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Clima : Record di Co2 nell'aria

9 maggio 2013: una data da segnare sul calendario. Molti di noi, tra qualche anno, potranno dire ai nipoti “io c’ero”. Per la prima volta nella storia della nostra specie la concentrazione di C02 in atmosfera ha raggiunto le 440 parti per milione. Semplificando molto, si può dire che l’anidride carbonica pompata lassù dalla combustione di petrolio e carbone (i motori della modernità) produce un effetto di serra. Stiamo insomma parlando del cambiamento climatico: la C02 dovrebbe rientrare nella soglia limite di 350 ppm ( era 280 ppm nell’era pre-industriale). Il 9 maggio qualcosa è cambiato: erano 5 milioni di anni che sul Pianeta non “circolava” tanta C02. La notizia è stata ripresa dal Guardian, dal New York Times, dal Time e da Scientific American.

Il Guardian parla di “milestone”. Bill McKibben il grande giornalista ambientale americano che ha fondato un movimento di mobilitazione civile su scala globale per indurre i governi a prendere coscienza della minaccia climatica (350.org), ha scritto in homepage che la nostra dipendenza dai fossili è “out of control”.Una espressione sintetica che in inglese racchiude molto di più di quanto possa essere reso in italiano. McKibben aggiunge infatti che “gli esseri umani si trovano ora in un territorio completamente inesplorato”.

Che cosa è esattamente fuori controllo?

Nel trend quotidiano, nella confortante routine del “tutti i giorni”, Il clima è l’ultima delle nostre preoccupazioni. Diamo per scontato il cielo sopra di noi, in una favola dell’impossibile che ci inchioda alle nostre illusioni (nulla cambierà, sole in estate, neve in inverno), senza nessuno slancio prospettico. Il clima è lontano, è una astrazione; il clima è un Rapporto IPCC, oppure una preoccupazione dotta. Il clima, soprattutto, non fa parte del Pianeta, non è un fattore del funzionamento della biosfera. Quindi la climatologia non ha lo stesso rango delle altre scienze. Ed è questo su cui vale la pena soffermarsi. Il trattamento impari che, in questa indifferenza ecologica di massa, subisce la Scienza, sì, con la “s” maiuscola, il moderno Totem delle nostre certezze assolute. Basta sfogliare qualche magazine per scoprire una infinità di notizie sul funzionamento del cervello, sulle dinamiche sociali fondate da qualche neurotrasmettitore, sull’epigenetica nella relazione di coppia; la scienza informa di sé la nostra rappresentazione del mondo, e siamo disposti a crederle con amore. Ma se si tratta dei suoi moniti sulle conseguenze di una alterazione del sistema climatico, ecco che no, il vecchio irrazionalismo che l’Illuminismo ci ha insegnato a considerare barbarico e selvaggio, appannaggio di tribù animiste e di popolazioni semi-primitive, torna a farla da padrone. Non crediamo al global warming, o comunque esso non ci appare poi così inquietante e grave. Cioè, detto più onestamente, non ci appare reale.

Quel numero, un tondo 400, ci sta insomma dicendo - asettico, crudo, incomprensibile - che quasi sempre vogliamo la realtà a nostra immagine e somiglianza; che la realtà non è quella che è, ma quella che pretendiamo sia. La questione climatica, reduce dal fallimento del vertice di Doha, dicembre 2013, schiava della sua virtuosa burocrazia coraggiosa e inutile, non è una faccenda ecologica, e neppure scientifica. Ecco cosa è: una faccenda umana, nettamente umana, che ha disposto sul tavolo da gioco la sua fiche più potente: il desiderio.

I carburanti fossili alimentano il nostro stile di vita. Carbone e petrolio sono penetrati nei gangli del nostro benessere, dandoci calore in inverno e una vita decente per la maggior parte delle persone, almeno in Occidente. Ma senza una riduzione massiccia del loro impiego il clima si avviterà su se stesso in effetti difficilmente prevedibili, ma di certo catastrofici. Bisogna usarne di meno, ma come? Desiderando di meno: meno riscaldamento, meno condizionamento, meno vestiti, meno viaggi in aereo, meno spostamenti in macchina, meno carne. Ed è questo il punto, come impedire all’uomo di desiderare ciò che l’uomo moderno considera inalienabile, ossia il suo diritto sacrosanto a godere? La libertà di godere, come spiega Massimo Recalcati, produce l’illusione che la felicità stia nella mancanza di vincoli nel somministrarsi il piacere.

Il desiderio moderno non ha niente a che fare con il bisogno, o con la sanzione; la libertà di godere continuamente, sempre, e in modo nuovo - ingurgitando oggetti o riempiendo le nostre vite di superflue esperienze della noia e del divertimento - è la menzogna fondante del nostro tempo. Ma l’uomo che gode del suo perenne vuoto emette fattura: questo piacere implica carburanti fossili, e nutre la spirale del consumo del mondo, che comprende anche l’atmosfera.

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I nostri consumi parlano del rapporto irresponsabile che abbiamo con i combustibili fossili, ecco cosa significa l’affermazione di Bill McKibben: out of control. Prima ancora del clima, siamo noi ad essere fuori controllo. Bulimici di consumi, obesi di desideri del nulla: incastrati in un meccanismo che non vuol vedere la realtà, occultandola continuamente in un corto circuito tra fantasia e responsabilità. Una concezione consumistica della felicità non può motivare se non poche decine di migliaia di persone nelle nazioni OCSE a optare per uno stile di vita più sostenibile. Il mio desiderio di felicità è la mia libertà, e la libertà è il mio valore supremo. Su questo si fonda tutta la nostra società del godimento. Ma in questo si radicano anche le costituzioni moderne di stampo occidentale.

Non possiamo quindi chiedere a Paesi come il Rwanda o il Gabon di diminuire le proprie emissioni serra quando noi non sappiamo neppure rinunciare all’ennesimo viaggio dall’altra parte del mondo, motivato dalla sola vanità del nostro esotismo post moderno.

Il primo passo dell’alba del giorno dopo - il mattino seguente a quella data fatidica, 9 maggio, in cui abbiamo scoperto che il riscaldamento del Pianeta si muove, è vivo e reale e che conduce oltre le soglie della Storia - potrebbe essere uno spostamento drastico di punto di vista

 

http://notizie.libero.it/

@Elisabetta Corrà

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