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Antibiotico-resistenza: un problema di Mercato

Come vedremo, è interessante notare come alla base del problema dell’antibiotico-resistenza ci siano le logiche tipiche dell’economia di mercato.

La questione diventa più chiara quando si cercano le soluzioni al problema: logica vorrebbe infatti che, se i 'batteri killer' sono resistenti a tutti gli antibiotici conosciuti, se ne ricercassero di nuovi. Invece la maggior parte delle molecole in circolazione risale agli anni ’70, perché l’antibiotico è un prodotto poco remunerativo: si usa (o si dovrebbe usare) per un periodo di tempo limitato e il prezzo è relativamente basso, mentre i costi di ricerca e sviluppo di un nuovo principio attivo sono talmente elevati che le società farmaceutiche investono ormai solo nella cura delle malattie croniche (i cui malati consumano il farmaco per tutta la vita), oppure per i chemioterapici e gli antiretrovirali (che hanno un prezzo elevatissimo).

Le logiche di mercato appaiono dunque essere non solo la causa principale del problema (in quanto responsabili del consumo scriteriato di antibiotici…), ma anche il principale ostacolo alla sua soluzione.

Vi sono vari progetti di ricerca che mirano a sostenere la messa a punto di antimicrobici, tra cui prove cliniche su antibiotici non brevettati, sono finanziati dalla comunità europea, ma continuano a mancare gli investimenti industriali per mettere a punto questi nuovi antibiotici.

Le società farmaceutiche cioè si tirano indietro anche quando si parla del solo sviluppo...

 

 

 

Morire per una banale cistite o per una ferita che si infetta non è più un’eventualità remota nei Paesi occidentali. La resistenza agli antimicrobici, cioè la capacità dei microrganismi di alcune specie di sopravvivere e moltiplicarsi in presenza di concentrazioni di antibiotici di regola sufficienti per inibire o uccidere microrganismi della stessa specie, è in costante aumento in tutta Europa.

Questo problema, di cui si parla poco o nulla, ha assunto negli ultimi anni grande rilevanza: l’Ecdc (il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) ritiene che la resistenza agli antibiotici rappresenti “la più grande minaccia nell’ambito delle malattie infettive”. Perché, se gli antibiotici non funzionano, molte malattie finora facilmente curabili si trasformano in patologie mortali.

Leggere: www.corriere.it

 

 

Gli antibiotici li ingeriamo quotidianamente senza volerlo (né saperlo) anche attraverso la carne macellata, perché vengono somministrati agli animali per prevenirne (e non solo curare) le malattie,

Troppi antibiotici accelerano l’evoluzione delle specie batteriche creando i “superbatteri” o “batteri killer”

(Dati Commissione europea, Piano d’azione di lotta ai crescenti rischi di resistenza antimicrobica, 2011)

 

E, come ha dichiarato a marzo 2012 Margaret Chan, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (che nel 2011 aveva dedicato la Giornata mondiale della salute proprio a questo problema), “un’era post-antibiotici significa di fatto la fine della medicina moderna così come la conosciamo”.

I germi responsabili di infezioni anche assai gravi e pericolose per la vita, quali ‘Pseudomonas’, ‘Klebsiella’, ‘Acinobacter baumanii’ ed altri Gram-negativi, enterococchi, stafilococchi e pneumococchi hanno ormai raggiunto in diversi ambienti un tale grado di resistenza multipla da diventare intrattabili anche con i più recenti antimicrobici, mentre problemi di primo piano sono posti dagli enterococcchi resistenti alla vancomicina (VRE), dagli stafilococchi meticillino-resistenti (MRSA), dai bacilli Gram-negativi che elaborano ß-lattamasi ad ampio spettro, da pneumococchi penicillino ed eritromicino-resistenti, per non citare le serie preoccupazioni connesse alla multiresistenza del ‘Mycobacterium tuberculosis’, responsabile della TBC.

M. Sandal, La fine dell’era antibiotica, in “Il post”, 20 novembre 2011

Leggere: www.ilpost.it

 

Perché una specie batterica è resistente agli antimicrobici?

Le possibilità sono due: o quel batterio è di per sé resistente all’azione di un dato antibiotico (in questo caso si parla di resistenza intrinseca), oppure può sviluppare un certo grado di insensibilità (la cosiddetta resistenza acquisita), attraverso un processo di selezione naturale che avviene in tempi straordinariamente brevi (i microrganismi crescono e si riproducono molto rapidamente, alcuni in appena 20 minuti).

Questo fenomeno a sua volta può essere innescato o da una mutazione casuale del materiale genetico (altamente probabile data la consistenza numerica della popolazione microbica), di modo che mentre i batteri ‘normali’ vengono eliminati dall’azione di un certo antibiotico, quelli ‘mutanti’ si moltiplicano e prosperano (e possono essere trasmessi ad altri animali o persone); oppure – caso quasi unico in natura – i batteri possono acquisire i geni di resistenza che gli sono necessari per sopravvivere direttamente da altri microbi di specie diversa (non necessariamente patogeni), attraverso i plasmidi coniugativi, sottili anelli di DNA che veicolano i geni da una cellula a un’altra: le informazioni passano così di specie in specie, mettendo a disposizione di ciascun individuo un assortimento genetico pressoché illimitato.

 

Inoltre, mentre i microbi che risultano resistenti a una sola famiglia di antibiotici possono essere trattati con principi attivi di diverso tipo, quando i batteri sviluppano quella che viene definita come ‘resistenza multipla’, cioè la resistenza a quattro o più antimicrobici appartenenti a classi diverse, il problema diventa davvero serio. Non perché la malattia provocata in questi casi sia più grave di quella provocata dai microrganismi sensibili, ma perché diventa più difficile da trattare, dato il numero ridotto di farmaci efficaci. Ciò dà luogo a un decorso più lungo, a costi ospedalieri più elevati e, nei casi limite, alla morte dei pazienti.

 

Ogni anno in Europa una sottoserie di batteri resistenti ai medicinali provoca la morte di circa 25.000 persone. Oltre ai decessi evitabili (il cui costo non è quantificabile in termini monetari), il fenomeno comporta un surplus di spese per la sanità e di perdite di produttività per almeno 1,5 miliardi di euro (1).

 

Nelle strutture sanitarie la resistenza antimicrobica costituisce una minaccia particolarmente grave, che si manifesta sotto forma di infezioni contratte in seguito a un ricovero in ospedale o a un soggiorno in una struttura sanitaria, e nell’Unione circa 4 milioni di pazienti soffre ogni anno di un’infezione connessa alle cure medico-sanitarie.

In Italia e in Grecia dal 15 al 50% delle infezioni da ‘Klebsellia pneumoniae’ – una delle principali cause della polmonite – è resistente anche al carbapenem, l’antibiotico ‘ultima spiaggia’, e risulta quindi praticamente incurabile.

Nel Regno Unito la UK Health Protection Agency sta monitorando l’insorgere di infezioni da gonorrea antibiotico-resistente e afferma che “il rischio di gonorree incurabili nel futuro è estremamente reale”.

Il direttore del Centro europeo per la prevenzione e controllo delle malattie (Ecdc), Marc Sprenger, intervistato sul fenomeno dei cosiddetti batteri killer, ha dichiarato: “La situazione è critica. Dobbiamo dichiarare guerra a questi batteri”.

 

 

La rivista scientifica Nature Reviews Microbiology, in un articolo firmato da 28 ricercatori europei e americani, riporta dati preoccupanti: nel 2007 il numero di infezioni da batteri antibiotico-resistenti in Europa ha superato i 400.000 casi, totalizzando 2.5 milioni di giorni di ricovero collettivi.

Inoltre un gene batterico per le resistenze agli antibiotici, chiamato bla-NDM-1, si va diffondendo dall’India al mondo occidentale e ha già aumentato la mortalità dei ricoveri ospedalieri.

Negli Usa i dati non sono migliori: l’incidenza di ricoveri ospedalieri dovuti a infezioni antibiotico-resistenti è aumentata del 359% in dieci anni, da 37.005 casi nel 1997 a 169.985 nel 2006.

Louise Slaughter, una deputata democratica, ha rivelato lo scorso marzo in un’intervista al Guardian che “ogni anno 100.000 americani muoiono in ospedale per un’infezione batterica, e non è che la punta dell’iceberg. Il 70% di queste infezioni è resistente ai trattamenti utilizzati abitualmente”.

