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Bologna ha una centrale nucleare per produrre farmaci radioattivi

Nel cuore dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna, protetta da pareti in cemento armato spesse due metri, c’è una piccola centrale nucleare che serve a produrre farmaci radioattivi per studiare i tumori. Ai profani può sembrare fantascienza, invece è realtà. Ogni mattina, come fossero dei panettieri, fisici e chimici arrivano all’alba, indossano delle tute protettive e sfornano medicinali che verranno poi iniettati poche ore dopo nei pazienti. Il reparto è quello di Medicina nucleare del policlinico, progettato nel 1998 con un investimento di otto milioni di euro: oggi ne "fattura" dodici l’anno ed è uno dei centri più importanti al mondo nel suo settore.

 

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Qui lavorano i giovani di tutto il mondo. "Il nostro lavoro serve a dare risposte ai pazienti. Bisogna dire a una persona se è guarita da un tumore, se ha ancora la malattia, quanto è grave e qual è la terapia più adeguata per sconfiggerla" spiega Stefano Fanti, 50 anni, il primario dell’Unità operativa ma anche il prototipo dell’anti-barone. Cammina per le corsie dell’ospedale in jeans e maglione, chiama gli specializzandi per nome, racconta come senza di loro questo reparto non avrebbe una reputazione così alta a livello internazionale: "Posso permettermi di prendere solo i più bravi". Le liste d’attesa, qui, si creano per far parte della sua squadra. "Abbiamo ragazzi e ragazze che arrivano da tutto il mondo per imparare: ora ci sono una spagnola, una macedone e un sudamericano". Il team è talmente affiatato che ogni anno qualcuno s’inventa una “divisa” nuova - in genere una felpa - uguale per tutti, come una squadra di calcetto.

http://m.repubblica.it/mobile/r/locali/bologna/cronaca/2015/01/04/news/bologna_nel_bunker_nucleare_del_policlinico_dove_si_creano_i_farmaci_antitumore-104236116/

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Aspirina, allarme dall'Inghilterra: uccide centinaia di persone l'anno

Secondo una ricerca condotta oltre Manica il farmaco è inutile per un quarto delle persone che ne fanno uso.

 

L’aspirina è inutile per un quarto delle persone che l’assumono regolarmente.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Il monito arriva dall’Inghilterra, dove ogni anno muoiono centinaia e centinaia di persone per abuso del farmaco.

 

Il Telegraph racconta che un’approfondita ricerca medica ha rivelato che sono circa 16 milioni i britannici che fanno uso dell’acido acetilsalicilico senza trarne alcun beneficio, anzi. E pensare che lo studio ha preso in considerazione la sola isola.

 

E nei casi peggiori, “per quei pazienti a rischio infarto e ictus, che prendono l’aspirina per fluidificare il sangue, il problema potrebbe essere mortale. Questi soggetti moltiplicano per quattro le possibilità di subire un attacco cardiovascolare fatale”. Ma c’è chi, per natura e genetica, è predisposto a resistere alla medicina: chi ha il colesterolo alto o il diabete può sviluppare una maggior resistenza. I dati della British Heart Foundation parlano di oltre 250mila infarti e ictus nel Regno Unito ogni anno.

 

Da che mondo e mondo, prevenire è meglio che curare, ma piuttosto che mettere mano al blister per buttar giù inutilmente una pastiglia, i ricercatori hanno messo a punto un test delle urine – del costo di 10 sterline – capace di dire se il principio attivo dell’antinfiammatorio verrà metabolizzato correttamente, funzionando nella giusta maniera contro il trombossano A2 delle piastrine.

