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Categoria: "amore puro"

I Pirati del Merito : no alle raccomandazioni nel mondo del Lavoro in Italia

Il furto di merito è furto di vita: tutti dobbiamo DIRE NO alle raccomandazioni e PRETENDERE la meritocrazia!

 

Recentemente uscito nelle sale cinematografiche italiane, C’è chi dice no è una delle pellicole che ha dato adito ai più accesi dibattiti. La ragione di tutto questo? Il film, tratto da una storia vera, è di grande attualità perché affronta il roventissimo tema delle raccomandazioni e del precariato/disoccupazione in Italia. Soggetto di Fabio Bonifacci e regia di Gianbattista Avellino, il film può vantare un cast d’eccezione fra cui, soprattutto,  spuntano i nomi di Luca Argentero, Giorgio Albertazzi, Paolo Ruffini, Paola Cortellesi e Myriam Catania.

Irma Camuzzo (Paola Cortellesi) è un medico bravo ed appassionato cui, in occasione di un concorso, viene preferita – spinta da una raccomandazione -  la compagna del primario. Max Rizzi (Luca Argentero) è un brillante giornalista che si vede soffiare la promozione dalla “segnalatissima” figlia di un collega di fama internazionale. Samuele Bazzoni (Paolo Ruffini) è un brillante giurista che si vede rubare il posto dal genero dell’insigne professor De Rolandis (Giorgio Albertazzi). I tre – accomunati dallo stesso destino - si ritrovano, dopo anni, a una cena di classe cui partecipano tutti raccomandati, prevalentemente figli du papà. Schifati dall’opportunismo e dalla falsità dei commensali, decidono di abbandonare la serata rivolgendo un sonante “vaffa” agli ex compagni di scuola. Confrontando le loro vite (perennemente in salita) con quelle dei loro vecchi amici (totalmente in discesa), scatta in loro una molla, un senso di ribellione e revanscismo che – fino ad allora- erano rimasti sedati. Da questo nuovo spirito, nascono una serie di iniziative indirizzate alle persone che ingiustamente occupavano i loro posti di lavoro. In breve, nascono i “Pirati del Merito”, un’organizzazione volta a rivendicare i torti subiti negli scatti di carriera, atta  a denunciare il baronato e la raccomandazione sul posto di lavoro. Sulle tracce dell’improvvisata organizzazione, due agenti anch’essi in preda a un sistema di potere in cui, alla ragion di stato manzoniana, prevale la logica del più forte. Ironia della sorte, saranno proprio gli uomini in divisa a mettere in difficoltà i tre protagonisti … Sullo sfondo della storia, la bellissima Firenze ed i pittoreschi paesaggi toscani in genere.

La vicenda del film, ispirata a dei fatti veri, sarà resa nota grazie al libro-testimonianza scritto da Enza (Myriam Catania). L’immagine di Enza, nell’economia della narrazione, è la linea di confine fra  potere e sottomissione  incondizionata. Enza è una ragazza idealista, ingenua e ribelle, è una pura che non si rende conto di appartenere alla classe dei forti. Un po’ come Ermengarda nell’Adelchi, è la cerniera fra oppressi e oppressori: nella schiera degli oppressori perché appartiene alla classe alto borghese e viene raccomandata dal padre, oppressa perché ne è inconsapevole, non condivide gli ideali della classe cui appartiene e sceglie di scrivere un libro – contro i suoi interessi – per denunciare le raccomandazioni e le sopraffazioni dei più forti nell’aggiudicarsi i ruoli di potere.

La pellicola, prima ancora che un film documentario, è una denuncia – neanche troppo velata – della difficile situazione in cui versano i giovani italiani. Una situazione sempre più drammatica. La fuga di cervelli è, purtroppo, una delle conseguenze più gravi e lampanti sotto gli occhi di tutti. Dai lavori più duri a quelli per il quale è richiesto un alto grado di studio la parola chiave,di questi ultimi anni,  è una e una soltanto: immobilismo. Max, che nel film è un acuto giornalista, non riesce a far carriera, perché nel suo settore non c’è spazio se non per chi già appartiene a quell’ambiente. Max è figlio di un ferroviere che ha fatto i sacrifici per farlo studiare. Le situazioni di Irma e  Samuele, benché in ambiti estremamente differenti,   sono analoghe a quelle dell’amico. Queste storie, nell’Italia del terzo millennio, sono purtroppo alla regola del giorno. L’istruzione, che un tempo era considerata un mezzo di riscatto sociale, oggi è una flebile speranza e – il più delle volte – non serve a modificare lo status quo, personale e di una società e di un sistema che si sono arroccati nella propria autodifesa.  Il film di Gianbattista Avellino è, in conclusione, una fedele diapositiva del Bel Paese di oggi, l’ennesimo assist per riflettere più a fondo e cercare di essere migliori.

