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Nostro Signore degli anarchici

Nostro Signore degli anarchici

Diciassettesima domenica Tempo Ordinario anno 2021

Piaccia o non piaccia l’incanto si schianta alla fine, nel momento esatto in cui la folla, come sempre, chiede un re. Nessun re è possibile nel cuore dell’Anarchico.

Piaccia o non piaccia l’incanto si schianta, alla fine ogni tentativo di Cristo di costruire uno straccio di comunità si sfascia sotto i colpi di un potere che chiede di entrare a sfruttare lo stupore.

Piaccia o non piaccia il cristianesimo è da duemila anni che procede passo dopo passo legittimato da re e concorde al potere. Ed è questa cosa che svuota l’Evento di tutta la sua portata rivoluzionaria. No, non pensate subito al Vaticano e ai suoi intrallazzi, pensiamo a noi, al potere ambiguo del sorriso, ai nostri preti seduttivi ed ammiccanti, pensiamo a come gestiamo le parrocchie, pensiamo a noi, alla nostra immatura e continua ricerca di un re. Piaccia o non piaccia questo brano non lascia molto spazio alla poesia e al sogno, piaccia o non piaccia, alla fine, Cristo è solo, su un monte, con gente che vuole farlo re, e questo amici miei non è altro che l’anticipo del Calvario: un monte su cui lui solo rimane, con la gente che lo ha appena incoronato re. Mentre l’Anarchico muore.

Anarchico non è il caos, non è l’egoismo di chi vuol vivere da solo. Questa è propaganda.

Anarchico è un bambino non ancora succube degli schemi, non ancora “educato”, ed è proprio da un bambino che nasce il miracolo, è lui la Genesi della condivisione dei pani, è la parte non ancora piegata alle ideologie, è la parte libera dalle imposizioni del potere e dalla contrapposizione del contropotere. Un ragazzino con pochi pani e pochi pesci, perché solo un ragazzino è abilitato alla disobbedienza. Lui non vuole nessun re e nessun controllo. Lui chiede solo di essere interpellato, a lui non interessano i grandi modelli di sviluppo, lui dice solo di sì all’appello della vita. Se non torniamo qui noi del cristianesimo non sapremo mai nulla. Staremo a combattere sui riti in latino o in italiano per non avere il coraggio di ammettere che è solo l’apice della battaglia più profonda: che tipo di Dio abbiamo in mente? Che tipo di Chiesa? Quale potere stiamo cercando? Il ragazzino se ne fotte dei giochi di potere. Ed è curioso, vuole proprio vedere cosa succede del suo poco, si fida di un sogno che sembra utopia.

“Fateli sedere” nostro Signore degli anarchici ci chiede di fare nulla, ma proprio nulla, a un certo punto bisogna solo avere il coraggio di sedersi. “Lavorare lavorare lavorare, preferisco il rumore del mare” scriveva Dino Campana. Far sedere gente nel cuore di un luogo deserto è già un miracolo. Lontani da tutto e privati del cammino, l’erba era alta, serviva a rendere più morbido l’adagiarsi sulla consapevolezza della propria inutilità. Quando non sappiamo o non possiamo fare nulla, quando non riusciamo a strappare vita dalla vita, quando la malattia, la morte, l’insuccesso, la mancanza ci spezza il fiato in gola, quando la tachicardia accelera la nostra ansia, quando non sappiamo cosa fare ci sono solo due modi di reagire, il primo è lavorare lavorare lavorare, è esaurirsi di illusioni attive per strappare almeno la retorica patente dell’eroe che non si arrende. La seconda è coraggiosa è libera, anarchica appunto, è una preghiera, un affidamento allo Stupore, una possibilità concessa ad un Senso che chiede solo di essere accolto: ci si siede. E si mette in atto l’atto di coraggio più grande che ci sia concesso, ci si svela impotenti. Ci si svela per quel che si è. Poveri cristi affamati e senza nulla che possa garantire il futuro. Sedersi e prendere coscienza che ogni uomo non è altro che un bisogno che chiede di essere amato.

Ed è qui che nasce l’incomprensione. Il bisogno fa paura e spera in un re capace di cancellare il bisogno. Nostro Signore degli Anarchici non vuole per nulla cancellare il bisogno perché sarebbe come cancellare noi stessi. L’altro giorno un giornalista mi chiedeva del volto di Dio, io non so altro che una grande fame. Fame di respirarlo, quella che ho visto negli occhi di mio padre morente. Fame di riabbracciarlo, quella che vedo negli smarrimenti di mia madre, fame di incontrarlo, quella che sento nelle Assenze che mi chiamano a eternità. Nostro signore degli anarchici non propone un re ma di sedersi nel cuore delle proprie miserie.

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E ringraziare. E io non vedo niente di più rivoluzionario. Si smette di fare, si smette di contare, si inizia a ringraziare.

E poi, colpo finale, si distribuisce pane e non c’è limite, il pane non finisce. Ma rimane la fame, alla fine il pane dura il tempo di qualche ore. Perché questo è solo un segno e non l’annullamento eterno delle fami, sarebbe annullare se stessi, questa è profezia dell’Eterno. E quello la folla non riesce a capirlo, non vuole capirlo, perché in Cristo vede solo la fine dei problemi e non si accorge del coraggio e della profezia del Cristo che con quel miracolo non ha solo moltiplicato il pane ma ha fatto sparire la competizione e l’invidia tra gli uomini, ha cioè anticipato ciò che sarà. Pane per tutti, nessuno che ha più di un altro, fame abitata dal Pane del Cielo.

Capite che un mondo così è lontano anni luce dal modello capitalistico, anni luce da un mondo gerarchico? Nessun padrone, nessun re, nessun papa, nessun parroco, cardinale, principe… solo un ragazzino può crederci.

Forse bisognerebbe morire da ragazzini. O forse attendere il gran finale, quando torneremo bambini nel Padre.

Oppure avere il coraggio di morire liberi. Gesù fallisce, anche in questo caso fallisce, la folla non lo capisce, non resta che la solitudine di un monte e una scia di delusione lasciata dietro di sé.

Mi stupisce la fede, la fede di Gesù, che non smette di credere in noi uomini nonostante noi uomini. E ci crederà fino alla fine. Quando su quel monte chiamato Calvario, in solitudine, non smetterà di amare, dopo aver moltiplicato gesti di cura e parole d’amore ad una cena ultima con amici che di lì a poco inizieranno le inevitabili lotte per il potere. E dopo aver smesso di lasciare dietro di sé ceste di pane difficili da interpretare.

Non rimane che provare. Smettere di fare, smettere di contare, smettere di gareggiare. E ringraziare. Anche solo per un istante, per un momento. Sarà come l’anticipo di quel che sarà. Quando non ci sarà più solitudine perché saremo attirati tutti a Lui.

ALESSANDRO DEHO' eremita

www,alessandrodeho'.com

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