Categoria: "Crescita spirituale"
Sri Aurobindo e Mere
Gen 28th
Sri Aurobindo e Mere
Sri Aurobindo nasce a Calcutta, nell'India britannica, iI 15 agosto 1872.
Il padre, medico, vuole per i figli un'educazione europea e all'età di sette anni Aurobindo viene mandato in Inghilterra con i due fratelli maggiori perché lì compia gli studi.
Nonostante una vita di ristrettezze (i sussidi dal padre vengono presto a ridursi e in seguito a mancare del tutto) Aurobindo si rivela uno studente eccezionale, riuscendo a mantenere sé e i fratelli con borse di studio. Agli esami di Cambridge stupisce Oscar Browning, suo esaminatore, che lo definisce come "il più brillante conoscitore di Greco che mi sia mai capitato di esaminare".
Quando ritorna in India nel 1893, all'età di 21 anni, il giovane Aurobindo non conosce nulla del suo paese e della sua spiritualità. Tuttavia, poco prima di approdare, l'India lo accoglie con una improvvisa e inaspettata esperienza interiore.
Impara il Sanscrito e si dedica allo studio delle opere che hanno reso grande la tradizione spirituale indiana.
Allo stesso tempo crescono la sua intuizione e la sua visione interiore, senza tuttavia che ciò lo porti ad abbandonare l’attività nel mondo.
Si dedica anzi con impegno alla lotta per la liberazione dell’India dal dominio britannico, divenendo, assieme a Tilak e Lajpat Raj, la più importante figura del Risorgimento Indiano, molto prima dell’avvento di Gandhi.
Incarcerato nel 1908 con l’accusa di essere stato l’ispiratore di un attentato dinamitardo (portato a compimento a insaputa di Aurobindo dal gruppo guidato dal fratello minore, Barin) Sri Aurobindo passa un anno nelle carceri di Alipore.
Nell’ isolamento della cella la vita interiore di Sri Aurobindo si arricchisce di nuove e determinanti esperienze che lo mettono in contatto con una nuova energia evolutiva destinata, secondo lui, a trasformare la terra e i destini dell’uomo.
Assolto dall’accusa e liberato, prosegue ancora per un poco I'attività politica e giornalistica, fondando due settimanali nel tentativo di ridare vita al movimento per l'indipendenza duramente colpito dalla serie di arresti. Ma il governo britannico non si rassegna alla sua assoluzione e cerca nuovi pretesti per farlo arrestare. Il viceré delle Indie lo definisce 'il più pericoloso nemico dell'Impero Britannico'. Informato di un mandato d'arresto nei suoi confronti, Aurobindo riceve il comando interiore di recarsi a Pondichéry, enclave francese nell’India del Sud, che egli raggiunge nell'aprile del 1910 e dove rimarrà per tutta la sua vita.
Alcuni giovani rivoluzionari lo seguono, tra cui Nolini Kata Gupta, ora riconosciuto come il più importante discepolo di Sri Aurobindo. Appena 17enne, Nolini aveva passato con Aurobindo un anno nelle carceri di Alipore.
A Pondichéry Aurobindo pone le basi del suo Yoga Integrale, che vede nell’uomo un essere di transizione che ha la possibilità di partecipare coscientemente a quello che egli definisce l’inevitabile passo evolutivo nell’esperienza della Terra: il sorgere di un superuomo spirituale e una nuova umanità spiritualizzata.
Nel 1914 incontra per la prima volta Mirra Alfassa, la futura Madre, venuta a Pondichéry assieme al marito, il filosofo francese Paul Richard. Questi convince Sri Aurobindo a esporre per iscritto il suo pensiero e la sua visione. Nascono così, dal 1914 al 1920, quasi tutte le grandi opere di Sri Aurobindo, tra cui: la Vita Divina, la Sintesi dello Yoga, il Ciclo Umano, I'ldeale dell'Unità Umana. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale obbliga i Richard a lasciare Pondichéry.
Mirra ritornerà, e questa volta per sempre, accanto a Sri Aurobindo nell'aprile del 1920.
Nel 1926, a seguito di una radicale esperienza, Sri Aurobindo si ritira definitivamente nelle sue stanze, lasciando interamente nelle mani della Madre la gestione dell'Ashram e il contatto con i discepoli.
Sri Aurobindo lascia il corpo fisico il 5 dicembre del 1950. Il suo lavoro è continuato dalla Madre.
