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Categoria: "Scoperte"

I NUOVI BAMBINI DELLE STELLE O SEMI STELLARI (STARSEED)

BAMBINI INDACO, CRISTALLO, ARCOBALENO,

 E I NUOVI BAMBINI DELLE STELLE O SEMI STELLARI (STARSEED) 

Una delle informazioni nell'ambito New Age che vanno più di moda è senza dubbio quella dei bambini speciali. Con ciò intendiamo i vari bambini indaco, i bambini cristallo e così via....ora si parla di un sacco di "tipologie" di bambini speciali. E per tal motivo, è forse utile mettere un po' di ordine e chiarire e definire tali tipologie.

E' importante innanzitutto far sì che l' "unicità" di tali bambini non crei separazione e non escluda in qualche modo tutti gli altri. Pur essendo certo che consciamente tutti siamo d'accordo sul non mettere eccessivamente sul piedistallo questi bambini, penso che inconsciamente le cose siano più complesse. E spesso ci sono forme-pensiero e pensieri inconsci distorti di separazione, esaltazione, distorsione emotiva, traumi infantili, problemi relazionali ecc. che stanno dietro all'esaltazione mediatica di questi bambini.
Solo in tal senso i bambini indaco ed i bambini cristallo si possono considerare nostri maestri: essi, è necessario sottolinearlo, non sono infatti assolutamente superiori agli altri spiritualmente! Per capire ciò, è bene spiegare la natura di questi bambini.

La percezione dei bambini indaco è una percezione dell'eterico da parte di sensitivi, dove si è notato esservi bambini con caratteristiche eteriche peculiari. E' dall'eterico cioè che si è scoperto tale fenomeno. I bambini cristallo hanno invece caratteristiche fisiche peculiari. In altre parole, nel primo caso la caratteristica è una connessione energetica, nel secondo una attivazione genetica. Vediamo meglio tali due tipologie.

Innanzitutto, se è vero che esistono macchinari che possono vedere in parte le connessioni energetiche eteriche (ad es. macchina Kirlian che percepisce l'aura eterica, intesa come insieme di connessioni energetiche, più vicina al corpo fisico) non esistono invece tecnologie, al giorno d'oggi (e per fortuna), per misurare l'attivazione del dna: tale attivazione è infatti nel dna spirituale del Corpo di Luce, attivazione che aumenta man mano che lo Spirito (attraverso il Corpo di Luce) entra nella forma umana durante la propria personale ascensione. Ciò che le tecnologie moderne vedono è invece la sola attività fisica delle basi azotate del dna, e non la loro reale attività spirituale. Attività, quest'ultima, che si esplica in una attività interna alla singola base azotata, e non in un suo scambio informativo esternamente visibile dalle macchine ed inteso come attività fisica. Le informazioni del Corpo di Luce, infatti, vengono trasmesse a livello olografico da una base azotata all'altra (e più ancora in profondità, da ogni singolo quark ad un altro) senza il bisogno di un passaggio di informazioni fisicamente visibile da una particella all'altra.

La caratteristica dei bambini indaco è quella di avere nell'eterico una connessione speciale con razze extraterrestri. La loro natura (a differenza dei bambini cristallo, come si vedrà) non è connessa ad una maggiore attivazione genetica alla nascita, bensì ad una particolare connessione con extraterrestri alla nascita. Nessuna persona fisica terrestre è di per sè un extraterrestre, nemmeno a livello eterico in quanto se nato fisicamente qui per forza, per le leggi della manifestazione, deve essere nato qui anche nell'eterico (la realtà passa dall'eterico al fisico, e ciò che è fisico è per forza stato anche eterico in precedenza). Questa connessione è sempre karmica: attaccamenti eterici con persone eteriche et (presenti su quel dato piano eterico) e così forti da far percepire talvolta alla persona fisica di essere essa stessa extraterrestre. La definizione "indaco" è sensata, dato che la maggior parte di tali bambini presenti in occidente sono connessi etericamente ai siriani (popolo il cui colore dominante nell'aura eterica è il blu). In oriente, invece, la maggior parte di tali bambini speciali sono connessi etericamente ai pleiadiani (popolo il cui colore dominante etericamente è il violetto).

La caratteristica dei bambini cristallo (o bambini della Nuova Era), invece, è quella di avere una genetica alla nascita superiore alla norma. Ora, sebbene sia vero che tale attivazione riguarda prima di tutto il dna spirituale (cioè del Corpo di Luce), ciò non significa dire che tali bambini siano spiritualmente più evoluti degli altri! Assolutamente no.

Tale attivazione genetica riguarda la sola possibilità che si dà allo Spirito di discendere nella forma: maggiore è l'attivazione del dna, e maggiore è la "quantità" di Spirito che può discendere nella forma. Ma tale "quantità" discesa è solo una piccolissima frazione della grandezza di un'Anima (Spirito individualizzato), la cui reale grandezza si può notare solo una volta che tutta tale Anima è discesa nella forma (ossia quando si completa lo sviluppo del Corpo di Luce, livello 3 miliardi).

Ciò significa, in altre parole, che vi possono essere persone la cui Anima è molto più evoluta di quella dei bambini cristallo ma che, per questioni karmiche e limiti della forma, non è stata (ancora, si spera) incorporata nella realtà fisica nella stessa percentuale. L'evoluzione spirituale è dello Spirito, e non della forma fisica. Sebbene sia vero che la vera novità di questa Nuova Era è che esiste la possibilità di incorporare l'Anima, attraverso la nuova energia (magnetica), in modo completo nel proprio corpo e poterne manifestare fisicamente le qualità, rendendo altresì il proprio corpo fisico sempre più forte, sano e, si spera, immortale.

Si parla anche di altre "tipologie" di bambini speciali, ma in realtà non ne esistono altre se non come ulteriori specificazioni delle due qui analizzate. Una tipologia di cui si parla di recente, ad esempio, è quella dei bambini arcobaleno: essi altro non sono che una specificazione dei bambini cristallo, in particolare si tratta di bambini nati con una vibrazione di 6000 o superiore.

E' importante sottolineare anche che tali bambini non hanno alcun potere speciale a livello fisico, mentre a livello eterico possono mostrare di certo una maggior sensitività ed un maggior senso di potere. A livello spirituale, senza dubbio mostrano una coscienza fisica più espansa, dovuta appunto alla maggior attivazione genetica. I bambini indaco esistono sin dai primi anni cinquanta, mentre i bambini cristallo solo dal 2000 (i bambini arcobaleno, in particolare, solo dal 2004).

 Gli indaco sono venuti per gettare i semi per la nuova umanità, cioè per aiutarci ad evolvere, rappresentano un’evoluzione e una speranza per il futuro. Poiché come si sostiene da molto tempo, stiamo per entrare nella quarta dimensione, abbiamo bisogno di evolverci rapidamente a livello spirituale e genetico e lo scopo degli indaco è proprio quello di aiutarci.

Il loro obiettivo è stato anche quello di aprire le porte ai bambini cristallo. E’ bene però tener sempre presente che un bambino indaco (o cristallo o arcobaleno)  non deve sentirsi più speciale degli altri come purtroppo spesso accade. 