Fra queste, il MRSA (uno stafilococco resistente alla meticillina) è responsabile del decesso di 19.000 pazienti all’anno e provoca sette milioni di visite dal medico o nei pronto soccorso, come riporta Maryn McKenna, giornalista specializzata in salute pubblica: “Ogni volta che una persona contrae l’MRSA, i costi sanitari sono moltiplicati per quattro. La resistenza agli antibiotici è un peso enorme per la salute pubblica nella nostra società”, il cui costo stimato si aggira negli Stati Uniti sui 20 miliardi di dollari l’anno.

 

Sebbene la resistenza agli antibiotici sia di per sé un fenomeno biologico naturale (un recente studio su Nature ha dimostrato che già 30.000 anni fa esistevano batteri resistenti), oggi l’abuso di antibiotici elimina tutti i ceppi batterici tranne quelli resistenti, che quindi prendono il sopravvento.

Il tasso di sviluppo delle resistenze risulta inoltre “amplificato da una serie di fattori, quali l’utilizzazione inadeguata di antimicrobici terapeutici in medicina umana e veterinaria, l’utilizzazione di antimicrobici a fini non terapeutici e l’inquinamento ambientale da antimicrobici, che accelerano l’apparizione e la propagazione di microorganismi resistenti e comportano gravi conseguenze” (2).

Ed è interessante notare come alla base del problema ci siano le logiche tipiche dell’economia di mercato.

 

 

L’utilizzazione inadeguata di antimicrobici in medicina veterinaria.

 

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, la metà degli antibiotici prodotti nel mondo è destinata agli animali, e la percentuale sale all’80% negli Stati Uniti, dove gli animali da allevamento, secondo un recente rapporto della Fda (Food and Drug Administration), consumano 13.000 tonnellate di antibiotici l’anno (3). Dato l’uso massiccio di antibiotici, alcuni batteri ordinari, all’origine di banali diarree o di infezioni alle vie respiratorie in varie specie animali, hanno sviluppato una maggiore resistenza ai farmaci più frequentemente utilizzati in medicina veterinaria.

Ma qual è la ragione di un impiego così elevato di antimicrobici?

Evitare le infezioni a rapida diffusione negli allevamenti intensivi con un gran numero di giovani animali ristretti in aree limitate, e accelerare la produzione contenendo tempi e costi (alcuni antibiotici funzionano anche come promotori della crescita). Piuttosto cioè che migliorare le condizioni igieniche di allevamento e la quantità di cibo a disposizione degli animali (stalle più grandi e più pulite e dosi extra di mangime equivalgono a maggiori costi), si preferisce impiegare quantità massicce di antimicrobici, con un aumento esponenziale della pressione di selezione di germi patogeni resistenti.

Per esempio, per la National Turkey Federation (la lobby Usa degli allevatori di tacchini), gli antibiotici permettono di diminuire di un terzo il costo di produzione. In particolare, essi diminuiscono il tempo di crescita e sono necessari perché gli animali possano riuscire a vivere ammucchiati a migliaia nei pollai: senza antibiotici, ci vorrebbero più infrastrutture agricole e 175.000 tonnellate di cibo in più (4).

 

Se l’impiego sconsiderato di antibiotici fosse un rischio per la salute dei soli animali di allevamento sarebbe già grave, ma il vero problema è che i batteri resistenti finiscono nella catena alimentare umana, e dal momento che è difficile prevenire la contaminazione delle carcasse durante la macellazione e le successive tappe che portano la bistecca o il petto di pollo sulla nostra tavola, i batteri resistenti passano dal tratto gastrointestinale degli animali al nostro organismo.

Per esempio gli enterococchi degli animali da allevamento possiedono geni di resistenza ad antibatterici usati in medicina umana, e l’impatto di questo pool di geni sulla nostra salute ha causato di recente molti problemi. È interessante rilevare infatti che la diffusione di resistenza ad antimicrobici negli allevamenti, per esempio salmonella e campylobacter, resistenti ai fluorochinoloni, è un fenomeno che va di pari passo con i medesimi fenomeni rilevati negli ospedali, e antibiotici simili sono utilizzati in ambedue gli ambienti.

 

Un studio pubblicato dalla rivista medica Clinical Infectious Diseases nel 2011 rivela che la metà della carne di bue, di pollo, di maiale e di tacchino venduta nei grandi magazzini degli Stati Uniti contiene germi resistenti agli antibiotici (in particolare lo stafilococco MRSA).

A.E. Waters et al., Multidrug-resistant staphylococcus aureus in US meat and poultry, in “Clinical infectious diseases”, 15 aprile 2011 http://cid.oxfordjournals.org/…/…/2011/04/14/cid.cir181.full

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V. anche: E. Capuano, Animali ingozzati con gli antibiotici, in “EC planet”, 26 febbraio 2012.

 

 

Nell’agosto 2012 il gigante agroalimentare Cargill ha ritirato dal mercato 16.000 tonnellate di tacchino contaminate da un ceppo di salmonella resistente ai medicinali, responsabile di un caso di morte e un centinaio di ricoveri.

P.S. - Monsanto, la multinazionale degli Ogm vende la soia geneticamente modificata tramite compagnie di semi, come la Cargill. Questi mangimi geneticamente modificati vengono utilizzati per nutrire il polli della Sun Valley (il più grande allevatore di pollame inglese) anche questa società è di proprietà della Cargill. Il più grande cliente della Sun Valley è McDonald's, la catena di ristoranti fast food più grande e più famosa del mondo.

VEDI: "Contrabbandare gli OGM di nascosto" Inchiesta di Greenpeace

(febbraio 2000 da Tactical Media Crew: http://www.tmcrew.org/mcd/mcmonsanto.html )

www.tmcrew.org

 

Per non parlare dell’impiego negli allevamenti di ormoni, utilizzati abitualmente in numerosi Paesi, per accelerare la crescita dei vitelli. Alcuni omogeneizzati di carne presentano dei livelli di estrogeni talmente elevati che potrebbero essere messi in relazione con la crescita del seno in bambine di 2-3 anni.

www.universonline.it

 

 

L’inquinamento ambientale da antimicrobici.

Alcuni ricercatori hanno mostrato peraltro che gli antibiotici non sono presenti solo nella carne, ma anche nei cereali o nei legumi coltivati nel terreno fertilizzato col letame del bestiame. Inoltre situazioni di resistenza pericolose si sono verificate per impiego di antibiotici ai fini di controllare la crescita batterica e fungina in orticoltura: per esempio la ‘Burkholderia cepacia’, usata per le sue proprietà antifungine per il trattamento delle discariche, per l’aumento dei raccolti e per impedire il deterioramento di frutta e vegetali, può esser responsabile, come patogeno, di gravi infezioni in pazienti con fibrosi cistica ed essere resistente a tutti gli antibiotici.

Per la protezione di verdure e alberi da frutto, in alcune aree, ai convenzionali pesticidi chimici (vietati in Italia dal 1971) si preferisce l’uso di antimicrobici che agiscono su microrganismi simili a pericolosi patogeni umani, come la ‘Pseudomonas’ e la ‘Burkholderia’.

 

Ma la logica del profitto sta contaminando l’ambiente anche in altri modi: per esempio con la diffusione esponenziale di detersivi antimicrobici per la pulizia della casa e della persona (l’ultima frontiera del marketing delle multinazionali del settore), che promettono l’eliminazione del 99,9% dei batteri per farci sentire più sicuri, dimenticandosi di informarci che lo 0,1 rimanente si svilupperà indisturbato, e che fornirà materiale genetico di resistenza a tutte le generazioni di microrganismi futuri.

 

L’uso inappropriato di antibiotici in medicina umana.

 

L’Ecdc (il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) riporta che più del 50% delle prescrizioni di antibiotici negli ospedali sono superflue o inapropriate, e che i Paesi europei dove si concentra questa pratica sono gli stessi dove è maggiore l’incidenza di batteri resistenti: Grecia, Cipro, Italia, Ungheria e Bulgaria.

Gli antimicrobici andrebbero utilizzati infatti soltanto se necessario e secondo prassi ottimali, perché la resistenza antimicrobica è direttamente connessa al modo in cui i pazienti e gli operatori sanitari che redigono le prescrizioni utilizzano i farmaci.