 

FONTE : http://www.flaneri.com/index.php/variaet/leggi/ce_chi_dice_no/

Gattina smarrita

Scrivo questo messaggio per una mia amica che la seconda settimana di settembre 2012 e' andata in ferie in un campeggio sito in San Vincenzo " PARL ALBATROS" portando con se la sua gattina di 15 anni .

La mattina della partenza la gatta ha trovato una apertura ed e' scappata.

La mia amica ed il suo compagno si sono messi a cercarla ma inutilente anche perche' il campeggio doveva essere lasciato libero prima del pomeriggio e chiuso definitivamente per termine stagionale.

I proprietari accudiscono una colonia di gatti che sono rimasti nel campeggio dandogli da mangiare, per cui hanno tranquillizato la mia amica dicendo che appena si sarebbe fatta viva per mangiare l'avrebbero chiamata.

Lunedi' 24 settembre 2012 i proprietari avrebbero riaperto il campeggio e cosi' i miei amici sono andati a San Vincenzo, muniti di scatolette e croccanti, ed hanno setacciato il campeggio in tutta la sua estensione.

Si sono fatti vedere altri gatti, ma lei no.

Lancio questo messaggio, autorizzata dalla mia amica, perche' speriamo che qualcuno possa aiutarci a trovarla nella speranza che sia ancora viva.

Ci serve un tam tam di persone che diffondono questo appello di ricerca.

La gattina e' tutta bianca e a pelo lungo musino di gatto europeo.

L'amore fa miracoli e noi crediamo nei miracoli.

Grazie a tutti coloro che ci daranno una mano.

Antonella ed Ilva

Shoep il meticcio di 19 anni che sta insegnando il mondo ad amare

Salve a tutti, sono consapevole che quella che sto per proporvi sia una notizia non troppo fresca, ma non vogliatemene. Scelgo di pubblicarla lo stesso, oggi, perché giunga a quante più persone è possibile. Ora, mi rendo conto che non sia necessario, ma credo che tutti noi abbiamo bisogno di esempi positivi, più che di incitazioni e sollecitazioni, e che leggere di "qualcosa di buono" ogni tanto possa solo giovare alla nostra salute psicofisica.

Quella che sto per raccontarvi è la storia di Shoep, un cane molto fortunato, e del suo innamoratissimo compagno a due zampe John Unger.

Shoep è un cane meticcio di 19 anni (si, avete letto bene 19) che a causa della sua età soffre di dolori reumatici che gli impediscono di dormire e svolgere una vita normale, così John per amor suo ogni sera si reca al lago "Lake Superior" per farlo addormentare.

Quello che sorprende di questa storia è la dedizione di quest'uomo nei confronti di una creatura, che per quanto illuminata è cosiderata generalmente inferiore all'essere umano, ma che paradossalmente è molto più capace di noi d'amore incondizionato.

Shoep e John sono stati immortalati da Hannah Stonehouse Hudson, che ha richiesto a John il permesso per cristallizzare il momento in cui Shoep finalmente si addormenta tra le sue braccia, stremato.

 

La storia di Shoep, un cane di 19 anni, ha fatto commuovere mezzo mondo. In molti ricorderanno la foto che lo ritrae tra le braccia del suo padrone John Unger immerso nelle acque tiepide del Lake Superior, l'unica cura naturale in grado di alleviare il dolore causato dalla sua artrite. La terapia per trattare il male degenerativo di Schoep è purtroppo molto costosa e al di fuori delle possibilità di John: questo diventa quindi l'unico modo per l'uomo di calmare i gonfiori e i dolori dell'animale. Ma grazie allo scatto dell'amica Hannah Stonehouse Hudson postato sulla pagina ufficiale facebook Schoep and John, la storia di amore e dedizione tra il cane e il suo padrone si è diffusa in modo virale fino ad arrivare a oltre 54 mila "like" ed è stata presa a cuore da moltissimi utenti. In poco tempo sono arrivate generose donazioni in denaro (si parla di oltre 25 mila dollari) che hanno permesso a John non solo di curare il suo fedele compagno con sedute di laser terapia, ma anche di fondare l'associazione Legacy Foundation Schoep, nata con lo scopo di aiutare le famiglie con un basso reddito nella cura dei loro cani.