La Madre, Mère, nasce come Blanche Rachel Mirra Alfassa a Parigi il 21 febbraio 1878, da padre turco e madre egiziana.
Sin dalla prima infanzia è cosciente di un mondo subliminale, diverso da quello fisico, e di un ruolo particolare che lei è destinata a svolgere.
Nelle sue parole:
"Ho cominciato a contemplare e a fare yoga all'età di 4 anni. Su una poltroncina fatta apposta per me rimanevo senza muovermi, persa in meditazione.
Una luce molto brillante discendeva allora sul mio capo creando un movimento nel cervello. Naturalmente, non ne capivo nulla, non avevo l'età per comprendere.
Ma a poco a poco cominciai a sentire: 'Dovrò compiere un lavoro di enorme importanza che ancora nessuno conosce' ".
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"Come e quando sono diventata cosciente di una missione che dovevo adempiere sulla terra? ... È difficile dire quando avvenne, è come se fossi nata con essa, e con lo sviluppo della mente e del cervello cresceva anche la precisione e completezza di questa coscienza".
Nonostante tali esperienze, la piccola Mirra non accettava di uniformarsi all'idea convenzionale di Dio:
"Non potevo accettare un essere che dichiarava se stesso come unico e onnipotente, chiunque potesse egli essere. Fosse anche stato unico e onnipotente ... non aveva il diritto di proclamarlo!"
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Tuttavia, tra gli undici e i tredici anni, come lei stessa raccontò, una serie di esperienze le rivelarono non solo l'esistenza di Dio, ma anche la possibilità data all'uomo di unirsi a Lui, di realizzarLo integralmente nella coscienza e nell'azione, di manifestarLo sulla Terra in una vita divina.
Si formava intanto inconsciamente la sua conoscenza occulta. Durante il sonno, numerosi maestri spirituali venivano a offrirle i loro insegnamenti. Molti li avrebbe poi incontrati nel corso della sua esistenza. Col tempo, la relazione con uno di essi divenne più precisa, e sebbene Mirra non sapesse nulla o poco dell'India e della sua filosofia, cominciò a chiamarlo Krishna.
Quando poi incontrò per la prima volta Sri Aurobindo a Pondichéry, la Madre riconobbe in lui il Krishna dei suoi sogni.
All'età di tredici anni, la coscienza della sua particolare presenza tra gli uomini, in questa terra sofferente e colma di miserie, cominciò a delinearsi con più chiarezza. Per quasi un anno, ogni notte, non appena andava a letto:
"... mi pareva di uscire dal corpo e di sollevarmi al di sopra delle case, poi sopra la città [di Parigi], molto al di sopra. Mi vedevo allora rivestita di una magnifica veste dorata, molto più lunga di me stessa; e mentre mi sollevavo sempre più, la veste si allungava ancora allargandosi a cerchio attorno a me, formando una sorta di immenso soffitto sopra la città. Vedevo allora uscire da ogni dove uomini, donne, bambini, vecchi, persone malate o infelici; si raccoglievano sotto la veste distesa implorando aiuto, raccontandomi le loro miserie, le loro sofferenze, le loro penose difficoltà. In risposta la veste, flessibile e vivente, si estendeva verso ciascuno di loro, individualmente, e non appena essi la toccavano, si sentivano confortati e guariti, e tornando nei loro corpi erano più felici e più forti di prima. Null'altro mi appariva più bello, niente mi rendeva più felice; e tutte le attività della giornata mi sembravano monotone, senza colore, senza vita reale se confrontate con questa attività notturna che era per me la vera vita".
Da allora, mai lei avrebbe cessato, neppure per un istante, di porre la sua vita al totale servizio degli uomini per la manifestazione sulla terra della verità che la creazione, come rivelata da Sri Aurobindo, rappresenta.
Anche al di fuori dello yoga, in molti furono affascinati dalla sua personalità. Alexandra David Neel, buddista e scrittrice, la prima donna occidentale ad entrare in Tibet, scrisse della Madre: "Ricordo la sua eleganza, la sua cultura, il suo intelletto dalle tendenze mistiche... Nonostante il suo grande amore e la grande dolcezza, nonostante perfino la sua naturalezza innata nel farsi dimenticare dopo aver compiuto nobili atti, non poteva riuscire a nascondere la forza tremenda che portava dentro di sé." Il poeta giapponese Shumei Okawa, che conobbe la Madre negli anni della sua permanenza in Giappone durante la Prima Guerra Mondiale, disse che la Madre: "aveva una volontà che muoveva le montagne e un intelletto acuminato come la lama di una spada" e che le sue immensità mistiche erano più profonde di un oceano. Tagore, premio Nobel per la letteratura nel 1913, l'avrebbe voluta per dirigere la sua famosa scuola di Shantiniketam.