 

Il quotidiano riporta dunque le parole del dottore Paul RJ Ames, che lavora come esperto in emostasi e trombosi al St George di Londra e che, insieme ad altri colleghi, ha realizzato l’esame preventivo capace di salvare la vita a centinaia di migliaia di connazionali. “I medici devono rendersi conti che l’aspirina, ritenuta il pilastro della terapia cardiaca, non funziona per circa il 25% dei casi. Tra l’altro non sono da dimenticare gli effetti collaterali, come le ulcere. Insomma, perché si dovrebbe continuare su questa strada sapendo che non è la migliore?”.

http://www.ilgiornale.it/news/salute/aspirina-allarme-dall-inghilterra-uccide-centinaia-persone-l-1080145.html

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Macchie solari: scoperto un enorme buco in fondo al Sole

Niente fuochi d'artificio, per l'inizio del 2015. Ma un enorme buco coronale che si è 'aperto' nella zona del polo sud solare. Le immagini del Solar dynamic observatory mostrano un'area molto più scura rispetto al resto della sfera. Il fenomeno è dovuto a regioni in cui il campo magnetico permette alle particelle di fuggire a velocità molto superiori rispetto alla norma, creando così venti molto più potenti che - se rivolti verso il nostro pianeta - possono avere effetti anche sulla Terra. Il risultato sono queste macchie scure dovute alla densità e alle temperature meno elevate che possono diventare, come in questo caso, molto estese

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http://www.repubblica.it/scienze/2015/01/03/foto/macchie_solari_scoperto_un_enorme_buco_in_fondo_al_sole-104240512/1/?rss#1

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L'antimateria scomparsa, si indaga sul bosone di Higgs

PERCHÉ esistiamo e siamo fatti di materia e perché l'antimateria è sparita subito dopo il Big Bang? Un team internazionale di scienziati si chiede se nella lotta che ha condotto alla vittoria della materia sull'antimateria (in particolare nel fenomeno fisico chiamato 'violazione della simmetria CP') possa aver preso parte anche il bosone di Higgs, la cosiddetta 'particella di Dio', scoperta circa due anni e mezzo fa al CERN di Ginevra. In uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Physical Review D e disponibile su ArXiv, infatti, gli scienziati hanno sviluppato un metodo sperimentale per capire se anche il bosone abbia 'giocato' in questa partita e, mediante tale metodo, si propongono di definire quale parte ha avuto nella vittoria schiacciante della materia sull'antimateria, senza la quale l'universo nella sua composizione attuale e anche noi forse non saremmo qui.

 

A dare notizia è lo SLAC (Stanford Linear Accelerator Center) National Accelerator Laboratory: Mattew J. Dolan dello SLAC, insieme a Philip Harris, del CERN a Ginevra, a Martin Jankowiak, dell'Università di Heidelberg in Germania, e a Michael Spannowsky, dell'Università di Durham nel Regno Unito, hanno condotto lo studio che svilupperanno nei prossimi mesi. Lo SLAC, in particolare, è un laboratorio californiano costituito da un acceleratore lineare lungo 3 chilometri nel quale circolano elettroni e positroni (il positrone è l'antiparticella dell'elettrone) ad alcuni metri di profondità sotto il suolo.

 

Il mistero dell'antimateria. Il perché nell'universo ci sia più materia che antimateria rappresenta un mistero che da diversi anni confonde fisici e cosmologi e la cui risoluzione potrebbe dare luce ad aspetti molto importanti legati alla nostra esistenza. L'antimateria, inoltre, affascina sia il mondo scientifico che quello letterario: non bisogna dimenticare la sua presenza, ad esempio, all'interno del romanzo thriller Angeli e Demoni, di Dan Brown, uscito in Italia nel 2004, in parte ambientato al CERN di Ginevra, e dell'omonimo film (regia di Ron Howard, USA-Italia 2009). La materia costituisce la stragrande maggioranza di ciò che compone l'universo, mentre l'antimateria è quasi del tutto assente, tranne poche eccezioni astronomiche, e la sua esistenza è stata osservata mediante riproduzioni sperimentali in laboratorio. Nonostante questo forte sbilanciamento, l'antimateria assume caratteristiche molto simili a quelle della materia ordinaria: le sue antiparticelle sono come 'gemelle' delle particelle di materia, dalle quali differiscono soltanto per la carica elettrica, che risulta di segno opposto (ad una particella con carica negativa corrisponde un'antiparticella con carica positiva).