L’utilizzazione inadeguata dei principi attivi (per esempio, per motivi sbagliati o per inesattezza), comporta l’apparizione e la selezione di microbi resistenti ai medicinali. Le abitudini cattive di medici e pazienti sono talmente radicate da giustificare la creazione dell’European Antibiotic Awareness Day (la giornata europea per l’utilizzo consapevole degli antibiotici: qualcuno in Italia ne ha mai sentito parlare?), che si svolge il 18 novembre di ogni anno con l’obiettivo di evidenziare alcune pericolosissime ‘malpractice’, condotte sia da parte dei medici (generici e ospedalieri), che da parte dei pazienti.

 

 

Sul fronte medico l’Ecdc cita per esempio la prescrizione abituale di antibiotici ad ampio spettro, cui dovrebbe essere preferita un’analisi precisa del bacillo responsabile dell’infezione e, attraverso l’antibiogramma, l’individuazione di un principio attivo specifico.

 

Oppure l’abitudine di prescrivere antibiotici anche in caso di forme virali, che – non si ricorderà mai abbastanza – non sono sensibili agli antimicrobici, all’unico scopo di evitare mai accertate sovrainfezioni batteriche.

O ancora l’abitudine nelle strutture sanitarie all’abuso delle profilassi antibiotiche per prevenire le sempre più frequenti infezioni ospedaliere, invece di focalizzarsi maggiormente sui protocolli di igiene e sull’isolamento dei casi accertati.

Sul fronte dei pazienti, bisogna soprattutto evitare di interrompere le terapie antibiotiche senza averle completate o di usare gli antibiotici avanzati dalla cura di malattie precedenti (come pure richiederne di nuovi senza ricetta a un farmacista compiacente), per successivi disturbi senza aver prima consultato il medico; e limitare l’uso di detersivi e detergenti disinfettanti ai casi di assoluta necessità.

 

Tuttavia, preso atto che il problema delle resistenze è noto fin dagli anni ’50 (per penicillina ed eritromicina), come mai gli antimicrobici si sono usati così tanto e con tanta leggerezza in medicina umana? Quando più del 50% delle prescrizioni è inutile o inappropriato, in un territorio vasto come l’Unione europea, non si può parlare di un fenomeno casuale.

O nelle università si insegna ai medici ad abusarne (e pare che non sia così), oppure la pressione arriva da altri portatori di interessi.

 

Immaginiamo dunque che le aziende che si erano imbarcate in questo settore, scoprendolo poco remunerativo, abbiano cercato in tutti i modi di vendere il prodotto per guadagnare sulle economie di scala, facendo pressioni alle autorità sanitarie affinché chiudessero un occhio sugli usi inappropriati (ricordiamo che i Paesi dove il fenomeno è più vasto sono Grecia, Cipro, Italia, Ungheria e Bulgaria, nazioni in pool position anche per quanto riguarda la corruzione).

Questo spiegherebbe anche perché, pur conoscendo il fenomeno delle resistenze, non si siano riservate le molecole più potenti all’uso ospedaliero, come risorsa di ultima istanza, e siano state invece immesse tutte sul circuito delle farmacie (ricordiamo che più un antimicrobico si usa più in fretta la sua efficacia si brucia).

 

 

Le logiche di mercato appaiono dunque essere non solo la causa principale del problema (in quanto responsabili del consumo scriteriato di antibiotici), ma anche il principale ostacolo alla sua soluzione.

Una relazione pubblicata nel 2009, The bacterial challenge: ‘time to react’, mette in luce la lacuna esistente tra i problemi crescenti connessi ai batteri multiresistenti nella Ue e la necessità pressante di mettere a punto nuovi antimicrobici per rispondere ai fabbisogni medici. Lo studio raccomanda una strategia europea per colmare questa lacuna, strategia che peraltro è stata implementata negli ultimi anni: vari progetti di ricerca che mirano a sostenere la messa a punto di antimicrobici, tra cui prove cliniche su antibiotici non brevettati, sono finanziati dalla comunità europea a titolo del settimo programma quadro, ma continuano a mancare gli investimenti industriali per mettere a punto questi nuovi antibiotici.

Le società farmaceutiche, cioè, si tirano indietro anche quando si parla del solo sviluppo.

 

La Commissione europea nota, con un’amarezza quasi comica, che “le restrizioni quanto all’utilizzazione degli antibiotici (da lei stessa invocate, n.d.a.) non favoriscono gli investimenti”, e conclude che “è urgente rafforzare la ricerca e lo sviluppo e instaurare un nuovo modello commerciale per gli antibiotici”, il quale – scommettiamo – comporterà la possibilità di fissare prezzi elevati per i futuri principi attivi (5).

Anche il team di autori europei e statunitensi del già citato articolo di Nature Reviews Microbiology, caldeggia azioni governative, tramite incentivi e partnership tra ricerca pubblica e privata, per superare quella che chiamano “market failure”, cioè un vero e proprio fallimento dell’economia di mercato nel campo dei farmaci: per esempio in Gran Bretagna è stata lanciata l’iniziativa Antibiotic Action per incentivare la collaborazione tra sanità, accademia e industrie.

Gli autori notano che esistono numerose sorgenti naturali di molecole potenzialmente attive non ancora esplorate, per esempio i microrganismi marini.

 

Rispolverare vecchie molecole antibiotiche – magari scartate inizialmente ma che possono essere nuovamente utili alla luce di tecnologie più moderne, cambiando dosaggi, somministrazione o indicazioni – è un’altra delle strategie proposte per tamponare l’emergenza.

E si deve pensare a terapie alternative (pur sempre scientificamente comprovate), che riducano la nostra dipendenza dai farmaci: più vaccini innanzitutto (su questo non sono d'accordo - N.d.C.) (i vaccini sono molto redditizi), ma anche terapie probiotiche mirate, ovvero coc ktail di batteri ‘buoni’ che vivono nel nostro corpo senza recare danni, ma contenendo lo sviluppo dei germi patogeni.

Combattere i patogeni antibiotico-resistenti non è impossibile: le infezioni ospedaliere da MRSA in alcuni Paesi europei stanno lentamente diminuendo, grazie a programmi mirati di contenimento.

Ma in generale la situazione sta precipitando rapidamente, e c’è un serio disinteresse generale.

 

Il premio Nobel Joshua Lederberg, uno dei pionieri della genetica dei batteri (a lui si deve la scoperta che i batteri possono scambiarsi geni), ha dichiarato nel 1990 che “il dominio dell’uomo sulla Terra, a meno del suicidio della nostra specie, è oggi seriamente sfidato solo dai batteri patogeni, per i quali noi siamo la preda, e loro sono i predatori. Non c’è alcuna garanzia che in questa gara evolutiva saremo noi a uscire vincitori”.

 

Con buona pace dell’economia di mercato.

 

Fonte: www.metodoruffini.it

Da: www.rivistapaginauno.it

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Cibi avvelenati in una societa' terminale

Nota dell'autore – il seguente articolo è fondato su una raccolta dati di natura medica, nutrizionale, epidemiologica e sociale svolta negli USA da fonti indipendenti. Se è vero che i fenomeni sociali moderni nascono in quel Paese per venire poi esportati nel mondo Occidentale, possiamo prevedere gli stessi fenomeni da noi entro pochi anni, o anche meno. I segni ci sono già tutti.

Ci sono più di cinquemila specie di mammiferi sul pianeta Terra, ma solo una di loro è pazza. Non vi è che una specie di mammiferi che volutamente avveleni (e pure i suoi figli), iniettando tossine, sostanze chimiche neurolesive nella maggior parte dei membri della specie. Detta specie è, naturalmente, l'Homo Sapiens.
Se ci si guarda intorno per il pianeta, si vedono decine di migliaia di specie di mammiferi, uccelli, rettili e insetti. Cinque cose che tutti questi hanno in comune è:

1) Nessuno di loro mangia alimenti trasformati. Mangiano, non trasformati, alimenti crudi dalla natura.
2) Nessuno di loro prende farmaci.
3) Nessuno di loro inietta la prole con vaccini tossici tenuti insieme con prodotti chimici nascosti.
4) Nessuno di loro pratica l'agricoltura meccanizzata chimica e la monocoltura.
5) Nessuno di loro vive in deliranti mondi artificiali di TV o Internet.

Eppure l'uomo, la specie più folle del pianeta, abitualmente s'impegna in tutte e cinque di queste cose, avvelenando il corpo, la mente e i propri figli con metalli pesanti, pesticidi, mercurio, conservanti, farmaci che alterano la mente, solventi chimici, OGM e deliri di programmazione mentale ...



