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Bioelettronica, ecco come ci cureremo con l'elettricita'

Bioelettronica, ecco come ci cureremo con l’elettricità

Nano-dispositivi capaci di controllare l’attività degli organi attraverso gli impulsi elettrici che viaggiano sui nervi. Ecco il nuovo approccio della ricerca medica

Infiammazioni, dolori, ipertensione, diabete: quando veniamo colpiti da uno di questi disturbi abbiamo a disposizione farmaci che possono bloccarlo, rallentarlo o perlomeno sedarne i sintomi. Questo grazie all’azione di precise sostanze chimiche, i principi attivi, che infilandosi tra gli ingranaggi delle cellule coinvolte intervengono sul loro funzionamento ripristinando i circuiti danneggiati, sostituendosi alle molecole mancanti oppure fungendo da paracadute per successivi processi patologici.

E se invece di questo approccio, quello farmacologico, si potesse agire sulle malattie intaccando esclusivamente l’attività del sistema nervoso, lavorando cioè direttamente sull’attività elettricadei nervi che percorrono il nostro corpo? È questo il fronte su cui lavora la bioelettronica, e in particolare la cosiddettaelettroceutica, una sezione della ricerca medica che intende capire se sia possibile aggirare le malattie che colpiscono i nostri organi attraverso stimoli elettrici capaci di interferire con l’attività dei nervi che li regolano, e che per qualche motivo è stata compromessa. Senza più bisogno di introdurre medicinali nell’organismo, bensì con l’applicazione di minuscoli elettrodiproprio a contatto con i nervi stessi.

Già sappiamo che il malfunzionamento del sistema nervoso periferico è collegato all’insorgenza di alcuni problemi di salute. Per esempio, ci sono meccanismi di controllo del sistema immunitario, quelli che regolano le risposte infiammatorie, che possono andare in tilt ma allo stesso tempo essere riportati alla normalità mediante un’opportuna stimolazione vagale, quella di un importantissimo nervo che dal cervello si estende fino all’addome. Insomma, laddove il legame tra malattia e attività nervosa a monte è nota, la neuromodulazione (cioè la stimolazione o l’inibizione degli stimoli elettrici dei neuroni) permetterebbe di spegnere il problema senza intervenire con compresse o l’iniezione di farmaci, ma solo innescando l’azione degli elettrodi. Ma con che tecnologia potremmo realizzare questa nuova pratica medica? Ne abbiamo discusso con Silvestro Micera, docente presso l’Istituto di biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e direttore delle unità di ingegneria neurale e bioingegneria del Politecnico Federale di Losanna.

“Abbiamo a disposizione interfacce per il controllo motorio di arti artificiali, per ridare stimoli uditivi, visivi, tattili, per rimuovere il tremore dovuto alla malattia di Parkinson”, spiega il professore, “ma per la prima volta ora si tenta di andare in una nuova direzione”. Cioè agire sul sistema nervoso autonomo (quello involontario) con nuove applicazioni. “Immaginiamo di impiantare un piccolissimo elettrodo attorno al nervo interessato, più un sistema controllabile che ne stimola il funzionamento e che comunica con l’esterno attraverso una tecnologia wireless”, va avanti lo scienziato. Si verrebbe così a creare un dispositivo che, a comando, consentirebbe un accesso raffinato al sistema nervoso e di controllare, a seconda delle necessità, i giusti stimoli, senza di fatto sottoporre il corpo agli effetti collaterali che tutti i farmaci hanno.

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Le nuove sfide da affrontare non sono solamente quelle sul fronte tecnologico, dove riuscire a costruire e adattare minuscoli apparati di neuromodulazione sui i nervi periferici. Come d’altronde si sta già facendo a livello centrale nella deep brain stimulation, cioè la stimolazione profonda del cervello, da anni in uso clinico. Ma anche e soprattutto quelle strettamenteanatomiche e fisiologiche, che su questi aspetti sono completamente pionieristiche e dove troviamo per ora pochissime evidenze, tante ipotesi e moltissime domande: quale nervo è direttamente coinvolto in questa malattia? Di che tipo di modulazione c’è bisogno? Quale elettrodo devo applicare?

Si inserisce qui il lavoro di cinque centri di ricerca su territorio internazionale che hanno di deciso di lanciarsi per primi in queste sfide e che, supportati da una fitta rete di finanziamenti da parte dell’unità di Ricerca & Sviluppo GSK Bioelectronics (Glaxo), si applicheranno nei prossimi anni nello studio delle relazioni esistenti tra i nervi e malattie specifiche, nella mappatura che segna il percorso degli impulsi elettrici in questi circuiti, nello sviluppo e nell’adattamento delle tecnologie che consentiranno di interfacciarsi con i singoli fasci nervosi. Si tratta dell’Università della Pennsylvania, dove si punterà tutto sulla comprensione del coinvolgimento nervoso nelle diverse patologie, del Feinstein Institute (Usa), dove verrà lanciato un progetto sui meccanismi dell’infiammazione e dell’artrite reumatoide (una malattia articolare di origine autoimmune), dell’Academic Medical Center di Amsterdam, che indagherà invece su malattie infiammatorie deltratto intestinale, dell’Università Nova di Lisbona, dove al centro della ricerca vi sarà il diabete, e della Duke University, dove si studieranno malattie dell’apparato urinario. Ma le prospettive di applicazione aprono anche a scenari come la cura delle infezioni, del dolore cronico, di disturbi cardiovascolari come l’ipertensionee il trattamento di malattie respiratorie come l’asma grave.

Quando potrebbero entrare in uso queste nuove strategie terapeutiche? “È impossibile per ora fare una previsione di questo tipo” spiega Micera: “Siamo troppo agli albori di questa ricerca per poterne definire anche solo i pro e i contro rispetto all’approccio classico: è un settore quasi completamente inesplorato”. Un settore promettente, che potrebbe rivoluzionare dalle radici il concetto di cura e avere un impatto incredibile sulla salute pubblica, così come rimettere in discussione l’impalcatura dell’intero mondo farmaceutico. Ma che allo stesso tempo è in forte discussione e non regala per ora alcuna promessa: pensiamo anche solo alle difficoltà che incontreremmo laddove, volendo agire attraverso un fascio nervoso su un singolo organo o tessuto, ne venissero coinvolti anche altri, di cui altereremmo (nostro malgrado) il funzionamento.

 

http://www.wired.it/scienza/medicina/2014/06/04/bioelettronica-cura-elettricita/?utm_source=wired&utm_medium=NL&utm_campaign=daily

 

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