio potrebbe veicolare attraverso la pelle nanoparticelle in grado di spegnere in modo selettivo i geni responsabili di alcuni tumori della pelle e di alcune malattie. Sempre di recente, ricercatori australiani hanno sperimentato l’uso di calamite e di nanoparticelle magnetiche per somministrare con precisione mirata i farmaci contro il cancro, per aiutare a ridurre i gravi effetti collaterali della chemioterapia convenzionale, che attacca le cellule sane oltre a quelle cancerose. Ecco perché l’ottavaConferenza Mondiale sul futuro della scienza (che si terrà a Venezia dal 16 al 18 settembre, promossa da Fondazione Umberto VeronesiFondazione Giorgio CiniFondazione Silvio Tronchetti Provera) ha il titolo "Nanoscience Society" ed è dedicata proprio alle nanotecnologie.

NANOSCIENZE? ECCO COSA SONO - «Le nanoscienze – spiega Umberto Veronesi, presidente della conferenza - ci permettono di scomporre e ricostruire il mondo in nanometri, la misura degli atomi e delle molecole, e dunque la dimensione della natura. Le possibilità che si aprono di fronte a noi sono infinite, come infinite sono le forme e le combinazioni della natura. Per dare un’idea delle grandezze in cui ci muoviamo, una cellula misura 5 micron, dunque 5mila nanometri. La nostra mente quasi si perde di fronte a queste misure infinitesimali, ma riusciamo a intuire a quale livello di dettaglio possiamo arrivare nel migliorare un materiale, o un circuito, o una pianta. Oppure nell’identificare qualsiasi anomalia iniziale per interferire meglio con gli elementi biologici elementari delle malattie, come il cancro. Per gestire questa rivoluzione bisogna che la popolazione ne capisca l’immenso potenziale a favore della vita dell’uomo nella sua quotidianità, e del pianeta nella sua totalità. L’impatto sociale della nanoscienza è enorme: intellettuale, educativo, artistico, sentimentale, passionale, politico. Ma la società nanoscientifica sarà una società migliore».

GLI STUDI PIÙ RECENTI - «Quando parliamo di nanoscienze, non ci riferiamo a singole invenzioni ma alla creazione e allo sviluppo di intere famiglie di tecnologie completamente nuove. Gran parte del fermento è in campo genetico e biomedico, perché i nanomateriali sono della giusta dimensione per interagire con i fondamentali attori biologici, come le proteine, le molecole di Dna e i virus» aggiunge Chiara Tonelli, segretario generale della Conferenza e docente di genetica presso l’Università degli Studi di Milano. Prova ne è, per esempio, lo studio pubblicato su Pnas da ricercatori della Northwestern University che hanno usato nanosfere del diametro mille volte inferiore a quello di un capello umano per «confondere» il sistema immunitario (usando le proteine naturali come cavalli di Troia) e varcare le potenti barriere della pelle, penetrare nelle cellule e spegnere selettivamente i geni responsabili di alcuni tumori e malattie cutanee. La terapia è stata sperimentata sui topi e su cellule di pelle umana coltivate in vitro e i primi obiettivi dei nuovi trattamenti sono stati i due tipi di tumori della pelle più diffusi, il melanoma e il carcinoma delle cellule squamose, la psoriasi e le ferite dovute al diabete. «Possiamo indirizzare la terapia ai geni che scatenano la malattia, a un livello così microscopico che si può distinguere fra geni mutanti e geni normali - ha detto una delle autrici, Amy Paller -. I rischi sono ridotti al minimo, ed effetti collaterali non sono stati osservati fino ad oggi né nella pelle umana né sui topi». Gli scienziati dell’Università australiana di Sydney, invece, con la collaborazione di ricercatori in Scozia, hanno sviluppato un metodo per inserire una minuscola anima di ossido di ferro di appena 5 nanometri (un millesimo del diametro di un capello) in un farmaco anticancro, usando poi calamite per dirigerlo nell’area richiesta. In alternativa, si potrebbe – secondo gli esperti - impiantare un piccolo ma potente magnete nel tumore, e dirigere così il farmaco verso le cellule cancerose. L’obiettivo è quello di poter ridurre gli effetti collaterali associati alla chemioterapia come perdita dei capelli, nausea, vomito, calo dei globuli rossi: quando gli studiosi hanno posizionato una calamita sotto una piastrina contenente cellule cancerose, infatti, il farmaco ha distrutto solo le cellule vicino al magnete, lasciando illese quelle sane.

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Vera Martinella

http://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/12_luglio_20/nanotecnologie_7266e35c-ca75-11e1-bea1-faca1801aa9d.shtml

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