BAMBINI CRISTALLO ed ARCOBALENO 

Vengono definiti bambini cristallo (o Cristallini) i bambini nati dal 2000 in poi, alcuni sostengono che siano i figli dei bambini indaco. I Cristallini sono molto pacifici e vulnerabili, hanno un’energia molto potente e non ce ne sono molti perché l’umanità deve essere pronta a riceverli. Ad esempio si sostiene che Gesù fosse un Cristallino e fu “incompreso” perché l’umanità non era pronta. Non a caso Gesù è detto Cristo, da cui Cristallo.

I bambini nati dal 2004 in poi sono invece definiti bambini arcobaleno ma per ovvie questioni di tempo le testimonianze a riguardo sono ancora esigue, ad ogni modo rappresentano un’evoluzione ancora maggiore. 

STARSEED (SEMI STELLARI) dal 2010.

Alcune testimonianze parlano anche di bambini starseed ovvero di bambini semi-stellari. Il corpo degli starseed è umano ma loro percepiscono che sono diversi: provano una profonda attrazione per certi animali, come i delfini e sono profondamente attratti dalle stelle e dalla metafisica, in poche parole sentono di non appartenere a questo mondo. Non ci sono molte testimonianze a riguardo ma è probabile che anche gli Starseed siano venuti sulla Terra per aiutarci ad evolvere.

Gli starseed sono una categoria a parte di individui in quanto non sono umani al 100%. Essi hanno almeno un genitore che non è sulla Terra e il genitore vero è quello extraterrestre. Sovente i genitori fisici del bambino sono starseed a loro volta. Il corpo degli starseed è umano ma loro si sentono strani perchè percepiscono che sono diversi e provano una profonda attrazione per certi animali, come i delfini che somigliano molto alla loro forma originale (su Sirio, pianeta degli Starseed, c’è una razza chiamata Nommos che ha le sembianze di un delfino). Incisioni rupestri rappresentanti delfini che scendono da astronavi ed entrano in acqua sono state ritrovate presso i Dogon africani e molte altre antiche tribù "primitive" in tutto il mondo. E’ probabile che anche gli Starseed siano venuti sulla Terra per aiutarci ad evolvere. Ecco alcune caratteristiche degli Starseed: si sentono molto soli; non si sentono pienamente umani; la maggioranza degli starseed porta geni cristallini per la ricodifica/ascensione. I geni cristallini permettono loro di accedere ad altre dimensioni; hanno una temperatura corporea più bassa del normale; spesso sono in conflitto con il genitore del sesso opposto; sono affascinati dalle stelle e dalla metafisica.

 

http://www.animazen.it/indaco_e_cristallo.html

 

Vi ricordiamo che non necessariamente condividiamo quanto riportato :

… SU ALTRI SITI SI AGGIUNGE :

 

Dopo i bambini Indaco , i bambini Cristalli e quelli Arcobaleno ora giungono sulla terra gli ”Starseed”, i figli delle stelle !

 

Sono “anime” umane solo in parte ed estremamente evolute, brillanti come stelle. Nascono con la consapevolezza di sé e con un bagaglio di conoscenze che possiamo solamente sognarci.

Percepiscono i pensieri delle persone che hanno intorno, sono in grado di leggere loro dentro, di capire chi sono e come sono, come agiranno e si comporteranno.

I bambini delle Stelle hanno in sé l’impulso a far del bene  che non li abbandona mai ed è la loro guida spirituale.

Non sono umani al 100%, difatti hanno una componente extraterrestre, arrivati qui da un altro mondo hanno il compito di assistere l’umanità attraverso l’ingresso nella Nuova Era, il 2012.

Gli Starseed, o figli delle Stelle, spesso si sentono soli e sanno di non essere originari di qui.

In genere il loro vero genitore è quello che non è sulla Terra, oppure sono figli di Starseed già sulla Terra da tempo.

 

Il cielo ha sempre affascinato gli uomini e sin dall’antichità sono nate leggende e storie sulla volta celeste e i loro presunti abitanti extraterrestri.

I nativi americani, in particolar modo, hanno portato con loro leggende molto interessanti a riguardo e ne hanno persino creato una loro religione con veri e propri culti e riti.

In alcune leggende Cherokee, si dice che la loro cultura ebbe origine nell’ammasso di stelle delle Pleiadi molto, molto tempo fa.

 

Essi affermano di essere venuti a questo mondo come Figli delle stelle (starseed o semi delle stelle)  per portare luce e conoscenza.

Se le storie sono vere allora molti di noi ora contengono DNA pleiadiano.

 

Ma chi sono e cosa fanno questi figli delle stelle (starseed) ?

Sono fisicamente uguali agli altri umani ma provengono da altri pianeti.

Non sanno di questa loro caratteristica ma dentro di loro si sentono estranei al nostro pianeta, provando nostalgia ma curiosità al sapere che potrebbero provenire da altri mondi.

 

Vedono la nostra società ingiusta e stupida e si allontanano da associazioni politiche e religiose.

Il loro scopo è quello di aiutare l’umanità a comprendere cosa è bene e cos’è male per poi farla avviare verso ad una nuova era di cambiamento spirituale.

 

Sono esseri volontari che da altri mondi vengono inviati sul nostro pianeta, privati di memoria ed avviati, sin dalla nascita, verso un processo che li porta alla completezza, per essere connessi al loro sé superiore.

Quando hanno raggiunto questa consapevolezza possono allora attivarsi attraverso un “codice del risveglio” per aiutare il pianeta terra compiendo la loro missione.

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Gli starseed hanno quasi sempre un genitore umano (di solito la madre) e uno di un altro pianeta, l’accordo viene stabilito tra gli stessi genitori naturali e i genitori starseed prima della nascita del bambino e in un qualche modo essi rimangono sempre in contatto tra di loro per stabilire un rapporto d’amore e di supporto.

Questo fatto potrebbe spiegare le numerose astronavi aliene avvistate attorno alla terra fin dai tempi antichi.

 

Ecco alcune caratteristiche degli Starseed :

-         Hanno un intenso senso di solitudine.

-         Si sentono come se non facessero parte della loro famiglia terrestre.

-         Sono affascinati dalle stelle e sentono che la loro casa è la fuori, ma non riescono a ricordare dove.

-         Cominciano a mettere in dubbio le usanze della terra in giovane età.

-         Sono attratti dalla ricerca metafisica delle risposte sul perché si sentono così soli e sul perché non sembrano sentirsi a proprio agio sulla terra.

-         Molti hanno una relazione conflittuale con il genitore del sesso opposto.

-         La maggioranza degli starseed ha i tratti del viso della propria madre, ma il resto del corpo è come quello del padre o viceversa, dipende da quale genitore è quello vero, quello da fuori il pianeta. Ciò è fatto per una ragione.

-         La maggioranza degli starseed è portatore dei Geni Cristallini per la Ricodifica/Ascensione del DNA. I geni cristallini li rendono capaci di canalizzare ed avere facilmente accesso ad altre dimensioni così come ricodificare il proprio DNA.

-         Possiedono una temperatura corporea più bassa del normale e hanno l’incapacità di gestire il calore.