"Quando ci siamo resi conto di aver ricevuto più soldi di quelli necessari per la cura del Schoep, abbiamo capito di poter aiutare almeno altri 30 o 40 Schoep", fa sapere Unger in un'intervista al Daily Mail. E dire che solo due mesi fa, insieme al suo veterinario Erik Haukass, stava prendendo in seria considerazione l'idea dell'eutanasia per porre fine alle sofferenze del cane. La testimonianza dello stesso veterinario che l'ha in cura parla quasi di miracolo: "Senza la possibilità di sottoporlo ad un trattamento, John e io stavamo parlando di eutanasia, alla fine di luglio. Ora Schoep sta migliorando a vista d'occhio. Con le terapie donate dalle persone è come se il suo orologio biologico fosse tornato indietro di un anno e mezzo". Un miglioramento progressivo che è visibile negli occhi di Schoep, tornati finalmente presenti e vivaci, e che è documentato con cura e dovizia di particolari sulla sua pagina ufficiale.

http://it.notizie.yahoo.com/blog/foto-blog/cane-affetto-da-artrite-migliora-grazie-donazioni-spontanee-131417709.html

DA 6 ANNI SULLA TOMBA DEL SUO PADRONE: IL CANE CAPITAN COMMUOVE IL WEB

Così fedele al padrone da dormire sulla sua tomba da sei anni. La vicenda di Capitàn, un pastore tedesco appartenuto a un signore di nome Manuel Guzman, sta commuovendo l'Argentina con una vicendo che ricorda il famoso cane giapponese Hachiko. Capitàn non era presente alle esequie del signor Guzman, deceduto nel 2006, eppure ha trovato la sua tomba nel cimitero di Còrdoba e trascorre praticamente tutto il tempo lì. «Non vuole lasciare Manuel solo di notte», ha dichiarato la moglie del trapassato. «Durante il giorno, ogni tanto, fa un giretto fra le altre tombe, ma poi torna a sedersi su quella del padrone», racconta Hector Baccega, direttore del cimitero. Il cane, che torna a casa di tanto in tanto, ma rientra puntualmente al camposanto ogni sera, è diventato talmente popolare che gli inservienti gli portano da mangiare e gli riempiono la ciotola d'acqua, anche se la signora Veronica visita spesso sia lui che il sepolcro del marito.

http://www.leggo.it/news/social/da_6_anni_sulla_tomba_del_suo_padrone_il_cane_capitan_commuove_il_web_foto/notizie/0/194511.shtml

Il basket come terapia per ragazzi con difficolta' psichiche e/o di comportamento

Marco Calamai racconta la sua esperienza di allenatore di basket e come ha dato inizio a un metodo che oggi, attraverso 25 centri, aiuta in Italia 750 ragazzi con difficoltà psichiche e/o di comportamento...


Il 28 febbraio di dieci anni fa, quando non c’era (sfortunatamente) Oscar Pistorius ad attirare l’attenzione dei media su certe problematiche che ora fanno discutere, giorno dopo giorno sempre di più, sulle colonne di Sportweek, Luca Corsolini raccontava la storia di Marco Calamai, ex giocatore di basket, ex allenatore, ex insegnante, laureato in filosofia che “s'è sempre tenuto in allenamento ragionando e pensando di non aver perso niente di quello che ho studiato".

La sua palestra – continuava quel racconto – era una vecchia stalla di 4 metri per 8, con un canestro solo e sbilenco, le colonne in mezzo al campo e alcuni abbeveratoi laddove di solito c'è la linea laterale. Non è in parquet questo strano campo fedele allo spirito del gioco; al contrario ci sono dei mattoni irregolari che non danno fastidio ai giocatori che stanno su panchine da mungitori, o dietro vecchi banchi di scuola. Il nuovo James Naismith si chiamaMarco Calamai.