E quindi non è davvero una sorpresa vedere dove questo ci porta. Oggi la nostra società è dominata da immagini di pervertiti affamati di potere, bugiardi patologici al potere, artisti squilibrati balbettanti idiozie inneggianti a Satana come Lady Gaga, giornalisti semi-comatosi che leggono il telegiornale della sera o il nuovo canale TV che ospita gente che va predicando l'infanticidio chiamandolo "aborto post-natale".

Qual è la causa principale di tutta questa follia? Ė VELENO. Fisico, chimico, biologico.
Gli esseri umani si stanno avvelenando a morte.
Considerate queste verità scioccanti della società moderna:

• Il nostro cibo è volutamente riempito di veleni chimici per farlo sembrare più vivace (nitrito di sodio), o più sapido (MSG-glutammato), o per durare più a lungo sugli scaffali (conservanti vari).

• I nostri farmaci sono riempiti con molecole di fluoro per renderli altamente reattivi per le cellule cerebrali (SSRI).

• I nostri vaccini son formulati con tracce di mercurio e adiuvanti metilici che danneggiano il cervello a provocare una risposta "infiammatoria" nel sistema immunitario che avviene anche per causare autismo, convulsioni e danni cerebrali.

• I nostri prati sono irrorati con veleni sintetici che causano il morbo di Alzheimer e la depressione.

• L' acqua potabile è utilizzata come discarica di rifiuti tossici da smaltire: fluoro e composti chimici che altrimenti avrebbero dovuto essere trattati come rifiuti tossici.

• Alimenti destinati al consumo umano sono intenzionalmente privati della maggior parte dei minerali, vitamine e sostanze nutrienti per promuovere la malattia massima, mentre alimenti destinati al consumo animale son fortificati con minerali, vitamine e sostanze nutrienti per promuovere l'ingrasso ottimale. (Se non ti rendi conto che il tuo cibo è spogliato della nutrizione, chiediti perché zucchero e pane sono entrambi bianchi quando le piante da cui provengono sono verde e marrone ...)

• I media insegnano al pubblico che la nutrizione è inutile, ma che la prescrizione di farmaci sono "nutrienti essenziali" necessari per una vita sana.

• Vi è il piombo nei cosmetici, cadmio nel riso, arsenico nelle alghe, mercurio nei vaccini e alluminio in quasi tutto. La razza umana si sta pesantemente avvelenando con metalli pesanti.

 

 

Queste tossine causano danni al cervello.

L'effetto cumulativo di metalli dà intossicazione, avvelenamento da fluoro, avvelenamento da pesticidi, avvelenamento da vaccini e intossicazione alimentare nel loro insieme sono un danno cerebrale biochimico irreversibile.

Viviamo in una società in cui il 90% o più della popolazione ha letteralmente il cervello irreparabilmente danneggiato. Questo è il motivo per cui l'irrazionalità è andata aumentando ovunque si guardi. Ė per questo che la gente continua a comprare gli stessi veleni che li hanno già avvelenati mentre ingoia farmaci per mascherare i sintomi di avvelenamento, avvelenando così se stessi ancora di più con le medicine.
Ė per questo che il trattamento per il cancro è un coc ktail chimico ("chemioterapia") che provoca, come effetto secondario superiore, più cancro. Ed è per questo che un sottoinsieme in rapida espansione della popolazione è ormai del tutto incapace di leggere, di analizzare le parole, di parlare in frasi coerenti o persino di impegnarsi in qualcosa di simile ad un discorso razionale.

Le conseguenze di questa epidemia di danni al cervello sono sconcertanti. Per cominciare, l'intero sistema della giustizia e della democrazia su cui si fonda la nostra repubblica si suppone riguardi persone sane di mente. Il concetto sacro di una "giuria di vostri coetanei" dipende dai vostri concittadini come sani di mente. L'idea del voto agli uffici pubblici richiede anche elettori sani al fine di raggiungere risultati sani, e il sistema di "libero mercato" del capitalismo e della scelta del consumatore presuppone che i consumatori sappiano prendere decisioni razionali per guidare quel mercato.
Ma non lo fanno. I consumatori hanno il cervello danneggiato, han subìto il lavaggio del cervello, son istupiditi e manipolati. Gli elettori sono illusi e intenzionalmente confusi. Le giurie sono manipolate e male informate. In ogni settore della società, dove un gruppo di persone sane di mente avrebbe dovuto ripristinare l'equilibrio e la ragione, ora abbiamo i pazzi alla guida della società.

Mai prima nella storia del mondo il carico tossico sull'uomo è stato così grande (e tragico). Mai prima d'ora l'abisso tra il sano e il folle fu così ampio (e quindi pericoloso). Viviamo in un'epoca in cui la razionalità è estranea alle masse. Come esempio molto semplice, non importa nulla agli elettori americani che Obama ha violato ogni singola promessa elettorale, compresa l'etichettatura degli OGM, la chiusura di Guantanamo, la riduzione del deficit del bilancio federale, migliorare la trasparenza del governo, offrire a prezzi accessibili l'assistenza sanitaria sociale e la protezione della Costituzione.
Ha gravemente violato ognuna di queste promesse, ma i suoi sostenitori in qualche modo continuano a credere in lui. Tale convinzione è del tutto irrazionale, incomprensibile.
Ma non è più pazzo di coloro che ciecamente appoggiarono l'amministrazione di Bush, o di Clinton, o di qualsiasi altro. Sostenitori ciechi hanno in comune il fatto d'avere il sistema cerebrale danneggiato e quindi non in grado di pensare razionalmente.

 

La situazione è diventata così perversa che chi presenta almeno una traccia di razionalità è immediatamente e pubblicamente disprezzato. Ad esempio, quelli che vedono il crollo economico imminente sono ampiamente ridicolizzati come incompetenti di economia e finanza. Coloro che vedono la rapida costruzione dello Stato di Polizia sono teorici della cospirazione. Coloro che espongono i pericoli degli OGM o la criminalità del settore farmaceutico (come me) sono "anti-scienza" perché non voglion essere ingannati dalle ciarlatanerie della scienza-dogma del settore biotecnologico prostituita a fini di lucro.
Solo le persone con danni cerebrali sono ormai considerate "normali”; quando l'incidenza di danni al cervello attraverso la società è così diffusa che chi presenta un comportamento intelligente viene evitato come un emarginato, la società è già nella sua fase finale del collasso.

Adulti che gestivano la società nel 1950 sono stati nutriti con cibi reali nel 1920 e '30. Quei cibi consistevano, in larga parte, di alimenti freschi del giardino o coltivati localmente. OGM non esisteva. Vaccini tossici erano appena agli inizi. Gli additivi chimici sono stati raramente consumati e prodotti farmaceutici sono stati considerati farmaci da utilizzare esclusivamente su persone malate, e non sull'intera popolazione.

Come risultato, la maggior parte delle persone che vivevano nel 1950 ha cercato di essere sana e intelligente. Molti erano geni di fatto per gli standard odierni. La matematica della scuola elementare nel 1950 seguiva programmi che, oggi, sono nei corsi universitari: l'algebra e la geometria di base, per esempio. A dieci anni i bambini nel 1950 potevano leggere romanzi classici. I ragazzi di oggi riescon a malapena a leggere fumetti.
Ingegneri e scienziati del 1950 sono stati brillanti. Con niente di più che semplici regoli calcolatori, potevano eseguire matematica di alto livello che umilierebbe i professori universitari di oggi. Ma gli scienziati di oggi sono spesso solo executive aziendali vomitanti scienza fraudolenta sui farmaci brevettati o semi OGM.
Alla fine dei '40 e per tutti i '50, Big Food cominciò a sfornare alimenti impoveriti di nutrienti a un ritmo mai visto prima nella storia della civiltà umana. Così i ragazzi del 1960 hanno avuto alimenti impoveriti ma sapidi - le cose avevano il sapore ma mancava un vero nutrimento. Con il 1970, erano tutti a mangiare pane bianco, zucchero e altri non-cibi.

Con gli anni '80, gli americani erano ormai allevati con questi cibi-imitazione, che li rese sciatti e pigri, e nei '90 sono diventati deliranti, ed ecco il boom del .com, che divenne ben presto un'icona. Con l'inizio del 2000, l'America era completamente entrata in modalità "danni cerebrali" che è stata esacerbata con l'arrivo di George W. Bush, il primo presidente USA completamente cerebroleso, che aveva difficoltà nel completare frasi o pensieri: ciò che apparentemente ha fatto di lui un uomo così popolare è il fatto che gli elettori condividevano la stessa disabilità cognitiva.