 

Tornando alle origini, al momento del Big Bang ci doveva essere una sostanziale parità tra materia e antimateria. Un po' come davanti ad uno specchio, le particelle di materia si riflettevano in quelle di antimateria e l'equilibrio doveva essere intatto. Inoltre, quando particelle e antiparticelle si incontravano, secondo la fisica doveva avvenire un altro fenomeno, chiamato annichilazione: esso comporta che nello scontro le particelle e le antiparticelle si annullino a vicenda e si trasformino in altri tipi di particelle e/o in energia, rimanendo però sempre in equilibrio numerico.

 

Tuttavia, fin quasi dai primordi questa perfetta simmetria cosmica è stata rotta e l'ago della bilancia è stato nettamente spostato verso la materia. Dunque, quali eventi fisici alla base della struttura dell'universo hanno decretato la supremazia della materia sulla sua rivale?

A fornire indizi di questa vittoria è un fenomeno fisico, chiamato 'violazione della simmetria CP', un complicato meccanismo fisico che spiega la rottura dell'equilibrio tra materia e antimateria: un po' come se si infrangesse lo specchio, dunque, l'antimateria viene in qualche modo cancellata e la realtà assume la forma della materia. Le prime tracce sperimentali di questo fenomeno risalgono a circa cinquant'anni fa (al laboratorio di Brookaven, che si trova presso Long Island, a New York), però le conferme sono giunte solo in anni recenti. A studiare tale fenomeno, sono diversi esperimenti al mondo: dal CERN a Ginevra a BaBar presso il laboratorio SLAC in California, dove nel 2001 è stata scoperta sperimentalmente la violazione della simmetria fra i mesoni B (particolari particelle che sono anch'esse bosoni) e le loro antiparticelle.

 

L'antimateria e il bosone di Higgs. Ma arriviamo all'ipotesi odierna. Gli scienziati si domandano se il bosone di Higgs, scoperto sperimentalmente solo due anni e mezzo fa al CERN di Ginevra, possa avere giocato un ruolo in questa partita, nella violazione della simmetria CP. Non è una domanda strana, dato che il bosone è strettamente legato alla massa e alla materia. Attraverso un meccanismo noto come meccanismo di Higgs, infatti, la nostra particella è responsabile della massa di tutte le altre particelle: dunque perché non potrebbe essere implicata anche nella sparizione dell'antimateria?

 

Nei prossimi mesi, l'obiettivo dei ricercatori sarà in primo luogo quello di confermare che il bosone di Higgs rientri nel Modello Standard, la teoria fisica che descrive tutte le particelle elementari e le loro interazioni e dunque che è alla base delle leggi dell'intero universo. Inoltre, i ricercatori indagheranno il particolare 'decadimento' del bosone (un processo in cui si trasforma in altri componenti) in due particelle elementari tau, simili a cugini extralarge dell'elettrone: è questo il processo che servirà a capire se la particella di Higgs è implicata nella vittoria della materia sull'antimateria. Questo decadimento è stato dimostrato sperimentalmente in tempi molto recenti; in esso il bosone dà luogo a due particelle tau e a due jet di altre particelle, simili a veri e propri getti a forma di cono: dalla posizione - o meglio dall'angolo - con cui vengono 'spruzzati' questi jet sarà possibile capire se il bosone è coinvolto nella rottura dell'equilibrio tra materia e antimateria.

 

Nel 2015, non appena il Large Hadron Collider opererà ad energie massime, pari a 14 teraelettronvolt (mille miliardi di elettronvolt, l'unità di energia che si riferisce alle particelle), gli scienziati saranno pronti a svolgere questa indagine, spiega Matthew J. Dolan, ricercatore associato presso il gruppo Particle Theory allo SLAC e co-autore della pubblicazione su Physical Review D. Philip Harris, co-autore dello studio e fisico al CERN, che lavora all'interno della collaborazione CMS (Compact Muon Solenoid), ha dichiarato: "Con solo pochi mesi di dati possiamo cominciare a fornire informazioni realistiche sul bosone di Higgs e sul fenomeno di violazione CP".