-         il 65% di loro sono di sesso femminile, il restante 35% maschile

-         hanno degli occhi irresistibili, spesso di colore grigio, verde, azzurro, indaco

-         sono dotati di un forte magnetismo personale e un senso di “regalità” innato

-         esseri sensibili come i bambini e gli animali sono attratti da loro specie i delfini e i felini

-         il 57% ha delle capacità "sensoriali" che li aiuta a capire le persone e a percepirne l'aura

-         sono particolarmente riluttanti a qualsiasi forma di violenza e di volgarità, fisica o verbale

-         diventano frustrati se costretti da interagire con sistemi organizzati in forma rituale che non richiedono il ricorso al pensiero creativo

-         il 90% di loro si sente tutt'uno con l'universo

-         il 97% è fortemente sensibile alla luce, agli odori e ai suoni

-         il 90% è sensibile ai campi elettromagnetici, naturali o artificiali

-         l'80/85% ha spesso problemi fisici legati al freddo e all'umidità (es. sinusite cronica) e alle alte temperature

-         il 50% ha delle capacità di guarigione sia su stessi che su altre persone

-         quelli in fase di "risveglio", o già attivati, sentono una pressante urgenza di assolvere ai loro compiti

-         hanno un forte bisogno di sapere la verità

-         alcuni di loro hanno avuto incontri ravvicinati con UFO o hanno avuto sogni riguardanti gli altri mondi

-         tutti credono alla vita extraterrestre.

-         sono spesso coinvolti in associazioni per la salvaguardia dell’ambiente e degli animali

-         sono estremamente ecologici

-         Sono per la maggioranza allergici o intolleranti ai farmaci e agli additivi chimici

-         Si cibano solo di alimenti naturali e biologici

 

I "Figli delle stelle" si incarnano nelle stesse condizioni di debolezza e di totale amnesia sulla propria identità, sulle proprie origini e i propri scopi degli umani terrestri.

 

Tuttavia, i geni dei Figli delle stelle hanno in sè un codice di "chiamata al risveglio", che serve a "attivarli" a un momento predeterminato della loro vita. Il risveglio può avvenire in modo delicato e graduale o può invece essere del tutto improvviso e drammatico.

 

In entrambi i tipi di evento, viene recuperato un certo grado di memoria, che permette ai Figli delle stelle di assumersi coscientemente la responsabilità della propria missione. Anche le connessioni con i loro Sè Superiori vengono rafforzate, e questo permette loro di venire guidati in larga misura dalla loro conoscenza interiore.

 

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La vodka ti pulisce la casa : una ricetta fai da te per la pulizia di quasi ogni stanza della vostra casa

Quando si pensa alle ricette fai da te per la pulizia ecologica e eco-compatibile, pensiamo inevitabilmente e sempre all’aceto, il bicarbonato di sodio, sale, limone, e al borace…

Ma lo sapevate che è possibile utilizzare anche la vodka  per la pulizia di quasi ogni stanza della vostra casa ?

L’alcool contenuto nella vodka la rende un potente disinfettante, e funziona benissimo come sgrassante.  È anche possibile utilizzare la vodka per deodorare tessuti: ricette semplici, che non hanno bisogno di ingredienti speciali.

1 Detergente Multiuso
In un flacone spray, unire una parte di acqua ad una di vodka. È possibile utilizzare un nuovo flacone spray o lavare e riutilizzarne uno in vostro possesso. Si usa per pulire i controsoffitti, antine, vetri e specchi.

2 Disinfettante
Non è necessario utilizzare il triclosan tossico per disinfettare in bagno o in cucina. Vodka alla riscossa: basta riempire una bottiglia spray con vodka, spruzzare sulle aree piu incrostate e lasciate riposare per qualche minuto prima di pulire la superficie.

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3. Eliminare il calcare
Pensate a questa come l’alternativa naturale a quei terribili odori chimici che rilasciano i prodotti anti calcare. Si usa più o meno nello stesso modo dell’anti calcare che trovate in commercio: spruzzate generosamente sulle pareti della doccia, piastrelle o qualsiasi altra area lavabile e colpita da residui di calcare e sapone. Lasciate riposare per 15 a 20 minuti poi pulire con uno straccio umido. Easy Peasy!

4. Deodorare Tessuti
Spruzzate un po di vodka sui tessuti per assorbirne gli odori.Si consiglia di fare un piccolo test per assicurarsi che l’alcool non faccia sbiadire il colore prima. Se siete preoccupati per l’odore che lascia la vodka non preoccupatevi! L’alcol evapora, e l’odore svanirà non appena il tessuto si asciuga.

5. Vodka per eliminare il grasso
Al lavaggio a mano di pentole e padelle unti è possibile aggiungere un po ‘di vodka  per eliminare i residui di grasso ed unto. La prossima volta che riempite il lavandino aggiungete qualche cucchiaio di vodka per il mix. L’alcol elimina in modo molto più facile i residui untuosi.

http://www.promiseland.it/2012/11/10/la-vodka-che-pulisce-casa/

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Come inserire i fiori nella vostra vita di tutti i giorni al fine di coglierne i benefici

Fiori e benessere quotidiano

Prendere del tempo per fermarsi ad odorare ad esempio il profumo delle rose serve come “promemoria” per vivere il momento.

L’utilizzo di essenze floreale per “rinnovare il proprio meccanismo di guarigione” è il primo rimedio scoperto dal Dr. Edward Bach, secondo l’enciclopedia illustrata di rimedi curativi. Bach scoprì che le emozioni erano legate alle condizioni fisiche, e che le persone con un atteggiamento negativo erano maggiormente soggette alle malattie. Individuò sette stati di benessere emotivo e creò 12 rimedi floreali per affrontarli.

Da allora, i terapeuti hanno cominciato ad utilizzare sempre più i rimedi floreali come soluzioni omeopatiche per combattere emozioni come ossessione, ansia, apprensione e la depressione.

Di seguito riportiamo alcuni modi semplici per “incorporare” i fiori nella vostra vita di tutti i giorni, al fine di coglierne i benefici.

La prima regola da seguire è quella di acquistare oli essenziali di fiori nei negozi specializzati, di origine biologica privi di qualsiasi componente chimico.

Potete anche mettere dei petali di fiori in una vaschetta del ghiaccio e riempirla con acqua. Lasciate che il ghiaccio si formi intorno ai petali ed utilizzate i cubetti ottenuti per profumare la vostra acqua.

Acquistate tè fatti con fiori freschi, come ad esempio quello fatto con fiori di gelsomino e lavanda per allontanare lo stress e disintossicare la pelle.

Se decidete di raccogliere voi stessi dei fiori, il consiglio è di disporre fiori freschi su una superficie piana e farli asciugare. Una volta che i petali sono secchi, avvolgeteli in materiale con maglie a rete e utilizzateli come un pot-pourri per dare alla vostra casa un profumo fiorito.

Potete anche creare le vostre proprie essenze floreali! Fate bollire il fiore e il suo ramoscello in una pentola di acqua filtrata o minerale. Fate cuocere i fiori per 30 minuti, fateli raffreddare (con il coperchio sulla pentola) per altri 30 minuti. Filtrate e verste l’acqua residua in una bottiglia. Utilizzare questo liquido ottenuro ad esempio per strofinarlo sui punti di tensione del corpo o avvicinando la bottiglietta sotto le narici per inspirarne tutte le qualità aromatiche.

Questi suggerimenti sono tratti da The Illustrated Encyclopedia of Healing remedies enciclopedia ricca di informazioni su come migliorare il benessere generale con il potere dei fiori.

1. Rosa selvatica

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L’essenza di rosa selvatica aiuta le persone ad infondere fiducia in se stessi e mtivarsi permettendo di ritrovare la curiosità per la vita. La Rosa Selvatica può essere utilizzato anche per alleviare i sintomi della menopausa e pre-mestruale. Queste essenze hanno anche proprietà anti-infiammatorie ed aiutare a mantenere una carnagione chiara.