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I bambini cresciuti nei primi anni del 1990 tra farmaci e cibi spazzatura sono ormai i giovani elettori della società. Sono sostenitori di Obama, e sono pesantemente danneggiati dai metalli, i pesticidi, i vaccini, gli OGM e sostanze chimiche di sintesi. Questa generazione è del tutto incapace di imparare o di afferrare concetti fondamentali di matematica, storia, scienze o anche la lingua. Funzionalmente analfabeti e cognitivamente annullati, sono i nuovi "lavoratori zero-class" su cui si basa l'economia di Obama. Non hanno competenze, son demotivati e senza nessun valore per la società che non sia una semplice abilità di lavoro manuale, che sarà presto sostituita da robot umanoidi.


Eppure in America hanno ancora un voto. Questo è esattamente il motivo per campagne politiche che continueranno ad assecondare la loro ignoranza, sfidando ogni razionalità nella ricerca di sostegno popolare e delega dalle grandi masse del tutto obnubilate.
Han chiamato queste persone elettori "scarsamente informati". Ma è solo vero a metà. Essi non sono soltanto a bassa informazione: sono clinicamente cerebrolesi. Perché si può buttare tutte le informazioni che vuoi su di loro, ma non gli entra niente. I cervelli non possiedono più la neurologia per archiviare, elaborare e recuperare informazioni significative.
In effetti, essi non sono più funzionanti membri di una società civilizzata.

Siamo circondati da masse di cerebrolesi.

Queste persone sono ovunque intorno a te, sedute nel tuo consiglio comunale, prendendo il tuo ordine al ristorante, a girare carte in qualche ufficio, versando cemento per la vostra prossima casa, e persino intente a diagnosticare nella clinica locale. Essi sono la società che vedete intorno a voi, e sono la ragione per cui la società si sta sgretolando.
Sono vittime, naturalmente ... vittime del micidiale dogma "scientifico" di sostanze chimiche, OGM, farmaci da presa in giro e vaccini tossici. Il danno, tuttavia, è ormai così diffuso e così completo che la società non potrà mai recuperare. Da qui, è tutto in discesa, con le masse lobotomizzate la società tocca il fondo e ne conseguirà una moria di massa .

 

Un giorno, la razionalità e l'intelligenza saranno ancora una volta valutate come facoltà da ammirare e incoraggiare nella nostra gioventù. Quando quel giorno arriverà, sarete testimoni della rinascita di una civiltà che risorge dalle ceneri della nostra odierna società decerebrata. Gli storici definiranno l'Era 2000 - 2020 come la più bizzarra nella storia umana, dove una neurologia difettata ha portato alla società difettata ... e in ultima analisi al collasso globale che ha causato la moria di massa.
La lezione in tutto questo? Quando il cibo non è più nutriente, ma un vettore di veleno, la società non può sopravvivere.

Se si vuole risolvere il male della società, è necessario correggere il cibo prima.
www.disinformazione.it

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Naturopatia per quattro italiani su dieci ma occhio ai ciarlatani

La persona intesa come una entità globale (corpo, mente ed emozioni) e l’obiettivo di stimolare la forza vitale grazie alla spontanea capacità di autoregolazione dell’organismo. Senza l’uso di farmaci, ma con l’aiuto di integratori naturali e una dieta “ad hoc”. È la filosofia della naturopatia: «In Italia si stima che almeno quattro persone su dieci abbiano usato nella loro vita rimedi naturopatici, bastano i diffusi fiori di Bach. Mentre molte di meno si rivolgono costantemente a un naturopata per i loro disturbi», spiega Salvo Di Grazia, medico e divulgatore scientifico anti-bufale con il blog “MedBunker”.

«La figura del naturopata in Italia, non avendo nessuna regolamentazione, è purtroppo generica e favorisce il fiorire di veri e propri ciarlatani, la maggioranza – aggiunge Di Grazia – accanto a quelli, pochissimi, che si inseriscono in un ottica di “aiuto” non medico e non farmacologico a persone con problemi vari di salute».

Le storie di ciarlatani che vendono cure miracolose finiscono con cadenza regolare sui quotidiani con titoli che illustrano perfettamente il “corto circuito” generato dalla mancanza di regole sulla naturopatia: “Curava il cancro con fiori e sciroppi, naturopa se la cava con tre mesi” o “Depressioni e pazienti schizofrenici curati con i fiori” solo per citare i casi più recenti.

L’unica nazione europea che ha regolamentato questo campo è la Germania «dove esiste la figura dell’“Heilpraktiker”, una persona (non per forza un medico) – osserva Di Grazia, autore del libro “Salute e bugie, come difendersi da farmaci inutili, cure fasulle e ciarlatani” (Chiarelettere) - che offre trattamenti di supporto alla medicina».

Negli altri Stati, Italia compresa, «chiunque può definirsi naturopata e offrire trattamenti che non hanno nessuna base scientifica. Alcuni di questi, come l’iridologia (diagnosi delle malattie dallo studio dell’iride, la parte colorata dell’occhio), la cromoterapia (cura delle malattie tramite i colori), l’aromaterapia (cura tramite gli aromi), i fiori di Bach (cura con gocce omeopatiche derivate da piante) e altre, sono più comuni e quindi si trovano corsi (privati, senza nessun riconoscimento scientifico né accademico) che rilasciano diplomi senza valore», prosegue.

Ma come risponde a queste accuse chi la naturopatia la pratica, la insegna in corsi di formazione e cerca di difenderla dalle truffe? «Il profilo del naturopata non è inquadrato all’interno delle professioni sanitarie e non ha un albo – risponde Rudy Lanza, presidente della Federazione nazionale naturopati professionisti – Quindi è difficile fare una stima di quanti praticano la naturopatia, possiamo forse azzardare e dire che sono circa diecimila operatori. Ma come spesso accade, c’è chi abusa di questa disciplina e offre cose che non c’entrano nulla come guarigioni impossibili o cure miracolose».

La Federazione nazionale naturopati professionisti non è l’unica federazione che opera in Italia. Ce ne sono diverse, come sono tante le scuole private che offrono corsi a pagamento. Una giungla che non aiuta chi vorrebbe avvicinarsi alla naturopatia con la garanzia di non finire nelle mani sbagliate. «La naturopatia non esiste», è il severo giudizio di Guido Morina, presidente dell’Università popolare di scienze della Salute, psicologiche e sociali, che propone diplomi triennali anche in naturopatia.

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«Offriamo un corso per diventare consulente del benessere – spiega – che offre conoscenze e competenze di base in materia di counseling psicobiologico e naturopatia scientifica di alto livello. Poi ci sono alcune migliaia di scuole che lavorano sul filo del rasoio, con pratiche di fantasia e medicine etniche. Diplomifici con nessun valore dove magari si insegna al ragazzo a parlare con gli angeli».

«Molte persone pensano che il naturopata abbia una base di studi o dei riferimenti medici, altri ancora pensano che ci siano effetti dimostrati, in realtà si tratta di semplici mezzi di guadagno senza – precisa Di Grazia – Il problema sorge quando queste persone si prendono la responsabilità di curare malattie consigliando di non rivolgersi ai medici o compiono atti medici per i quali sono previsti i titoli adeguati. La naturopatia non è da confondere con la fitoterapia (pratica medica che si basa sull’uso di piante e vegetali), che può essere praticata solo da medici e che ha buone basi scientifiche».

Non ci sono dati che certificano il giro d’affari della naturopatia. Negli Usa è facile imbattersi in vere star mediatiche in questo campo, che sfornano libri, dvd e conferenze. «Negli altri Stati non è facile capire il giro d’affari collegato e molto è il “nero” – suggerisce Di Grazia – non avendo nessuna regolamentazione sono tanti quelli che si improvvisano terapeuti».