Dopo aver iniziato una nuova carriera tra abbeveratoi e colonne, la voglia di tornare in panchina, di portare a spasso di nuovo in serie A i suoi baffi e la sua sciarpa, il suo amore per il basket, gli è passata. Ha capito di essere diventato, forse definitivamente, un ex allenatore nel senso tradizionale del termine quando s’è accorto "di non sopportare più il disimpegno, la svogliatezza, la pigrizia di chi in palestra ci va per un gioco diventato lavoro".

Marco Calamai ora (da allora, ndr) allena un gruppo di portatori d'handicap. Il basket come terapia: possibile?
"Ho scelto il basket perché e sempre stato il mio sport, ma anche perché e l'unica disciplina adattabile a questi ragazzi. Il gioco ha una sua violenza, però la fase finale, il tiro, è morbida. Poi è l'unico sport che tende al cielo, e questa è una rivoluzione per chi è abituato a guardare sempre per terra: alzano la testa ed è come se scoprissero un mondo nuovo. Sinceramente, non pensavo che avrei retto: invece li sgrido, li alleno, siamo una squadra come tante altre".

Marco Calamai, insomma, dopo 12 anni sulle panchine della serie A, aveva cambiato strada, lasciandosi alle spalle l’ultima esperienza professionistica di Livorno. E ancora adesso, da quell’agosto del 1995 quando incontrò per la prima volta i ragazzi del Centro di terapia intensiva La Lucciola diretto da Emma Lamacchia, continua a lavorare con loro. A portare avanti una missione, come la chiameremmo noi. Diciassette ragazzi, tutti con difficoltà psichiche e/o di comportamento importanti, erano pronti a entrare in contatto con la palla. “Certamente ognuno a suo modo – come Calamai sottolinea quasi con tenerezza –: c’era chi scalpitava per prenderla; chi si proteggeva con le mani il volto per paura di un passaggio inatteso; chi guardava il pallone di sottecchi sperando di non farsene accorgere ma interessato come gli altri”. Il primo allenamento, quello, a cui ne seguiranno decine, centinaia. D’estate a Monzuno (Bologna), sede estiva della Lucciola, nelle altre stagioni in quella stalla a Stuffione di Ravarino, in provincia di Modena.

E dopo i ragazzi della Lucciola, ecco quelli di Bologna, e poi ancora quelli di Pavia. Palestra e basket, giocando e correndo (in squadre composte da disabili e normodotati) magari anche a piedi nudi: nel mondo del “progetto Calamai” non c’è bisogno di un paio di scarpe all’ultima moda. E in “allenamento” un canestro lo si può segnare con un aiutino: con l’allenatore che ti solleva e ti porta quasi in cielo. O sulle spalle di un compagno. O con l’apporto di una sedia. Tanto nessun arbitrò fischierà mai. Nessun arbitro annullerà mai un gesto d’amore e il successivo cinque alto che vale più di una coppa dei Campioni. “Perché – dice ancora Marco – il semplice gesto del tiro, in molti ragazzi disabili, comporta l’aprirsi di una postura spesso chiusa; così come il passaggio a un altro componente del gruppo è l’inizio di un cammino di relazione e il primo passo verso una forma di dialogo”.

E Calamai lo ha scoperto giorno dopo giorno. Come in quell’intenso giovedì che stava ormai finendo con l’allenamento: “I bambini – scrive – stavano per salire sul pulmino in attesa. Sofia era già avvolta nel suo cappotto. Mi sono avvicinato per un saluto. Guardandoni mi ha sorriso e con naturalezza mi ha detto: 'Ciao'. Era la prima volta che mi parlava, anzi la prima volta che parlava”.

Nella pallacanestro sperimentale adattata alla disabilità di Marco Calamai, situazioni così intense non sono però rare. Ma il gioco ha saputo riaccendere speranze, creare integrazioni, raggiungere risultati insperati. Per insegnare questo basket (che qui viene spiegato con una ricca casistica tratta dall'esperienza, testimonianze e numerosi esercizi pratici), “è necessario saper cogliere il valore dell'ascolto e dell'attesa, del silenzio e dell'integrazione reale;considerare la diversità non un limite, ma un arricchimento e una occasione di crescita interiore; saper intravedere le potenzialità che uno strumento magico come la palla possiede, per avviare dialoghi, intessere relazioni e guardare, finalmente, verso l'alto”. Appunto.

Fonte: Massimo Ciuchi per www.gazzetta.it