In molti l'hanno descritta, manifestando a parole la loro ammirazione per un aspetto che coglievano della sua personalità, e la Madre rivelava a ciascuno quanto di se stessa loro potevano ricevere; ma fu solo Sri Aurobindo che la riconobbe, e la descrisse, senza riserve, come la Madre Divina.
Dal 1920 si stabilisce a Pondicherry, dove rimarrà tutta la vita, affiancando con il suo lavoro, pratico e spirituale, quello di Sri Aurobindo.
Scrive Sri Aurobindo:
"La coscienza della Madre e la mia sono la stessa: la Coscienza divina che è una in due, poiché tale è la necessità del gioco divino.
Chiunque si volga alla Madre fa il mio yoga...
Nulla può essere fatto senza la Sua conoscenza e la Sua forza, senza la Sua coscienza.
Se qualcuno sente veramente la coscienza della Madre, dovrebbe sapere che io sono lì, presente dietro ad essa; e se percepisce la mia coscienza, sa che è anche la coscienza della Madre".
Nel 1943 viene fondata la Scuola dell'Ashram, che diventerà il 'Centro Universitario' e poi il 'Centro Internazionale di Educazione Sri Aurobindo'.
Dal 1950 al 1958 la Madre tiene con i bambini della scuola e con i discepoli degli incontri che, registrati su nastro, diverranno le "Conversazioni". In esse sono esposte in termini semplici verità profonde che riguardano tutti gli aspetti sia della vita pratica dell'uomo che del suo rapporto con il cosmico e il trascendente.
Dal 1950 al 1973, il discepolo Satprem raccoglie dalla sua voce la storia quotidiana del suo yoga, volto alla trasformazione cellulare per il sorgere sulla terra di una nuova materia e una nuova umanità spiritualizzata. Un salto evolutivo come quello che dall'animale aveva portato all'avvento dell'uomo mentale, ora porterà alla nascita di una nuova razza oltre la mente, una razza spirituale e divina. L'esperienza della Madre è trascritta nei tredici volumi dell' "Agenda".
Nel 1968, a 15 km da Pondicherry (India), inaugura la città internazionale di Auroville. È la città che:
"appartiene all'umanità... il luogo di un costante progresso, ponte tra passato e futuro, luogo di ricerca materiale e spirituale, per un'incarnazione vivente dell'Unità Umana... dove persone di ogni nazione vivono seguendo lo yoga integrale…"
Per vivere ad Auroville "bisogna essere i servitori della Coscienza Divina".
La Madre lascia il corpo fisico il 17 novembre 1973
(tradotto e adattato da http://www.hinduism.co.za )
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le fortune e le sfortune:sono tutte benedizioni sotto mentite spoglie….
Gen 28th
Le fortune e le sfortune:sono tutte benedizioni sotto mentite spoglie….
le fortune e le sfortune:sono tutte benedizioni sotto mentite spoglie….
dal maestro OSHO….
. Il solo problema con la tristezza, la disperazione, la rabbia, l’impotenza, l’ansia, l’angoscia, la miseria e l’infelicità, è che te ne vuoi liberare. Questo è l’unico ostacolo.
Dovrai convivere con queste cose, non puoi solo pensare di sfuggirle.
Proprio queste sono situazioni in cui la vita si deve integrare e crescere. Queste sono le sfide della vita.
Accettale: sono benedizioni sotto mentite spoglie!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
. Un uomo aveva un bellissimo cavallo, era così raro che perfino gli imperatori gli avevano chiesto di comprarlo – a qualsiasi prezzo – ma lui aveva rifiutato. Poi, un mattino, l’uomo scoprì che gli era stato rubato.
L’intero villaggio accorse per consolarlo: “Che sfortuna! Avresti potuto ricavarne ricchezze, ma tu sei stato testardo e stupido.
E ora il cavallo ti è stato rubato”. Ma il vecchio rise e disse: “Non dite assurdità! Dite solo che il cavallo non è più nella stalla. Lasciamo che sia il futuro a decidere… stiamo a vedere!”.
E accadde: quindici giorni dopo il cavallo tornò, e non era solo – portò con sé una dozzina di cavalli selvaggi. Di nuovo il villaggio si riunì e tutti commentarono: “Il vecchio aveva ragione! Il cavallo è tornato insieme a dodici altri, tutti bellissimi.