All’orizzonte non sembra esserci nessun intervento legislativo per mettere ordine in questa giungla e anche chi si improvvisa guaritore non corre grossi rischi. «Dal punto di vista legale il naturopata rischia poco, in genere usano trattamenti completamente inefficaci

e quindi non danneggiano direttamente un paziente – conclude – Se un medico sbaglia viene denunciato, se un naturopata prescrive l’aglio durante le cure normali, non sta facendo nulla di pericoloso. E se venisse denunciato da un paziente deluso al massimo si configurerebbe un reato di truffa».

http://iltirreno.gelocal.it/italia-mondo/2015/11/29/news/naturopatia-per-quattro-italiania-su-dieci-ma-occhio-ai-ciarlatani-1.12531275

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Alzheimer e Alluminio : importante correlazione

 

NUOVI STUDI SULLA CORRELAZIONE TRA ALLUMINIO E ALZHEIMER

https://www.futsci.com/project/the-aluminium-alzheimer-s-disease-hypothesis-what-is-the-role-of-aluminium-in-alzheimers-disease

 

 

Quella che segue è la traduzione dello studio pubblicato nel National Center for Biotechnology Information che promuove la scienza e la salute fornendo accesso a informazioni biomediche e genomiche.

Alluminio e morbo di Alzheimer: dopo un secolo di polemiche, c’è un legame plausibile?

Dr. Tomljenovic L., Neural Dynamics Research Group, Department of Ophthalmology and Visual Sciences, University of British Columbia, Vancouver, BC, Canada. lucijat77@gmail.com

Il cervello è un organo altamente compartimentalizzato eccezionalmente suscettibile di accumulo di errori metabolici. Il morbo di Alzheimer è la malattia neurodegenerativa più diffusa degli anziani ed è caratterizzata da specificità regionale delle aberrazioni neurali associate con le funzioni cognitive superiori.

L’alluminio è il più abbondante metallo neurotossico sulla terra, ampiamente biodisponibile per gli esseri umani e più volte dimostrato di accumularsi nei punti focali neuronali soggetti al morbo di Alzheimer.

Nonostante questo, il ruolo dell’alluminio nel morbo di Alzheimer è stato fortemente disputato sulla base delle seguenti rivendicazioni:

1) L’alluminio biodisponibile non può entrare nel cervello in quantità sufficiente per causare danni,

2) L’alluminio in eccesso viene efficacemente eliminato dal corpo, e

3) L’accumulo di alluminio nei neuroni è una conseguenza più che una causa della perdita neuronale.

La ricerca, tuttavia, rivela che:

1) Piccole quantità di alluminio sono necessarie per produrre neurotossicità e questo criterio è soddisfatto attraverso l’assunzione di alluminio presente nella dieta quotidiana,

2) L’alluminio sfrutta diversi meccanismi di trasporto per attraversare attivamente le barriere cerebrali,

3) L’assunzione ripetuta di piccole quantità di alluminio corso della vita favorisce l’accumulo selettivo nei tessuti cerebrali, e

4) Dal 1911, l’evidenza sperimentale ha più volte dimostrato che l’intossicazione cronica da alluminio riproduce le caratteristiche neuropatologiche del morbo di Alzheimer. Fraintendimenti riguardo biodisponibilità dell’alluminio può aver fuorviato gli scienziati riguardo il ruolo dell’alluminio nella patogenesi del morbo di Alzheimer.

L’ipotesi che l’alluminio contribuisce in modo significativo al morbo di Alzheimer si basa su un’evidenza sperimentale molto solida e non deve essere respinta. Misure immediate devono essere prese per ridurre l’esposizione umana all’allumino, che può essere il fattore più aggravante ed evitabile del morbo di Alzheimer.

Testo originale della ricerca: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21157018

Traduzione di Dioni per Dionidream.com

AlluminioUna prova, anzi una conferma che il fenomeno è molto più grave di quello che si pensi viene dallo studio condotto dal Substance AbuseMental Health Services Administration che ha dimostrato che 50 milioni di cittadini americani hanno sofferto di problemi mentali nel 2010. Una cifra sconvolgente.

Ci vogliono decenni affinché il deterioramento del cervello e la demenza causino danni gravi e visibili. Alla fine, comunque, la demenza è fatale. “Alzheimer” è ora usato in modo errato come termine raggruppa-tutto per tutti i tipi di demenza. Nel 2010 la prima pagina del New York Times titolava:”Maggiore Demenza in giro per casa, in cui viene affermato che circa la metà delle persone oltre 85 anni ne sono affette.

Effetti:

Causa anoressia, atassia, coliche, demenza, dispnea, esofagiti, gastroenteriti, epatopatie, nefriti, mialgie, psicosi e stanchezza.

Provoca soprattutto danni a livello cerebrale interferendo anche con alcuni neurotrasmettitori: si può avere cefalea e disturbi della memoria ed è una causa del morbo di Alzheimer.

Il sintomo principale di avvelenamento da alluminio, è la perdita della funzione intellettuale, smemoratezza, mancanza di concentrazione, e in casi estremi, la demenza conclamata. È anche noto per provocare rammollimento osseo e perdita di massa ossea, danneggiamento del rene e altri danni ai tessuti molli, in dosi elevate può causare arresto cardiaco.

Principali fonti di inquinamento:

L’alluminio, largamente utilizzato come materiale per gli utensili da cucina (caffettiere, teglie), confezionamento dei cibi, dalla raschiatura delle pentole, dalle fabbricazione di lattine e altri contenitori a base di alluminio, e tramite anche i farmaci antiacidi di uso comune. L’effetto principale di una quantità eccessiva di alluminio nei tessuti biologici è la comparsa di disturbi neurologici, che nei casi più gravi degenerano nel morbo di Alzheimer, questo perché l’alluminio si deposita prevalentemente nel cervello.

Si trova anche nell’acqua potabile; prodotti farmaceutici come il Maalox e gli antiacidi; cosmetici; lattine contenenti bibite e cibi; cibi cotti in tegami in alluminio; caffè preparato in caffettiere di alluminio; foglio di alluminio per la conservazione e cottura dei cibi; aspirina tamponata.

Questi sono solo alcuni degli additivi contenenti alluminio usati nei prodotti alimentari:

E173, E520, E521, E523 E541, E544, E545, E546, E554, E555 E556, E559.

L’alluminio è stato aggiunto ai vaccini circa negli anni 90 nella convinzione che possa spronare l’organismo a produrre anticorpi per combattere le malattie. Ma l’alluminio è tossico, e molti comuni vaccini [antipneumococcico, esavalente, antitetanica e antiHPV] contengono dosi elevate.

Queste megadosi possono avere un effetto devastante sul cervello, dice un esperto sanitario Dr. Russell Blaylock [neurochirurgo, autore e docente universitario],causando danni al cervello nei bambini e l’insorgenza del Morbo di Alzheimer negli adulti.

Inoltre il Dr. Blaylock afferma:

“L’alluminio è tossico. Un’avvincente ricerca ha dimostrato che l’alluminio è una neurotossina cumulativa, anche in piccole concentrazioni. Esso ha la tendenza a concentrarsi nell’ippocampo, una zona del cervello vitale per funzioni cruciali, tra cui apprendimento, memoria e comportamento.

Recenti ricerche hanno dimostrato che l’alluminio nei vaccini sta producendo gravi problemi nel cervello dei bambini in via di sviluppo. [...] Le prove sono schiaccianti, ma molti medici e funzionari le ignorano. Essi rifiutano di guardare le prove perché sono spaventati dalla potenza delle evidenze”.

Fonte: dionidream.com

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Ultimi 80 articoli

dormire troppo accorcia la vita ... così come dormire poco !

 

dormire troppo accorcia la vita esattamente come chi dorme troppo poco!

Studio scientifico: Ecco quanto bisognerebbe dormire per vivere a lungo

 

 

Ricerche scientifiche hanno dimostrato che le popolazioni che vivono ancora a contatto con la natura come i nostri antenati di non tanti anni fa dormono solo 6 ore a notte, non fanno pisolini durante la giornata,

 

 

 

ed hanno molta più energia e salute. Infatti queste popolazioni che vivono fuori dalla società hanno un ritmo di vita completamente diverso dal nostro. Il sonno è più profondo e quindi di qualità, per questo bastano 6 ore per sentirsi ricaricati, mentre noi dormiamo anche 9 ore e ci alziamo stanchi.

 

 

 

 

 

 

 

STUDIO SULLE POPOLAZIONI PREINDUSTRIALI MOSTRA IL RITMO NATURALE

 

 

 

 

 

 

 

Una ricerca sulle tribù preindustriali che vivono in località remote, ha studiato il comportamento di tre diverse popolazioni sparse per il pianeta: gli Hazda della Tanzania, i San della Namibia e gli Tsimane della Bolivia. E i risultati sono stati così simili che mostrano chiaramente com’è la naturale fisiologia del corpo.