2. Lavanda

La lavanda è molto conosciuta per la sua capacità di indurre un sonno riposante. Il suo aroma calmante può essere utilizzato per calmare li stati di ansia. I fiori viola vengono usati per curare l’acne:”uccidono” i batteri della pelle e leniscono le parti infette. La lavanda calma il mal di testa e la tensione provate a metterne qualche goccia intorno ai seni nasali e paranasali ed alle tempie.

3. Lonicera

Avete una sensazione di nostalgia di casa o di nostalgia in generale? La lonicera aiuta a mantenere vivi i sentimenti felici del passato, e da la forza di andare avanti senza nostalgia di ricordi lontani. Può essere usato anche per aiutare una persona in lutto ed è utile per coloro che stanno attraversando periodi di grande dolore.

4. Viola d’acqua

Il nostro mondo invaso dai social network riduce in maniera devastante l’interazione reale con gli altri, diminuendo sensibilmente il tempo da trascorrere con i nostri amici. Poiché la comunicazione attraverso le varie tecnologie è così facilmente disponibile, è diventato facile vedere il mondo solo attraverso una lente LCD. Anche se alcune persone posson preferire di godersi il loro tempo da soli, l’interazione sociale è importante per il benessere.I sentimenti che accompagnano l’isolamento, come la solitudine e la depressione, possono essere eliminate con la viola d’acqua. Essa infatti aiuta a scoprire e/0 ritrovare la sicurezza in se stessi, a ritrovare il coraggio di fidarsi, ad incrementare il desiderio di comunicazione e di cogliere i vantaggi che derivano dalla condivisione.

5. Mimolo

A meno che non siate Superman o Wonderwoman, il coraggio non è una qualità che la maggior parte di noi mortali possiede. Sia che la vostra paura sia razionale o irrazionale, il fiore Mimolo è utile nel calmare il panico e domanre la paura. Il fiore ci permette di trovare il coraggio dentro di noi di andare al di là di ciò che noi crediamo di essere, a superare i nostri limiti. Questo fiore calma l’apprensione che si manifesta spesso, quando ci troviamo di fronte ad una paura, e ci permette di rispondere in modo adeguato con la mente sgombra e lucida.

I fiori hanno un’ influenza misteriosa e sottile sui sentimenti, analogamente a certe melodie musicali. Rilassano la tensione della mente. Dissolvono in un attimo la sua rigidità. (H.W. Beecher)

(Foto di aurorami su Flickr)

http://www.promiseland.it/2012/11/06/fiori-e-benessere-quotidiano/

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Ramanujan, il grande matematico indiano che ha sbalordito i matematici di tutto il mondo

Ramanujan Srinivasa Aaiyangar, geniale matematico indiano, nacque il 22 dicembre 1887 e morì il 26 aprile 1920 a soli 33 anni. Era privo di istruzione e proveniva da uno sconosciuto villaggio dell'India. Egli rappresenta un tipico esempio di genio innato.

Ramanujan è stato uno dei più grandi matematici di tutti i tempi, al pari di Gauss o di Eulero, nonché un prodigio nelle capacità di calcolo: una specie di Mozart della matematica. Dotato di un talento straordinario per la teoria dei numeri, ha lasciato taccuini (Notebooks di Ramanujan) pieni di formule. Ancora oggi ci si chiede come abbia potuto scoprirle senza poterne dare delle vere dimostrazioni. 
Si racconta che il grande matematico inglese Hardy, dicesse a Ramanujan malato di tubercolosi nell'ospedale di Putney: "Il numero del mio taxi è il 1729, mi sembra un numero alquanto stupido". Al che Ramanujan rispose: "No Hardy! No! E' un numero molto interessante. Il più piccolo esprimibile come somma di due cubi in due diversi modi:  1729 = 10^3 + 9^3, 1729 = 12^3 + 1^3 ".
Ramanujan nacque a Kumbakonam presso Madras nel 1887, non in un grande centro intellettuale, purtroppo, ma proprio nella parte sbagliata del mondo, da una famiglia poverissima anche se di casta elevata. Fin dalla più tenera età, Ramanujan, si era appassionato ai numeri e alla matematica e aveva letto ogni libro che gli venisse a tiro. Poverissimo e con una moglie da mantenere accetta di lavorare come impiegato al porto di Madras, con uno stipendio di 20 sterline annue. Nel gennaio 1913 viene scoperto dal grande matematico inglese G.H. Hardy, docente di matematica a Cambridge, vincitore di diversi premi e il più illustre matematico inglese. Hardy intuì immediatamente il genio matematico del povero indiano e si offrì di aiutarlo in tutti i modi possibili. Per liberarlo dai problemi economici e per permettergli di continuare gli studi lo fece venire a Cambridge, ove all'età di 30 anni fu eletto Fellow della Royal Society. Morirà, purtroppo, all'età di 33 anni, nel 1918 malato di tubercolosi, tra le braccia della moglie. Hardy, per ricordare il genio di Ramanujan, scriverà:
"Quando sono depresso e costretto ad ascoltare gente pomposa e noiosa, mi dico: "Be', io ho fatto una cosa che Voi non avreste mai potuto fare e cioè aver collaborato con Ramanujan pressappoco alla pari".

Qui di seguito riporto alcune sensazionali formule scoperte da Ramanujan:

 

 

 

Tratto da: www.matematicaeliberaricerca.com

 