Ora potrà guadagnare una fortuna!” Tornarono dal vecchio e dissero: “Scusaci.
Non siamo in grado di prevedere il futuro e le vie del Signore, ma tu sei incredibile! Sapevi cosa sarebbe accaduto; devi avere intuizioni sul futuro”.
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Lui rispose: “Assurdità! Tutto ciò che so è che adesso il cavallo è tornato con altri dodici stalloni – nessuno può sapere ciò che accadrà domani”. E il giorno successivo accadde questo: l’unico figlio di quel vecchio contadino, tentando di domare uno dei nuovi stalloni cadde malamente e si ruppe le gambe.
Ancora una volta l’intero villaggio accorse e commentò: “Non si può mai dire – avevi ragione; si è rivelata una vera maledizione. Forse era meglio che quel cavallo non tornasse. Adesso tuo figlio rimarrà storpio per tutta la vita”.
Il vecchio disse: “Non saltate a conclusioni! Aspettiamo e vediamo cosa accadrà. Dite solo che mio figlio si è rotto le gambe, tutto qui”.
Quindici giorni dopo accadde che tutti i giovani del villaggio venissero arruolati a forza dallo stato, perché il paese era sceso in guerra. Solo il figlio del vecchio fu risparmiato, perché inutile.
Tutti si riunirono e dissero: “I nostri figli sono perduti! Per lo meno il tuo è rimasto.
Storpio, ma vivo! I nostri figli sono in guerra e il nemico è molto forte; di certo verranno uccisi.
Nella nostra vecchiaia non avremo nessuno che si prenda cura di noi, tu perlomeno hai un figlio, e forse guarirà”.
Ma il vecchio disse: “Dite solo questo: i vostri figli sono stati arruolati dallo stato. Il mio è stato risparmiato, ma non tirate conclusioni”.
Quell’uomo afferma semplicemente l’evidenza dei fatti! Non pensare a qualcosa come a una benedizione e all’altra come a una maledizione.
Non interpretare, e all’improvviso vedrai che ogni cosa è meravigliosa.
OSHO
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Le quattro qualita' fondamentali del guerriero
Gen 28th
IL GUERRIERO E LE QUATTRO QUALITA'
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Le quattro qualità fondamentali del guerriero sono l’umiltà, la determinazione, la dignità e la gratitudine.
L’umiltà è la capacità di osservare se stesso sinceramente, nei pregi e nei difetti, senza inorgoglirsi dei pregi che sono dei doni che gli servono per compiere la sua azione nella vita, e senza mortificarsi dei difetti che sono lo stimolo continuo alla sua trasformazione. L’umiltà non deve condurre alla svalutazione.
La determinazione è la costante spinta del suo anelito verso l’armonia e non deve essere confusa con la caparbietà.
La dignità è la percezione del suo valore di essere umano, a prescindere dalle sue attitudini e dalle sue fragilità, perché reca in sè la scintilla divina di cui ogni suo aspetto è espressione. La dignità non ha niente a che fare con l’orgoglio.
La gratitudine è la conseguenza della sua percezione di far parte di un disegno più vasto che lo sostiene e di cui incarna un aspetto. Il divino risponde al suo anelito sincero con la Grazia.