 

 

 

 

 

 

 

I ricercatori hanno monitorato il loro comportamento per circa 1.165 giorni. Queste popolazioni hanno dovuto indossare alcuni dispositivi, grazie ai quali i ricercatori hanno potuto registrare i loro movimenti, l’umidità, le temperature e i vasi sanguigni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I dati hanno rivelato che dormono circa 6,5 ore per notte. Si addormentano, infatti, 3 ore dopo il tramonto e si svegliano poco prima dell’alba, dormendo più a lungo in inverno rispetto all’estate.

 

 

 

 

 

 

 

Non fanno quasi mai un pisolino durante il giorno e non sanno che cosa sia l’insonnia, al punto che nelle loro lingue non esiste una parola per definirla.

 

 

 

 

 

 

 

NON E’ UNA QUESTIONE DI LETTI COMODI

 

 

 

 

 

 

 

Dallo studio, pubblicato su Current Biology, risulta che godono tutti di ottima salute nonostante passino la notte all’aria aperta o in modeste capanne. L’ipertensione è quasi inesistente e sono fisicamente in forma.

 

 

 

 

 

 

 

La Cnn, parlando dello studio, ha riportato che per contro, negli Stati Uniti, nonostante letti ortopedici e calde lenzuola, il 48% della popolazione dichiara di soffrire occasionalmente di insonnia, mentre il 22% dice di patirne ogni notte. La difficoltà a dormire non è solo fastidiosa, ricordano gli esperti, ma è rischiosa perché legata a problemi di salute come obesità, diabete, depressione e malattie cardiovascolari.

 

 

 

 

 

 

 

STUDIO DIMOSTRA CHE SI DOVREBBE DORMIRE DALLE 5 ALLE 6 ORE E MEZZA

 

 

 

 

 

 

 

Uno studio, pubblicato sul giornale Sleep Medicine e condotto dall’University of California di San Diego è durato per ben 14 anni ed ha monitorato il sonno di 450 volontari, tra i 50 e gli 81 anni.

 

 

 

 

 

 

 

La conclusione è stata inattesa: dormire troppo accorcia la vita esattamente come chi dorme troppo poco! Quindi non solo gli insonni ma anche i dormiglioni dovrebbero cominciare a regolare i loro ritmi di sonno/veglia.

 

 

 

Infatti, nel corso dello studio, 86 donne sono decedute proprio tra quelle che dormivano meno di 5 ore o più di 6 e mezza.

 

 

 

 

 

 

 

Infatti più si dorme e più si fa fatica a emergere dallo stato di torpore tanto che gli effetti, la cosiddetta inerzia del dormire, vengono paragonati dagli studiosi a quelli di una sbronza. Dopo tante ore di sonno, l’attività cerebrale è rallentata anche per ore.

 

 

 

 

 

 

 

LA SPIEGAZIONE RIGUARDA LO STILE DI VITA

 

 

 

Il cibo povero di nutrienti come quello confezionato sono calorie vuote, ovvero sazia ma non da nessuna sostanza utile all’organismo;

 

 

 

L’attività fisica è costante dato che è necessaria per l’approvvigionamento delle risorse e gli spostamenti. Questo stimola la produzione di serotonina necessaria alla melatonina, l’ormone del sonno;

 

 

 

Gli alimenti raffinati come zucchero, sale, farine trattate e cibi confezionati non esistevano: la dieta era costituita solo da cibi nutrienti e freschi;

 

 

 

La carenza di minerali fondamentali come il magnesio è responsabile dell’insonnia;

 

 

 

La carenza di amminoacidi fondamentali come glutammina, ornitina e arginina impedisce un sonno ristoratore;

 

 

 

Stare tanto tempo in ambienti con illuminazioni artificiali, monitor e smart ph one riduce la produzione della melatonina e quindi non si riesce a prendere sonno;

 

 

 

Stare poco tempo all’aria aperta e alla luce del sole impedisce la conversione del triptofano in serotonina e quindi non ci sarà abbastanza melatonina per far partire il sonno.

 

 

 

Bastano 15 minuti al sole ogni giorno;

 

 

 

Il sole favorisce inoltre la sintesi della Vitamina D che favorisce il rilassamento del corpo e della mente;

 

 

 

Lo stress dovuto ai traumi infantili e allo stile di vita accelerato emerge appena cerchiamo di rilassarci impedendoci di prendere sonno o rendendo il sonno disturbato e di poca qualità.

 

 

 

La meditazione, assumere Fiori di Bach e fare delle terapie che lavorano su di sé è un ottimo modo per risolvere;

 

 

 

Andare a dormire tardi, dopo l’una di notte, non genera un sonno riposante in quanto la produzione di melatonina si blocca e quindi sarà un sonno non profondo.

 

 

 

 

 

 

 

Recupera il tuo sonno, il tuo tempo e la tua salute.

 

 

 

 

 

 

 

http://www.dionidream.com/antenati-dormivano-6-ore-stavano-meglio/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

dormire troppo accorcia la vita esattamente come chi dorme troppo poco!

 

 

 

Studio scientifico: Ecco quanto bisognerebbe dormire per vivere a lungo

 

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Ricerche scientifiche hanno dimostrato che le popolazioni che vivono ancora a contatto con la natura come i nostri antenati di non tanti anni fa dormono solo 6 ore a notte, non fanno pisolini durante la giornata,

 

ed hanno molta più energia e salute. Infatti queste popolazioni che vivono fuori dalla società hanno un ritmo di vita completamente diverso dal nostro. Il sonno è più profondo e quindi di qualità, per questo bastano 6 ore per sentirsi ricaricati, mentre noi dormiamo anche 9 ore e ci alziamo stanchi.

 

 

 

STUDIO SULLE POPOLAZIONI PREINDUSTRIALI MOSTRA IL RITMO NATURALE

 

 

 

Una ricerca sulle tribù preindustriali che vivono in località remote, ha studiato il comportamento di tre diverse popolazioni sparse per il pianeta: gli Hazda della Tanzania, i San della Namibia e gli Tsimane della Bolivia. E i risultati sono stati così simili che mostrano chiaramente com’è la naturale fisiologia del corpo.

 

 

 

I ricercatori hanno monitorato il loro comportamento per circa 1.165 giorni. Queste popolazioni hanno dovuto indossare alcuni dispositivi, grazie ai quali i ricercatori hanno potuto registrare i loro movimenti, l’umidità, le temperature e i vasi sanguigni.

 

 

 

 

 

I dati hanno rivelato che dormono circa 6,5 ore per notte. Si addormentano, infatti, 3 ore dopo il tramonto e si svegliano poco prima dell’alba, dormendo più a lungo in inverno rispetto all’estate.

 

 

 

Non fanno quasi mai un pisolino durante il giorno e non sanno che cosa sia l’insonnia, al punto che nelle loro lingue non esiste una parola per definirla.

 

 

 

NON E’ UNA QUESTIONE DI LETTI COMODI

 

 

 

Dallo studio, pubblicato su Current Biology, risulta che godono tutti di ottima salute nonostante passino la notte all’aria aperta o in modeste capanne. L’ipertensione è quasi inesistente e sono fisicamente in forma.

 

 

 

La Cnn, parlando dello studio, ha riportato che per contro, negli Stati Uniti, nonostante letti ortopedici e calde lenzuola, il 48% della popolazione dichiara di soffrire occasionalmente di insonnia, mentre il 22% dice di patirne ogni notte. La difficoltà a dormire non è solo fastidiosa, ricordano gli esperti, ma è rischiosa perché legata a problemi di salute come obesità, diabete, depressione e malattie cardiovascolari.

 

 

 

STUDIO DIMOSTRA CHE SI DOVREBBE DORMIRE DALLE 5 ALLE 6 ORE E MEZZA

 

 

 

Uno studio, pubblicato sul giornale Sleep Medicine e condotto dall’University of California di San Diego è durato per ben 14 anni ed ha monitorato il sonno di 450 volontari, tra i 50 e gli 81 anni.

 

 

 

La conclusione è stata inattesa: dormire troppo accorcia la vita esattamente come chi dorme troppo poco! Quindi non solo gli insonni ma anche i dormiglioni dovrebbero cominciare a regolare i loro ritmi di sonno/veglia.

 

 

 

Infatti, nel corso dello studio, 86 donne sono decedute proprio tra quelle che dormivano meno di 5 ore o più di 6 e mezza.