Ramanujan Srinivasa Aaiyangar

A cura di Angelo Mastroianni, 30.04.2004, tratto da:  www.torinoscienza.it

Per gli appassionati di matematica, Ramanujan è un personaggio che fa venire i brividi, che suscita un misto di ammirazione, stupore, incredulità, amarezza. Non si può separare l'interesse per l'opera dalla curiosità per la vita, ciò accade puntualmente per tutti i grandi "eroi romantici" della scienza o dell'arte.
La brevità della sua vita e della sua bibliografia ci fa rivivere l'amarezza per la prematura scomparsa dal mondo e dalla matematica di Evariste Galois o di Niels Abel.
La creatività di Ramanujan, come quella di Frederic Chopin, non venne intaccata dalla malattia: entrambi continuarono a concepire i loro capolavori dal letto in cui morirono di tubercolosi. L'intuito impressionante, la capacità di anticipare i tempi, l'originalità, l'autolesionismo suscitano la stessa incredulità per quell'indecifrabile prodigio che era Ettore Majorana.
Il tentativo di suicidio e altri momenti di instabilità di Ramanujan ci ricordano quelli, purtroppo andati a termine, di Alan Turing e Ludwig Boltzmann, e le menti disturbate o del tutto folli di Georg Cantor, Kurt Goedel, John Nash. La frenesia nel calcolo è della stessa natura che animò la vita di Paul Erdos. Qualcuno paragonò il ritrovamento di un quaderno perduto di Ramanujan all'eventuale scoperta di una bozza della decima sinfonia di Ludwig van Beethoven.
L'accostamento tra matematica e arte potrà apparire sconcertante. Inoltre, proprio questi fuoriclasse contribuiscono a un pericoloso e diffuso pregiudizio sui matematici e sulla matematica: cioè che questa non venga considerata (al pari dell'arte) come una scoperta di ordine nell'universo, una delle più belle creazioni della mente umana.
Ma una disciplina arida, pericolosa, col suo linguaggio impossibile, destinata a pochi pazzoidi soli e incompresi. La figura di Ramanujan è l'ideale per smentire questi pregiudizi: pochi, forse nessuno, tra i grandi matematici hanno operato con un processo creativo così vicino a quello dell'artista come ha fatto Ramanujan.
E se alcuni grandi che hanno segnato la scienza hanno avuto un'esistenza "diversa" dalle persone comuni era perché, come Chopin e Beethoven, erano delle singole, grandi eccezioni. Non bisogna dimenticare che i matematici in generale sono persone del tutto normali, solo forse con una maggiore capacità di coniugare la fantasia con la ragione.
Srinivasa Iyengar Ramanujan era, appunto, un'eccezione. Nato il 22 dicembre del 1887 a Erode, nell'India meridionale, Ramanujan visse l'infanzia e l'adolescenza a Kumbakonam, circondato dalla spiritualita' della sua casta: i brahmani. Tra la miriade di divinità, Namagiri era quella cara alla sua famiflia. Era Namagiri, secondo lui, la "musa" che lo ispirava e che gli appariva in sogno svelandogli i segreti dei numeri. Nonostante la casta, le sue condizioni erano piuttosto misere, Ramanujan avrebbe sofferto spesso la fame. Le sue abilità matematiche si svilupparono fin dalla scuola, in parallelo a un'ipersensibilità quasi patologica verso un mancato riconoscimento, un insuccesso o qualsiasi cosa di cui vergognarsi. Ad esempio, scoprire che delle relazioni trigonometriche che aveva ricavato erano state trovate un secolo e mezzo prima nientemeno che da Leonhard Euler, fu per lui una mortificazione tale che quando se ne accorse nascose i calcoli nel tetto di paglia. Con quell'ingenuità che non avrebbe mai perso, e che avrebbe incantato i matematici occidentali, non riusciva a rendersi conto di quanto fosse eccezionale riottenere da solo un risultato del grande Euler. Un'altra volta, da ragazzino, era rimasto irreversibilmente offeso perché un suo amico aveva preso un voto più alto in matematica.
Ma non si gettò completamente nella matematica se non fino al primo incontro importante della sua vita: "A Synopsis of Elementary Results in Pure and Applied Mathematics", di George S. Carr. Per un normale studente, la "Synopsis" era poco più che un formulario, una raccota di circa cinquemila teoremi e formule in svariati settori della matematica. Non per il diamante grezzo Ramanujan: seduto nel portico della sua casa, a due passi dal tempio, passava ore e ore con una lavagnetta manipolando numeri, formule, ricavando da solo i teoremi e i risultati del libro. Era questa la sua principale attività, anche a lezione al College. Il risultato del totale disinteresse per le altre materie segnò per sempre la sua carriera: venne bocciato più volte ed escluso da due Colleges, quindi privato delle relative borse di studio. 
A rendere la sua povertà ancora più assurda, c'era il fatto che sapeva andare oltre il libro, ma molto, molto più lontano. Otteneva risultati che avrebbero sbalordito i matematici di tutto il mondo, fino a oggi. Completamente all'oscuro delle notazioni più usate e di cosa fosse già noto alla comunità dei matematici, Ramanujan a volte riscopriva cose già note (ma da autodidatta, è come scoprirne di nuove). Ogni tanto trovava anche risultati sbagliati. Il più delle volte però, le proprietà dei numeri, delle serie, delle frazioni continue, degli integrali (e molto altro ancora) che "vedeva" senza dimostrarle erano preziosissime perle, che i matematici avrebbero impiegato anni per estrarle dall'ostrica, per dimostrarle. Senza insegnamenti, senza laurea, solo con la "Synopsis", la lavagnetta o la carta che non bastava mai (la riutilizzava con inchiostro diverso), Ramanujan aveva imparato, da solo, a fare matematica come nessun altro sapeva: "sto tracciando un nuovo percorso tutto mio", avrebbe scritto. Senza né soldi né lavoro, la madre Komalatammal gli diede in sposa una bambina di nove anni, Janaki che, come era tipico per le spose bambine, non poteva vivere con lui fino alla pubertà. Iniziò allora un periodo di peregrinazioni da una città all'altra, in cerca di un lavoro, presentandosi da personaggi ritenuti influenti, con gli incomprensibili quaderni per curriculum e a volte senza i soldi per il cibo o il treno. Alla fine Ramanujan, il più grande matematico indiano, uno dei più originali di sempre, trovò un lavoro a Madras come ... contabile!

Ramanujan riuscì anche a pubblicare dei risultati sui numeri di Bernoulli. Ma non divenne famoso per quello (almeno non subito), a portarlo nel mondo della matematica sarebbe stato il secondo grande incontro della sua vita: Godfrey H. Hardy, l'eminente matematico del Trinity College di Cambridge. Tra le lettere che gli amici gli consigliarono di inviare in Europa, questa arrivò ad Hardy: Gentile Signore, mi pregio di presentarmi a Voi in qualità di contabile [...] con un salario di sole 20 sterline l'anno. Al momento ho quasi ventitré anni. Non ho ricevuto un'istruzione universitaria [...] Dopo aver lasciato la scuola, ho utilizzato il tempo libero a mia disposizione per occuparmi di matematica [...] e i risultati che ho ottenuto sono definiti dai matematici di queste parti "sorprendenti"

Con umiltà e sfacciataggine, Ramanujan proseguiva elencando alcuni suoi studi: ho trovato una funzione che rappresenta esattamente il numero di numeri primi minori di x.

"Esattamente", diceva. Si sbagliava, ma la lettera conteneva circa nove pagine allegate di altri teoremi. Il pacato e inglesissimo Hardy non sapeva ancora che la sua vita (così come quella di Ramanujan) stava per cambiare per sempre. Sconcertato, mostrò la lettera a tutti. Riconobbero qualcosa su integrali e serie, eppure anche i risultati noti apparivano in una veste nuova. Ma c'era poi qualcosa che sembrava davvero provenire da un altro pianeta.

Di teoremi come questo sulle frazioni continue, Hardy, la massima autorità matematica inglese dell'epoca, non riusciva a capacitarsi: "mi sconfissero del tutto, non avevo mai visto niente di simile prima di allora. Una sola occhiata è sufficiente a mostrare che potevano essere stati elaborati solo da un matematico di grandissimo valore (...) Devono essere veri, perché se non lo fossero, nessuno avrebbe un'immaginazione tale da inventarli". Oltre alla difficoltà di arrivare a risultati di tale eleganza (notare la strana simmetria dei coefficienti: 1, -2, 4, -3, 1 al numeratore e 1, 3, 4, -2, 1 al numeratore) con oggetti così complessi, c'era il problema di dimostrarne la verità. L'originalissimo bagaglio matematico di Ramanujan non conteneva infatti il concetto fondamentale di dimostrazione.

Seguì uno scambio epistolare tra i due, con Hardy sempre più incuriosito e più insistente sulle dimostrazioni. Presto avrebbe smosso le sue conoscenze per portare Ramanujan in Inghilterra. Ma a un brahmano era rigorosamente vietato oltrepassare l'oceano. Almeno ora Ramanujan non era più solo: nella matematica che conta sapevano di lui. Infatti dall'India arrivò la tanto attesa borsa di studio. Ora, anche se senza laurea, Ramanujan era un matematico vero, che pubblicava articoli, frequentava la biblioteca del Presidency College di Madras, calcolava anche di notte alla sua maniera febbrile e appassionata: "a volte bisognava ricordargli di mangiare", disse Janaki.