m.sassone
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Siddharta Gautama il BUDDHA
Gen 28th
Siddharta Gautama il BUDDHA, fu un principe che rinunciò al suo trono per andare alla ricerca della verità. Visse 80 anni, la storia dell’umanità racconta che è uno degli avvenimenti più notevoli sulla terra. Tutto nella sua vita è un esempio da seguire per colui che cerca il cammino che libera dalle sofferenze, e vuole scoprire la forza della creazione. Tutta la sua vita ha un profondo significato. Il suo nome, BUDDHA significa: «illuminato, sveglio». Nacque nel quinto secolo a.C., contemporaneo di Confucio, Socrate e Deutero Isaìas, grandi influenti dell’ultimo cristianesimo. La presenza di questi grandi uomini, indica il livello elevato di spiritualità di quell’epoca. Le antiche tradizioni parlano di un Buddha che ogni 2500 anni viene alla creazione per far girare la RUOTA del DHARMA o della Legge, Siddharta Gautama era atteso, così gli uomini, cercatori della verità, ebbero l’opportunità di percorrere il cammino della liberazione. La simbologia della nascita del Buddha e del Gran Kabir Gesù il Maestro dei Maestri, è simile. Racconta la leggenda che sua madre Maya, (che significa «illusione,» «o universo», in sanscrito); trascorreva un periodo di astinenza e castità nel palazzo del regno di Kapilavastu, nel nord dell’India. Quando una mattina, una strana sonnolenza l’avvolse, si sdraiò sul letto reale della sua camera, cadde in un sonno molto speciale: sognò che i quattro Re Celestiali, i Signori dei quattro punti cardinali del Mondo della Sfacchinata, la terra della felicità, la trasportavano innalzandola con il suo letto, al di sopra delle catene dell’Himalaya, arrivati oltre le cime altissime, l’adagiarono presso un albero, che si mise da un lato rispettosamente. Arrivarono le mogli dei quattro re, la lavarono accuratamente, purificandola da ogni macchia umana, l’adagiarono in un letto divino, rivolto a est. All’orizzonte una stella brillò intensamente, e discese dirigendosi verso Maya, quando toccò terra, si trasformò in un elefante bianco, colse con la sua proboscide un fiore di loto, lo depose al suo fianco, dove lei giaceva, e il fiore scomparve penetrando nel suo utero. In quell’istante il Bodhisatva di compassione entrò nel grembo di sua madre. La regina, al suo risveglio, molto turbata, raccontò il suo sogno al Re Suddodhana, a sua volta il Re interrogò i Bramini per avere il loro parere sul presagio, buono o cattivo. I Sacerdoti annunciarono che un grande Essere sarebbe venuto nella sua famiglia, un RE o un Buddha. Dobbiamo dire che il regno di Kapilavastu era piccolo, e militarmente debole, e un regno più potente lo minacciava continuamente desiderando conquistarlo. Per questo motivo, si prese cura della sua educazione militare e degli affari del palazzo reale, con la speranza che si fortificasse ed espandesse il suo regno. Alla sua nascita dopo sette giorni, sua madre Maya morì. I Bramini danno varie spiegazioni su questo, una di esse è che le madri dei BUDDHA muoiono, dopo aver fatto nascere figli illustri, perché il ventre che ha concepito un Boddhisatva è come il santuario di un tempio, e non può servire per altri figli. Un’altra spiegazione, molto più profonda e che lei si ritira nell’universo Manifestato o Maya. Il principe Siddharta, racconta la leggenda, che con gli anni, oltre a imparare tutte le arti di un futuro Re, si compiaceva nella meditazione e nella solitudine, con pensieri sempre più profondi. Il Re Suddhodana, desiderando che suo figlio diventi il suo degno successore, fece in modo di distrarlo da tutte le questioni esistenziali profonde : In India, come in tutto il mondo Orientale in generale, avevano antiche usanze; quando gli uomini compivano l’età in cui si ritiravano dal lavoro, (come la pensione nei nostri giorni) si ritiravano nel bosco per meditare sulla loro vita: il periodo dell’apprendimento, la famiglia, il lavoro. Generalmente il primo periodo era lo studio, iniziava a sette anni e finiva a vent’anni, poi iniziava una seconda fase, la più lunga, che durava trent’anni, dedicata alla famiglia, ai figli, al commercio, svolgendo tutto questo come un buon capofamiglia. Compiuti i doveri familiari, e generato un erede suo successore, era libero di ritirarsi e vivere nel bosco, per riflettere sui cinquant’anni trascorsi, raggiungendo così piena maturità filosofica. Al termine del periodo ascetico e pratica religiosa, usciva dal bosco, e passava l’ultimo periodo della