 

 

 

Infatti più si dorme e più si fa fatica a emergere dallo stato di torpore tanto che gli effetti, la cosiddetta inerzia del dormire, vengono paragonati dagli studiosi a quelli di una sbronza. Dopo tante ore di sonno, l’attività cerebrale è rallentata anche per ore.

 

 

 

LA SPIEGAZIONE RIGUARDA LO STILE DI VITA

 

Il cibo povero di nutrienti come quello confezionato sono calorie vuote, ovvero sazia ma non da nessuna sostanza utile all’organismo;

 

L’attività fisica è costante dato che è necessaria per l’approvvigionamento delle risorse e gli spostamenti. Questo stimola la produzione di serotonina necessaria alla melatonina, l’ormone del sonno;

 

Gli alimenti raffinati come zucchero, sale, farine trattate e cibi confezionati non esistevano: la dieta era costituita solo da cibi nutrienti e freschi;

 

La carenza di minerali fondamentali come il magnesio è responsabile dell’insonnia;

 

La carenza di amminoacidi fondamentali come glutammina, ornitina e arginina impedisce un sonno ristoratore;

 

Stare tanto tempo in ambienti con illuminazioni artificiali, monitor e smartphone riduce la produzione della melatonina e quindi non si riesce a prendere sonno;

 

Stare poco tempo all’aria aperta e alla luce del sole impedisce la conversione del triptofano in serotonina e quindi non ci sarà abbastanza melatonina per far partire il sonno.

 

 

 

Bastano 15 minuti al sole ogni giorno;

 

Il sole favorisce inoltre la sintesi della Vitamina D che favorisce il rilassamento del corpo e della mente;

 

Lo stress dovuto ai traumi infantili e allo stile di vita accelerato emerge appena cerchiamo di rilassarci impedendoci di prendere sonno o rendendo il sonno disturbato e di poca qualità.

 

 

 

La meditazione, assumere Fiori di Bach e fare delle terapie che lavorano su di sé è un ottimo modo per risolvere;

 

Andare a dormire tardi, dopo l’una di notte, non genera un sonno riposante in quanto la produzione di melatonina si blocca e quindi sarà un sonno non profondo.

 

 

 

Recupera il tuo sonno, il tuo tempo e la tua salute.

 

 

 

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dormire troppo accorcia la vita esattamente come chi dorme troppo poco!

 

 

 

Studio scientifico: Ecco quanto bisognerebbe dormire per vivere a lungo

 

 

 

 

 

 

 

Ricerche scientifiche hanno dimostrato che le popolazioni che vivono ancora a contatto con la natura come i nostri antenati di non tanti anni fa dormono solo 6 ore a notte, non fanno pisolini durante la giornata,

 

 

 

ed hanno molta più energia e salute. Infatti queste popolazioni che vivono fuori dalla società hanno un ritmo di vita completamente diverso dal nostro. Il sonno è più profondo e quindi di qualità, per questo bastano 6 ore per sentirsi ricaricati, mentre noi dormiamo anche 9 ore e ci alziamo stanchi.

 

 

 

 

 

 

 

STUDIO SULLE POPOLAZIONI PREINDUSTRIALI MOSTRA IL RITMO NATURALE

 

 

 

 

 

 

 

Una ricerca sulle tribù preindustriali che vivono in località remote, ha studiato il comportamento di tre diverse popolazioni sparse per il pianeta: gli Hazda della Tanzania, i San della Namibia e gli Tsimane della Bolivia. E i risultati sono stati così simili che mostrano chiaramente com’è la naturale fisiologia del corpo.

 

 

 

 

 

 

 

I ricercatori hanno monitorato il loro comportamento per circa 1.165 giorni. Queste popolazioni hanno dovuto indossare alcuni dispositivi, grazie ai quali i ricercatori hanno potuto registrare i loro movimenti, l’umidità, le temperature e i vasi sanguigni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I dati hanno rivelato che dormono circa 6,5 ore per notte. Si addormentano, infatti, 3 ore dopo il tramonto e si svegliano poco prima dell’alba, dormendo più a lungo in inverno rispetto all’estate.

 

 

 

 

 

 

 

Non fanno quasi mai un pisolino durante il giorno e non sanno che cosa sia l’insonnia, al punto che nelle loro lingue non esiste una parola per definirla.

 

 

 

 

 

 

 

NON E’ UNA QUESTIONE DI LETTI COMODI

 

 

 

 

 

 

 

Dallo studio, pubblicato su Current Biology, risulta che godono tutti di ottima salute nonostante passino la notte all’aria aperta o in modeste capanne. L’ipertensione è quasi inesistente e sono fisicamente in forma.

 

 

 

 

 

 

 

La Cnn, parlando dello studio, ha riportato che per contro, negli Stati Uniti, nonostante letti ortopedici e calde lenzuola, il 48% della popolazione dichiara di soffrire occasionalmente di insonnia, mentre il 22% dice di patirne ogni notte. La difficoltà a dormire non è solo fastidiosa, ricordano gli esperti, ma è rischiosa perché legata a problemi di salute come obesità, diabete, depressione e malattie cardiovascolari.

 

 

 

 

 

 

 

STUDIO DIMOSTRA CHE SI DOVREBBE DORMIRE DALLE 5 ALLE 6 ORE E MEZZA

 

 

 

 

 

 

 

Uno studio, pubblicato sul giornale Sleep Medicine e condotto dall’University of California di San Diego è durato per ben 14 anni ed ha monitorato il sonno di 450 volontari, tra i 50 e gli 81 anni.

 

 

 

 

 

 

 

La conclusione è stata inattesa: dormire troppo accorcia la vita esattamente come chi dorme troppo poco! Quindi non solo gli insonni ma anche i dormiglioni dovrebbero cominciare a regolare i loro ritmi di sonno/veglia.

 

 

 

Infatti, nel corso dello studio, 86 donne sono decedute proprio tra quelle che dormivano meno di 5 ore o più di 6 e mezza.

 

 

 

 

 

 

 

Infatti più si dorme e più si fa fatica a emergere dallo stato di torpore tanto che gli effetti, la cosiddetta inerzia del dormire, vengono paragonati dagli studiosi a quelli di una sbronza. Dopo tante ore di sonno, l’attività cerebrale è rallentata anche per ore.

 

 

 

 

 

 

 

LA SPIEGAZIONE RIGUARDA LO STILE DI VITA

 

 

 

Il cibo povero di nutrienti come quello confezionato sono calorie vuote, ovvero sazia ma non da nessuna sostanza utile all’organismo;

 

 

 

L’attività fisica è costante dato che è necessaria per l’approvvigionamento delle risorse e gli spostamenti. Questo stimola la produzione di serotonina necessaria alla melatonina, l’ormone del sonno;

 

 

 

Gli alimenti raffinati come zucchero, sale, farine trattate e cibi confezionati non esistevano: la dieta era costituita solo da cibi nutrienti e freschi;

 

 

 

La carenza di minerali fondamentali come il magnesio è responsabile dell’insonnia;

 

 

 

La carenza di amminoacidi fondamentali come glutammina, ornitina e arginina impedisce un sonno ristoratore;

 

 

 

Stare tanto tempo in ambienti con illuminazioni artificiali, monitor e smartphone riduce la produzione della melatonina e quindi non si riesce a prendere sonno;

 

 

 

Stare poco tempo all’aria aperta e alla luce del sole impedisce la conversione del triptofano in serotonina e quindi non ci sarà abbastanza melatonina per far partire il sonno.

 

 

 

Bastano 15 minuti al sole ogni giorno;

 

 

 

Il sole favorisce inoltre la sintesi della Vitamina D che favorisce il rilassamento del corpo e della mente;

 

 

 

Lo stress dovuto ai traumi infantili e allo stile di vita accelerato emerge appena cerchiamo di rilassarci impedendoci di prendere sonno o rendendo il sonno disturbato e di poca qualità.

 

 

 

La meditazione, assumere Fiori di Bach e fare delle terapie che lavorano su di sé è un ottimo modo per risolvere;

 

 

 

Andare a dormire tardi, dopo l’una di notte, non genera un sonno riposante in quanto la produzione di melatonina si blocca e quindi sarà un sonno non profondo.

 

 

 

 

 

 

 

Recupera il tuo sonno, il tuo tempo e la tua salute.

 

 

 

 

 

 

 

http://www.dionidream.com/antenati-dormivano-6-ore-stavano-meglio/

 

 

 

 

 

 

 

 

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