Alla fine, per le influenze di amici, soprattutto di Hardy, ma anche grazie alla sua Namagiri, Ramanujan si convinse a sfidare l'ortodossia e a salpare per Cambridge. "Hardy e Ramanujan" è una coppia che i matematici di tutto il mondo avrebbero conosciuto presto leggendo gli articoli pubblicati a più mani che nascevano da quell'immensa miniera d'oro che erano le idee e i quaderni di Ramanujan. Sotto l'influenza di Hardy e di altri matematici di Cambridge, il diamante grezzo si stava rapidamente trasformando in diamante puro.

Rieducare Ramanujan alla matematica "terrestre" non era facile. Disse Hardy: "Avevo anche paura che, se avessi insistito troppo su questioni che Ramanujan trovava seccanti, avrei potuto distruggere la sua sicurezza o rompere l'incantesimo della sua ispirazione [...] ovviamente appresi da lui molto più di quanto lui apprese da me". La descrizione migliore l'ha data il matematico Laurence Young: "era come scrivere su una lavagna coperta di stralci di una lezione più interessante". Per lui si stravolgevano le regole: nel 1916 gli venne assegnato per meriti il diploma B. A. (la nostra laurea), per via di uno dei suoi lavori più importanti (sui numeri altamente composti). Avrebbe poi ricevuto due tra le massime onorificenze accademiche inglesi: Fellow del Trinity College e della Royal Society.

Purtroppo però, per Ramanujan le cose sarebbero andate per il verso sbagliato e l'Inghilterra si trasformò da luogo che gli diede l'immortalità nel posto dove iniziò la sua fine. Per quanto fosse felice di fare matematica a quei livelli e per quanto fosse circondato dalla stima di tutti, Ramanujan non riuscì mai a inserirsi nell'ambiente di Cambridge. Non lo aiutarono il carattere degli inglesi, la distanza culturale enorme che li separava e neanche Hardy, col quale entrò in confidenze personali solo molto tempo dopo.

Ci fu un ritorno emblematico di quella vergogna esagerata e incomprensibile che fece dubitare addirittura del suo equilibrio mentale. Di fronte al rifiuto della terza porzione di un piatto che aveva cucinato per degli amici invitati a cena, Ramanujan cedette di nuovo allo stress, al superlavoro o chissà a quale processo mentale tutto suo e andò via. Ma non come un bambino che si chiude in camera a piangere, Ramanujan andò via senza dare notizie per qualche giorno!

Il senso di esclusione e le difficoltà di adattamento che minarono la psiche e il fisico di Ramanujan sono ben resi da Robert Kanigel nel libro "The man who saw infinity" (finalmente edito in Italia: "L'uomo che vide l'infinito", Rizzoli) da cui sono tratte questa storia e tutte le citazioni: "Nell'India meridionale, i confini tra l'interno e l'esterno non erano cosi' fissi e immutabili come in Inghilterra [...] In India muri e finestre erano piu' permeabili. Insetti, odori e suoni portavano l'esterno all'interno. Tamie e lucertole scorrazzavano attraverso le imposte delle finestre. A Cambridge, ivece, tra la solida pietra di mura di cinquecento anni, persisteva un onnipresente senso di divisione e demarcazione".

Eppure "il freddo inglese", come lo chiama Kanigel, non affievoliva le capacità matematiche di Ramanujan. Lo dimostra il lavoro svolto con Hardy sulla funzione di partizione p(n): il numero di modi in cui un numero intero può essere ottenuto come somma di altri interi (ad esempio, p(4)=5 perché ci sono 5 modi per ottenere 4 come somma di interi: 1+1+1+1, 1+1+2, 2+2, 1+3, 4). I due posero le basi per trovare la formula esatta di p(n) per n qualsiasi, un risultato spettacolare per i matematici.

Ma a un certo punto Ramanujan si ammalò, non fu subito chiaro che era tubercolosi. Comincio' a vagare da un sanatorio all'altro, soffrendo la fame e il freddo (la cura dell'epoca prevedeva la giacenza in stanze non riscaldate). Lo stress per la malattia, problemi a casa con Komalatammal e Janaki, l'insofferenza per il cibo inglese (era rigorosamente vegetariano) non facevano che aggravare la situazione. I problemi col cibo potevano diventare una vera e propria ossessione, se alla pratica vegetariana (inopportuna con la tisi) si aggiunge l'ostinata testardaggine di Ramanujan, che non voleva adattarsi.

Non è ancora chiaro il motivo, ma un giorno i nervi gli cedettero ancora e tentò di uccidersi sotto la metropolitana di Londra. Una guardia fermò il treno a pochi metri da Ramanujan che si ferì alle gambe. C'è un altro episodio che può far riflettere sul suo stato: dopo aver bevuto una bevanda confezionata, l'Ovaltine, convinto che fosse a base vegetale, lesse l'etichetta per caso e scoprì che conteneva estratti animali. Mortificato, scappò come al solito e interpretò il bombardamento che lo colse per strada non come uno degli ormai consueti raid aerei della grande guerra (era il 1918), ma come una punizione divina per aver mangiato carne!

L'elezione a membro della Royal Society gli risollevò un po' il morale, ma non si poté fare a meno di riportarlo in India. Anche Ramanujan sapeva che la fine era vicina, ma non perse l'allegria e lo spirito arguto che lo rendevano amabile con tutti. Tornato in India, continuò a vagare da un luogo di cura all'altro, godendosi un po' di vita coniugale, continuando a lavorare e a dimagrire, lui che era stato sempre decisamente grasso. Janaki racconta che, ridotto ormai pelle e ossa, prima di perdere conoscenza "non c'era altro che la matematica ... Quattro giorni prima di morire stava ancora scarabocchiando".

A trentadue anni, dopo aver sconvolto la matematica con i suoi teoremi e con il suo stile unico, Ramanujan se ne andò il 26 aprile del 1920, a Madras. Il necrologio scritto da Hardy venne pubblicato su Nature (105, pagg. 494-495 1920). Hardy avrebbe curato la pubblicazione delle sue opere ("Collected Papers of Srinivasa Ramanujan", Cambridge University Press, 1927) e avrebbe scritto anche un libro su di lui ("Ramanujan", Cambridge University Press, 1940).

Qualche tempo prima di morire, Ramanujan aveva rivisto quell'amico di scuola che lo aveva offeso con un voto più alto e gli aveva detto: "Ho un'amica che mi ama molto più di tutti voi e che non vuole assolutamente lasciarmi". Si riferiva alla febbre da tisi, ma a noi piace applicare le stesse parole all'unica vera amica di Ramanujan, che davvero non lo abbandonò mai: la matematica.

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REALTA' E ILLUSIONI


REALTA’ E ILLUSIONI

 

" Un essere umano è parte del tutto chiamato universo. Egli sperimenta i suoi pensieri e i suoi sentimenti come qualche cosa di separato dal resto: una specie di illusione ottica della coscienza. Questa illusione è una specie di prigione. Il nostro compito deve essere quello di liberare noi stessi da questa prigione attraverso l’allargamento del nostro circolo di conoscenza e di comprensione, sino a includervi tutte le creature viventi e l’intera natura, nella sua bellezza

Albert Einsten

 

 

PREMESSA

 

Ho sempre cercato di comprendere cosa è reale e cosa è illusorio e che senso avesse parlare di magia. Affrontando tutto ciò  mi sono fatta aiutare da diversi autori mettendomi in ideale contatto con loro come fossero guide temporanee alle mie istanze  cercando di non interpretare, ma di seguire al meglio le loro parole. Non so se le risposte univoche e chiare io le abbia trovate o le potrò mai trovare sui libri, ma comunque so  che ad ogni luce che si accende, più grande è intorno il cerchio d’ombra.