sua vita spostandosi da un posto all’altro, mendicando, sussistendo unicamente di elemosina, da cui dipendeva totalmente. La storia racconta che Sakyamuni passò rapidamente quelle quattro tappe, tanto era grande il suo anelito di trovare la sorgente, l’origine dell’universo. A sedici anni si sposò con Yosodhara, ebbe un figlio a cui diede il nome di Rahula, che significa «Impedimento». Questo avvenimento fu di grande importanza, Siddharta aveva un’erede per la sua successione al trono, e per fortuna era libero di rinunciare ai suoi diritti, e abbracciare la vita religiosa. LA GRANDE PARTENZA La leggenda racconta che quattro incontri determinarono il Principe Siddharta ad abbandonare il suo palazzo per dedicarsi alla vita religiosa, egli trascorreva tutto il tempo tra le mura del palazzo reale, protetto da suo padre, che gli nascondeva la realtà, e le disgrazie della vita. Ma per quattro volte varcò la soglia del palazzo accompagnato dal suo fedele domestico. Una volta vide davanti al suo carro, un anziano, un’altra volta un malato, la terza volta un cadavere . Poi, lo fece riflettere un uomo con la testa calva e gli occhi sereni, era un asceta che dedicava la sua vita alla religione. Allora, Siddharta Sakyamuni profondamente commosso, decise di abbandonare il suo palazzo, per vivere la stessa vita di quell’uomo, con il proposito di scoprire le cause della sofferenza, la malattia, la vecchiaia e la morte. La leggenda ci dice che le quattro uscite dal palazzo, sono simboliche, e relazionate con il risveglio delle quattro verità sacre, daremmo la loro spiegazione più in là. E così Sakyamuni aveva scoperto il dolore, e la sofferenza del suo regno. E, cosciente che la forza militare non offre mai una soluzione duratura alle sofferenze umane, iniziò il cammino per la strada che egli sperava l’avrebbe condotto alla vera liberazione. Prima di trasformarsi in un Re che esercita potere politico in un mondo temporaneo, decise di trasformarsi in un Re filosofo nel regno metafisico, e risolvere la causa di ogni sofferenza. Così dopo le quattro tappe, Sakyamuni seguendo le usanze della sua epoca, iniziò il cammino spirituale, per obbedire al suo Intimo Profondo, il suo ESSERE. Una notte accompagnato dal suo servo uscì dal palazzo, quando fu abbastanza lontano disse addio al suo domestico e amico, gli diede il suo cavallo. Si racconta che il suo cavallo si lasciò morire di pena a causa della separazione da Gautama. Siddharta scambiò i suoi lussuosi abiti con altri più umili, tagliò i suoi capelli, e iniziò il suo cammino verso il bosco, alla ricerca della verità. LA VITA RELIGIOSA NEL BOSCO In quei giorni era molto discusso il brahamanismo, e molte erano le scuole e Sette di ogni sorta, che insegnavano ognuna il suo modo per liberarsi dal dolore di questo mondo. Alcuni nuovi pensatori, insegnavano pratiche religiose di differenti filosofie, ripudiando apertamente le tradizioni, erano pratiche ascetiche estreme, come: stare seduti nudi in pieno sole, mangiare solo erbe selvatiche, ecc. . Erano i rivoluzionari dell’epoca, contestatori, come il movimento Hippie, solo che questi erano più drastici. Siddharta imparò presto che il mondo era colmo di un’infinità di religioni. In quei tempi esistevano due eremiti Bramini ai piedi di un monte, e Sakyamuni decise di seguire i loro insegnamenti. I saggi eremiti orientali venivano considerati persone di grande saggezza e potere. Capaci di volare in aria a gran velocità, camminare sulle acque e tante altre cose straordinarie. Erano considerati grandi autorità nel campo religioso e metafisico. Per questo Sakyamuni li scelse come maestri. Inizia qui la pratica dello yoga che, caratterizza la terza fase della vita di ogni orientale, acquisire la concentrazione mentale, introspezione nel proprio Essere Intimo Profondo, l’emancipazione del corpo fisico attraverso il controllo psichico. Lo Yoga in quel periodo era considerato un mezzo per liberarsi dalle sofferenze legate alla condizione umana. I Maestri Eremiti insegnarono a Siddharta le discipline della meditazione, queste rimasero poi integrate nelle pratiche del Buddismo. Come dicevamo, queste discipline rimasero scritte nelle pratiche Buddiste, di meditazione e disciplina, ma nelle dieci tappe che portano a Buddha, sono considerate minori, perché queste meditazioni non eliminano le passioni, non ne diminuiscono gli effetti, non risvegliano la coscienza, non portano alla liberazione totale, ma solo fanno sperimentare «il NULLA». La ricerca