 

http://www.repubblica.it/scienze/2015/01/04/news/bosone_sparizione_antimateria-103761401/?rss

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Tumori, la ricerca shock: ne causa piu' la sfortuna che lo stile di vita

In molti casi ammalarsi di cancro è solo un fatto di sfortuna e non di stile di vita. Riassunta così, la conclusione della ricerca condotta alla Johns Hopkins School of Medicine del Maryland potrebbe apparire sconvolgente da un punto di vista scientifico perché controcorrente rispetto a tutto quanto da anni ripetono studiosi e medici. Eppure è proprio quello che sostengono i due ricercatori che hanno elaborato lo studio pubblicato sulle pagine del prestigiosa rivista "Science".

 

Due terzi dei tumori sarebbero infatti dovuti a mutazioni legate al puro caso, intendendo con ciò tutto quello che l'uomo e la scienza non sono ancora riusciti a spiegare, piuttosto che a stili di vita sbagliati come il fumo. Solo un terzo sarebbe invece legato a fattori ambientali o predisposizioni ereditarie. In sintesi, il 66% dei tumori è pura sfortuna, ossia sembrano apparentemente incomprensibili perché si verificano in assenza di comportamenti a rischio. Questa 'certezza' non cancella il fatto che gli stili di vita sbagliati aumentino il rischio di ammalarsi: il fumo da solo, ad esempio, resta il responsabile del 20% dei casi di cancro in tutto il mondo. Lo stesso vale per l'eccessiva esposizione al sole, bere troppo alcol o essere sovrappeso.

 

Gli autori della ricerca sono il genetista Bert Vogelstein e il matematico Cristian Tomasetti che hanno analizzato 31 differenti tumori e, seguendo dei modelli matematici, sono arrivati al seguente risultato: solo 9 sono risultati essere collegati allo stile di vita o a difetti genetici; i restanti 22 erano "principalmente collegati alla sfortuna: il Dna o come viviamo hanno solo un piccolo impatto", evidenziano i ricercatori.

 

Tra le neoplasie collegate alla 'cattiva sorte', la ricerca inserisce quelle localizzate in alcuni organi e tessuti: cervello, testa-collo, tiroide, esofago, polmone, osso, fegato, pancreas, melanoma, ovario e testicolo. Su alcune forme tumorali i ricercatori evidenziano invece come il fumo, gli effetti del sole, delle radiazioni, di un eccessivo consumo di carne e fattori genetici possano avere un effetto scatenante (ad esempio tumore al polmone, fegato e gola).

 

Il lavoro di Vogelstein e Tomasetti si è concentrato sulle staminali, cellule che si possono differenziare in diversi tipi di tessuti a seconda delle esigenze. Proprio a causa della loro longevità, una mutazione nelle staminali può avere conseguenze molto più deleterie rispetto a quando ciò accade in una cellula comune.

 

Gli scienziati hanno contato le mutazioni casuali che possono avvenire durante una divisione cellulare, lasciando da parte altre cause (geni difettosi ereditati o di tipo ambientale come il fumo o la presenza di radiazioni). Il sistema matematico elaborato dai ricercatori ha evidenziato che all'aumentare del numero di divisioni cellulari aumenta il rischio che si sviluppi un tumore.

 

Secondo gli scienziati, dunque, in molti casi non è possibile prevenire i tumori, ma se resta ferma il valore della prevenzione generale, la ricerca dovrebbe concentrarsi però soprattutto sulla diagnosi precoce per bloccare il cancro nei primi stadi di sviluppo e quando la soluzione chirurgica può essere decisiva.

 

Lo studio, che lascia fuori dall'analisi un terzo delle neoplasie conosciute per le quali le cause sono particolari predisposizioni genetiche e ambientali molto pericolose, è comunque un lavoro di tipo statistico e quindi andrà verificato con altre ricerche.

 

http://m.repubblica.it/mobile/r/sezioni/salute/ricerca/2015/01/02/news/tumori_ricerca_ne_causa_pi_la_sfortuna_che_lo_stile_di_vita-104167899/

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