 

Che cosa è la realtà

 

Comunemente la realtà si basa su ciò che ci hanno insegnato a considerare vero. A ciò si aggiungono le esperienze individuali, la morale, le tradizioni della società, l’ambiente fisico e geografico che ci circonda

Alcune ricerche hanno dimostrato che gli aborigeni, abituati a vivere nella foresta e a guardare a breve distanza a causa del fitto fogliame, non concepiscono la prospettiva. Le cose a distanza sono solo oggetti piccoli (realtà soggettiva considerata verità).

Nel deserto del Kalahari una tribù vive convinta che il limite del mondo si trovi a circa 250 metri dal luogo in cui essa vive.

Un antropologo riferisce che quando gli indigeni vengono condotti in quel punto limite, vedono solo il vuoto. Se una persona supera quel limite non sono più in grado di vederla e la piangono come se fosse morta.

 

Per accettare un nuovo concetto di realtà dobbiamo accettare di cambiare paradigma, cioè il nucleo centrale di un concetto intorno a cui ruota una intera ricerca. Un paradigma interamente accettato diventa dogma. Tutte le idee limitative possono influenzare lo sviluppo di un’intera società. La paura del nuovo o la convinzione che l’idea consolidata sia l’unica possibile ha sempre impedito alla consapevolezza di progredire nei secoli. (Marco Polo fu messo in prigione, Copernico e Galileo furono ridicolizzati e contrastati, nel medioevo le guaritrici venivano condannate a morte come streghe).

Alcuni esperti di statistiche dicono che affinché una nuova idea diventi parte di uno schema preesistente, il 75% della popolazione deve averne sentito parlare in modo che il 25% possa accettarla.


La visione scientifica

 

Mutando la visione scientifica del mondo fisico sono mutate le nostre definizioni della realtà. Fino ai tempi recenti le nostre definizioni di realtà si basavano sulla fisica di alcuni secoli addietro: l’universo come insieme di oggetti fisici. A sostenere questa concezione fu Newton. La fisica di Newton venne sviluppata ulteriormente nel 19° secolo e diede luogo ad una concezione di universo composto da elementi costitutivi fondamentali: gli atomi.

Questi erano concepiti alla stregua di oggetti fisici: un nucleo composto da protoni e neutroni attorno al quale ruotavano gli elettroni.

Ciò indusse i fisici dell’inizio ‘800 a ritenere che l’universo fosse un immenso sistema meccanico che funzionava secondo le leggi del moto. Dietro tali concezioni vi era l’idea di un tempo e di uno spazio assoluti e la convinzione che ogni fenomeno derivasse da processi naturali di causa-effetto. Ogni reazione fisica doveva avere una causa fisica. Non si conosceva ancora l’interazione tra energia e materia, cioè il processo grazie al quale un apparecchio radiofonico emette suoni per l’impulso di radioonde invisibili. Nessuno pensava che lo stesso sperimentatore potesse influire sul risultato dei suoi esperimenti.

 

Teoria dei campi elettromagnetici

 

All’inizio del 19° secolo furono scoperti nuovi fenomeni che non potevano essere spiegati con la fisica newtoniana, la quale riteneva che due particelle con carica opposta si attraggono a vicenda come due masse.

Faraday e Maxwell ricondussero questi fenomeni al concetto di campo elettromagnetico e stabilirono che la forza di una carica crea “disturbo” o “condizione” nello spazio circostante così che la carica opposta, se presente, avverte tale forza. Nacque così l’idea di un universo composto da campi elettromagnetici, fonti di forza che interagiscono fra loro.

 

Forse esiste un quadro scientifico all’interno del quale cominciare a spiegare perché gli esseri umani influiscono sugli altri a distanza, con mezzi diversi dalla parola e dalla vista. Cominciamo ad ammettere che noi stessi siamo fatti di campi energetici. Può capitare di rispondere al telefono sapendo già chi ci sta chiamando, di avvertire la presenza di una persona in una stanza ancor prima di vedere o di udire la persona, spesso una madre sente che il figlio è in pericolo (interazione fra campi).

 

La relatività

 

Nel 1905 Einstein pubblicava la teoria della relatività. Materia ed energia sono intercambiabili: la massa non è altro che una forma di energia così la materia è energia rallentata o cristallizzata. Inoltre lo spazio non è tridimensionale ed il tempo non è un’entità in sé. Entrambi sono intimamente connessi e formano un continuum a quattro dimensioni: il cosiddetto “spazio-tempo”. Così non si può più parlare di spazio senza includere il tempo e viceversa. Non esiste un fluire universale del tempo, vale a dire che il tempo non è lineare, né assoluto, ma relativo. Misura assoluta è un modo di dire che non ha significato. Il tempo e lo spazio sono due elementi in cui la nostra mente è costretta a scindere la realtà per ridurla a tre dimensioni, mentre essa è a quattro dimensioni. La quarta dimensione è appunto la fusione di tempo-spazio cioè il “cronotopo”.

Per rendere intuibile una tale concezione facciamo un’analogia: noi concepiamo le tre dimensioni, ma realmente ne percepiamo solo due cioè le superfici (piane, curve, lisce). Se noi vogliamo vedere totalmente un oggetto a tre dimensioni (una scatola) dobbiamo farlo girare e rigirare fra le mani cioè dobbiamo ridurre la realtà a tre dimensioni in superfici viste in tempi diversi.

L’unione di questi tempi più le superfici ci da’ la terza dimensione (della scatola) nello stesso modo che i corpi a tre dimensioni più il loro movimento ci dà modo di conoscere quella realtà che è a quattro dimensioni.

Poiché in un mondo a quattro dimensioni non c’è più né tempo né spazio, in esso non ci sono più separazioni (tempi e spazi diversi) e perciò esso è stato chiamato un “continuum tetradimensionale”.

 

Possiamo immaginare quali sconvolgenti problemi derivano da una simile concezione, non solo per la fisica e la matematica, ma per noi uomini. Scrive il Jeans (L’universo misterioso): “l’universo diventa molto più simile a un grande pensiero che a una grande macchina”.

 

L’uomo comunemente è portato a credere alla preesistenza della matematica, al fatto cioè che una novità matematica sia una scoperta e non una invenzione. Si crede che il quadrato costruito sull’ipotenusa fosse uguale alla somma dei quadrati costruiti sui cateti prima che Pitagora enunciasse il famoso teorema. Si ha la sensazione che le verità matematiche sono necessarie, non arbitrarie e che coloro che le hanno scoperte, con fatica, le hanno scoperte in quanto già esistevano. A questa opinione si potrebbe contrapporre che precedentemente all’uomo, non esistevano né ipotenusa né cateti. Si potrebbe anche obbiettare che precedentemente al pensiero dell’uomo non esistevano neanche i numeri: in natura esistevano cose, esiste una coppia di buoi, tre uova in un nido, quattro gambe di un tavolo, cinque petali di una rosa canina, anzi esistono solo buoi, uova, gambe ecc. mentre i numeri sono ad essi affibbiati dall’uomo che idealmente raggruppa gli oggetti e men che mai esiste il numero astratto su cui l’uomo ragiona come se fosse un oggetto.