di Sakyamuni era orientata verso l’illuminazione che libera l’umanità dalla sofferenza dell’eterno ciclo di nascita e morte. Comprese che quelle pratiche, non lo avrebbero condotto verso la meta a cui aspirava, le abbandonò, e si dedicò alle pratiche ascetiche. LE PRATICHE ASCETICHE Come abbiamo raccontato Sakyamuni aspirava all’illuminazione, e rendendosi conto che i due maestri asceti e le loro pratiche, non gli avrebbero permesso questo, racconta la leggenda che si dedicò da sei a dieci anni alla pratica nel più puro asceticismo. La stessa fonte, racconta, che fuggì nel bosco vicino al villaggio di Senna, dove si riunivano Bramini che avevano abbandonato le loro famiglie, e praticavano l’austerità. Questa pratica era simile alla meditazione Yoga e, praticata come metodo per progredire spiritualmente, molti ricorrevano ad essa. Si aveva la convinzione che, sottomettendo il corpo a diversi metodi di mortificazione e imparando a sopportare il dolore, lo spirito si liberava totalmente. Queste discipline sono classificate in varie categorie, il controllo della mente, sospensione del respiro, dieta drastica e digiuno totale. Sospendere il respiro, questo esercizio era considerato uno dei più difficili, ci si concentrava per ostacolare l’entrata e l’uscita dell’aria dal naso e dalla bocca. Per logica uno dovrebbe soffocarsi, ma quando si sospende l’entrata e l’uscita dell’aria dal naso e dalla bocca, uno inizia a respirare dall’apparato uditivo. Si dice che questo provoca un forte ronzio all’interno dell’orecchie, e i dolori sono insopportabili. Riguardo il digiuno totale, spesso questi disincarnano durante la pratica. Anche Sakiamuni pensava che se non sperimentava queste dolorosissime pratiche, non avrebbe raggiunto il vero progresso spirituale. Quando Sakiamuni ricordava quel periodo della sua vita, diceva, ed è scritto nei testi sacri, che nessun bramino passato, presente o futuro, aveva sofferto o soffrirebbe quelle severe auto-torture, che egli si inflisse, e che non gli avevano permesso di guadagnarsi l’illuminazione. Così Gautama abbandonò quelle pratiche e si risolse alla via dell’equilibrio, senza estremi, comprese il significato della via di MEZZO. Respinse la via della vita lussuosa del palazzo reale, e la vita di pratiche ascetiche estreme, queste due forme appartengono al dualismo; la via di mezzo dell’equilibrio è quella che conduce sicuramente alla liberazione. L’ILLUMINAZIONE Dopo aver praticato tutte quelle severe austerità, esistenti nella sua epoca, senza raggiungere l'illuminazione, Sakyamuni abbandonò quelle pratiche. Il suo primo passo fu recuperare forza fisica, tanto danneggiate da quelle privazioni. Racconta la leggenda, che si bagnò nel fiume, per togliersi la sporcizia accumulata nel suo corpo fisico, riprese a nutrirsi, mangiando riso, e migliorando la sua alimentazione, recuperando infine tutte le sue forze. Con il fermo proposito di trovare la radice di tutte le sofferenze si sedette all’ombra di un Tipal (l’albero del fico in indù), e decise di non alzarsi fino a trovare la soluzione, a costo di perdere la pelle e la sua carne, e conoscere la realtà di ogni cosa. LE TENTAZIONI DI MARA E così Sakyamuni prese posto sotto quell’albero, sedette sul suo tappeto, determinato a raggiungere l’illuminazione. Mara significa «il travolgente di vita», è l’ego a livello psicologico, elementi inumani che portiamo dentro noi stessi di esistenza in esistenza, Mara si allarmò di fronte alla prospettiva di trionfo, e disse al futuro Buddha: «sei così magro, pallido sei sull’orlo della morte. Hai solo una possibilità su mille di sopravivere. Dovresti vivere perché solo vivo ti sarà possibile realizzare buone opere…. Ma tutti i tuoi sforzi attuali sono vani, inutili, perché la strada che conduce al vero dharma è inaccessibile, penosa e dura». Gli parlò in quel tono più volte Mara, volendo scoraggiarlo, ma Gautama rimase impassibile per vincere colui che è chiamato il demone interiore, ego, con le sue intimidazioni e resistenze. All’alba raggiunse l’illuminazione, l’occhio di saggezza riscosse sublime chiarezza quando la stella del mattino brillò, Sakyamuni sentì che tutta la sua vita esplodeva, in un istante distinse l’ultima realtà di tutte le cose. In quell’istante si trasformò in un Buddha. Al tramonto, dopo il passaggio per i quattro stati di dhyana o intensa meditazione, raggiunse il primo grado, staccato dai sensi, poi il secondo: la sua caratteristica è la concentrazione perfetta della