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Attenzione ai capi d'abbigliamento : in commercio si trovano capi in grado di provocare disturbi ormonali e di favorire addirittura l'insorgenza del cancro

 

Greenpeace rivela la pericolosità dei capi d'abbigliamento di molte aziende

 

Sostanze pericolose si annidano anche nei capi di abbigliamento che indossiamo ogni giorno. Un'indagine di Greenpeace ha portato alla luce un potenziale pericolo per i consumatori derivante dall'utilizzo in fase di produzione dei tessuti di sostanze in grado di provocare disturbi ormonali e di favorire addirittura l'insorgenza del cancro.

Ad essere messe sotto accusa sono in pratica tutte le grandi aziende di abbigliamento del mondo, da Zara a Diesel, da Armani a Calvin Klein. Gli ambientalisti di Greenpeace hanno analizzato i capi di 20 marchi in vendita in 29 paesi del mondo, rivelando la presenza in due terzi dei 141 campioni oggetto dell'esame di nonilfenoli etossilati, prodotti chimici utilizzati come detergenti che, tuttavia, in fase di decomposizione legata ai cicli di lavaggio divengono pericolosi in quanto interferiscono con il sistema endocrino umano. In alcuni vestiti sono vestiti sono stati ritrovati anche ftalati e alcuni coloranti che contenevano ammine cancerogene.

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Una nota emessa dall'associazione ambientalista precisa: “alcune sostanze pericolose usate per la produzione di abiti e tessuti, come i nonilfenoli etossilati (Npe), vengono rilasciate nell'ambiente dopo il lavaggio degli abiti in casa. Queste sostanze si disperdono nei fiumi, nei laghi e in mare dove si trasformano in un composto più pericoloso, il nonilfenolo (Np). Il nonilfenolo è persistente perché non si degrada facilmente, bioaccumulante perché si accumula lungo la catena alimentare e può alterare il sistema ormonale dell'uomo anche a livelli molto bassi. Questo avviene ovunque gli articoli di abbigliamento sono sottoposti a lavaggio in casa. In un certo senso, le aziende che usano queste sostanze chimiche nella loro filiera produttiva rendono i consumatori complici dell'inquinamento delle risorse idriche senza che questi ne siano consapevoli”.

“I risultati dimostrano – continua la nota - che un singolo lavaggio, realizzato in condizioni che simulano quelle di lavaggio domestico, può estrarre anche oltre l'80 per cento di nonilfenoli etossilati presenti in origine, come accaduto per la metà dei campioni testati in questa indagine (6 sui 12 campioni in tessuto). Per arrivare a questo dato si è partiti dall'ipotesi che le porzioni lavate e quelle non lavate estratte dallo stesso campione contengano inizialmente la stessa quantità di Npe. Questo studio suggerisce che i nonilfenoli etossilati impiegati per la produzione dei prodotti tessili e presenti nei prodotti finiti saranno rilasciati durante il lavaggio, e nella maggior parte dei casi questo accadrà nei primi cicli di lavaggio. Una volta entrate negli scarichi, queste sostanze non sono trattenute dagli impianti di trattamento delle acque, da dove fuoriescono con le acque trattate sotto la nuova veste di nonilfenolo, un composto più tossico di quelli di partenza. Anche se gli scarichi tossici delle fabbriche tessili si riversano direttamente nei fiumi dei paesi di produzione come Cina, Vietnam, Filippine, Thailandia, Sri Lanka e Turchia, la loro filiera produttiva ha un grave impatto anche sulle risorse idriche dei paesi occidentali attraverso il lavaggio dei capi, anche laddove esistono restrizioni sull'uso industriale dei nonilfenoli etossilati”.

Tutto ciò spinge Greenpeace a chiedere ai grandi marchi di farsi promotori di una grande opera di pulizia che risani l'intero processo produttivo, eliminando quindi ogni fonte di inquinamento e ogni sostanza tossica dalla filiera, per consentire ai consumatori di vestirsi senza preoccuparsi di possibili interazioni chimiche e senza sentirsi complici dell'inquinamento delle falde acquifere mondiali.

http://www.italiasalute.it/11533/pag2/Panni-sporchi-e-pericolosi.html

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