mente unita a uno stato di allegria. Nel terzo grado s’immerse in uno stato di pace e serenità senza limiti, nel quarto grado, raggiunse uno stato di suprema purezza, al di là di ogni sofferenza, piacere, pena, allegria. Dopo essere riuscito nel completo dominio dei quattro gradi di dhyani, andò alla ricerca dell’origine di ogni sofferenza. Si racconta che in quella notte ricordò la sua vita antecedente, poi tutte le altre, migliaia di esistenze in innumerevoli aeoni, rivide tutte le sue morti, il tipo di vita che ebbe, se felice o dolorosa. Questo lo sperimentò, lo vide grazie al suo occhio di saggezza aperto. Gli insegnamenti del Buddha parlano dei sei regni che l’anima deve attraversare uno dopo l’altro fino al raggiungimento della liberazione finale... Poi, nella seconda fase, la notte, esplorò il mondo, la vita, la morte, l’eterno ritorno di tutte le creature, che nascevano e morivano in base alla legge de Karma, Dharma, cattive o buone azioni. Le creature che avevano vissuto nel peccato passavano un tempo nella sfera della miseria, chi aveva fatto buone azioni, trascorreva un tempo nei tre cieli. In quell’istante comprese la legge del Karma, che governa tutto l’universo. Nella terza fase della notte, l’ultima verità: le dodici cause dell’eterno ritorno, vere cause e origine di tutte le sofferenze. Comprese le quattro Verità Sacre, il modo in cui rimangono tutte le cose transitorie e impermanenti, e di tutte le cose che fanno parte del nobile sentiero ottuplice. Così Gautama, si era trasformato in Buddha. E tutto il risultato delle esperienze vissute quella notte, furono le basi dell’insegnamento per i suoi discepoli. Infine, aveva trovato l’origine di tutte le sofferenze, e si propose di divulgarlo a tutte le persone, che cercavano la vera strada della liberazione, persone con inquietudini sincere e avanzati spiritualmente, capaci di raggiungere l’illuminazione momentanea, semplicemente, e ascoltare le sue rivelazioni in una forma semplice e chiara. A questi insegnamenti si diede il nome: La Ruota Del Dharma o della Legge. Perché chi trascende questa Legge, raggiunge il Padre, và oltre il ciclo di nascita, morte, gioie, sofferenze, senza ego, senza desideri, attaccamenti. Raggiungendo la beatitudine, diventa Buddha. |
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LAO TZU': filosofo o fanciullo E IL TAOISMO
Gen 28th
In lingua cinese LAO è il "VECCHIO MAESTRO" e TZU' filosofo o fanciullo Qualifica che indica un personaggio il cui cognome era quasi sicuramente "LI" ed il nome "TAN", detto anche LAO-TAN. Egli, secondo alcuni studiosi fu contemporaneo del filosofo CONFUCIO (Secolo VI - V a..C. ): per quanto di qualche decina di anni più anziano. (ma attualmente non conosciamo con precisione né le date esatte della nascita nè della morte) qualcuno asserisce che il filosofo nacque intorno al 14° giorno della IX^ luna del 604 aC, altri riportano che visse nel 2500 a.C: e pare sia vissuto sino ad 84 anni. (questa situazione, con epoche molto discordanti la ritroviamo nella vita di Zoroastro).
A LAO-TZU' è stata attribuita la paternità del libro chiamato da prima TAO-CI, in seguito TAO--TEH-CHING, cioè "libro della via e della virtù". LI ER (o LAO DAN secondo altre fonti sarebbe il nome di questo pensatore, sebbene il suo nome più noto resti "Vecchio Maestro", cioè Lao-tzù. Divenuto archivista nella città di Luoyi (770 - 246 a.C.) Lao-Tzù avrebbe incontrato Confucio ivi recatosi per la ricerca di testi antichi, anch'egli preoccupato per la grave crisi politica e morale che la cina stava attraversando. Lao-tzù scelse di allontanarsi completamente dal consorzio umano: rinunciò al suo lavoro di archivista e lasciò la città per dirigersi verso ovest. Sempre secondo la leggenda , giunto al confine di Hangu a dorso di bufalo, Lao-Tzù venne pregato dalla guardia del passo di lasciare almeno una testimonianza del suo insegnamento prima di abbandonare per sempre la sua terra Lao-Tzù , andando verso occidente verso "il Regno del riposo dell'anima" Ivi ottenne la "vita eterna" per questo motivo molti autori non fanno cenno alla data della morte, ma solo a quella della presunta nascita, altri studiosi sostengono che Lao-Tzù fosse andato verso ovesT per diffondere verso i popoli barbari (cioè non cinesi) il suo insegnamento: da ciò nacque la convinzione che il BUDDHA altro non fosse che Lao-Tzù stesso. Il quale aveva adottato la sua dottrina alla mentalità indiana.
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