 

In realtà noi avremmo creato delle finzioni e poi dimentichi delle nostre stesse premesse implicite e consciamente poste saremmo rimasti presi nel gioco delle conseguenze logiche che  possono derivare da quelle premesse.

Einstein ne “L’evoluzione della fisica” dice: ”La scienza non è una raccolta di leggi, un catalogo di fatti senza nesso; è una creazione dell’intelletto umano, con le sue libere invenzioni di idee e di concetti. E’ una libera creazione e non un viaggio di scoperta di una realtà” definitivamente raggiungibile” e Max Plank (La conoscenza del mondo fisico) dice: “Il lavoro scientifico ci si presenta come un corsa incessante verso una meta che non sarà mai raggiunta: la meta è infatti di natura metafisica ed è al di là di ogni esperienza”.

Il dubbio di oggi è la scienza di domani, Galileo lo insegna.

 

I concetti di tempo e di spazio sono talmente fondamentali nella nostra concezione che la loro modificazione altera totalmente i criteri di base su cui poggia la nostra visione. Non abbiamo ancora inglobato nella nostra vita quotidiana questo aspetto della teoria della relatività. Conosciamo tutti la sensazione del tempo che accelera o che rallenta. Se ci abituiamo a considerare i nostri umori scopriamo che il nostro tempo personale varia a seconda del nostro stato d’animo e delle esperienze che stiamo vivendo. Le nostre esperienze esistono al di fuori del sistema newtoniano. Nella cultura americana indigena che non disponeva di orologi per misurare il tempo lineare, esistevano due concezioni temporali: “l’adesso e ogni altro momento diverso dall’adesso.

Anche per gli aborigeni australiani il tempo ha solo due aspetti: il tempo “che scorre” e il “Grande Tempo”.

Ciò che avviene nel Grande Tempo è in sequenza, ma non può essere datato.

Lawrence Le Shan che ha condotto esperimenti sui sensitivi, ha definito due tipi di tempo: il tempo lineare e il “tempo del chiaroveggente” che non è dissimile dal Grande Tempo.

Secondo la concezione di Einstein del continuum spazio-temporale l’apparente linearità degli eventi dipende dall’osservatore.

Il dott. Larry Dossey, già medico affermato, si interessò a un fenomeno singolare che incontrava spesso nella sua attività. Infatti osservava che i malati caratterizzati da una maggiore tensione spirituale e più inclini alla preghiera ed alla meditazione si riprendevano più facilmente dalle loro sofferenze e tornavano con più rapidità alla vita. Incominciò ad esplorare quella zona che separa i territori dello spirito da quelli della scienza e della ragione. In un suo libro spiega che anche il passato può mutare: prima di compiere un misurazione (analisi medica) si può solo parlare di probabilità o possibilità e non di realtà.

L’osservazione porta i possibili avvenimenti ad un solo risultato che può essere  chiamato “evento reale”. Sembra che la psiche possa influenzare eventi subatomici passati già accaduti e in qualche modo registrati finché non sono stati osservati coscientemente.

 

Il paradosso

 

Intorno agli anni ‘20 la fisica è penetrata nella realtà del mondo subatomico. Ogni volta che i fisici ponevano un domanda alla natura, mediante un esperimento, la natura rispondeva con un paradosso e più cercavano di chiarire la situazione più il paradosso si rafforzava.

Gli scienziati si resero conto che il paradosso è un aspetto intrinseco del mondo subatomico, sul quale poggia tutta la nostra realtà fisica.

I fisici, affrontando la realtà subatomica e continuando a ricercare gli elementi costitutivi fondamentali della materia, si sono imbattuti in un quantità tale di particelle elementari da non poterle più chiamare elementari. Gli esperimenti degli ultimi decenni hanno dimostrato che la materia è del tutto mutevole. L’atomo, parte più piccola della materia divisibile, è composto da un nucleo centrale (neutroni e protoni) di carica positiva e da elettroni di carica negativa che girano intorno su orbite diverse.

L’elettrone ha una caratteristica particolare definita da Heisemberg con il principio di indeterminazione. Il comportamento dell’elettrone è duale: si comporta da materia (particella) o da energia (onda di probabilità) a seconda dell’occhio di chi osserva poiché interagisce con l’osservatore.

Ogni particella non è niente più che un pacchetto di onde probabili. L’unica cosa che si può fare è valutare la possibilità di incontrare questa particella in un determinato luogo dello spazio.

La materia subatomica vibratoria si diffonde nello spazio e sembra essere in molti luoghi contemporaneamente. Ha “tendenza ad esistere” sono “onde di probabilità”. Diventano reali nel momento in cui lo sperimentatore entra in contatto con loro studiandone il comportamento. E' questo atto di prestare attenzione all’onda che la rende probabile e non il fatto che potrebbe esistere. L’atto di osservare dimostra che le particelle subatomiche in quanto tali non esistono come unità isolate. Le onde di probabilità non sono probabilità di cose reali, ma probabilità di accadimenti. Se ci concentriamo su qualcosa, facciamo in modo che si realizzi: è l’atto stesso della concentrazione che rende reale qualcosa che esisteva potenzialmente.

E’ possibile effettuare un esperimento che prova che la luce è una particella, ma se si introduce la minima variazione nell’esperimento risulterà che la luce è un’onda. Per descrivere il fenomeno luce bisogna usare sia il concetto di particella sia il concetto di onda: ci si sposta così in un universo basato sul concetto sia/sia, cioè il concetto delle complementarità. Le definizioni sono complementari anziché antitetiche come voleva la tradizionedello o/o.

Abbiamo cosi’ due mondi perfettamente delimitati. Da un lato il mondo quotidiano, quello degli oggetti familiari in cui si possono stabilire le leggi causali: ogni effetto è prodotto da una causa. E’ prevedibile, con leggi precise che reggono il comportamento dei corpi; fino a qui vale ancora la meccanica di Newton. Nel momento in cui si incomincia ad entrare nel mondo subatomico tutto si svolge in maniera sfumata, imprecisa e nebulosa. A mano a mano che queste nubi quantistiche si considerano raggruppate in entità più ampie, progressivamente l’indeterminazione incomincia a sparire.

 

Agli inizi della meccanica quantistica gli scienziati tendevano ad esemplificare questa indeterminazione con un esempio: se un ornitologo desidera studiare un uccello notturno, ha soltanto due possibilità. Se lo illumina con la luce l’uccello risulterà abbagliato, allora lo scienziato potrà analizzare la sua forma e i suoi colori, ma non il suo comportamento alterato dalla presenza della luce. Se si adatterà ad osservarlo quando calano le tenebre, l’incerto chiarore lunare potrà consentirgli di osservare il suo comportamento, ma non la sua morfologia.

E’ evidente così come l’ordine dei fattori possa alterare il prodotto. A livello subatomico questo significa che non possiamo osservare questo mondo senza interagire su di esso. Nell’intervenire lo cambiamo, pertanto il mondo quantistico che osserviamo non è mai quello reale o meglio quello che sarebbe esistito senza la presenza dell’osservatore.

E’ esattamente quello che accade quando un antropologo decide di mescolarsi ai componenti di un popolo primitivo per osservarne da vicino i costumi. Nel farlo sta già alterando il mezzo che si proponeva di studiare nel suo stato vergine. Il paradosso ha sempre ossessionato gli studiosi della meccanica quantistica incluso i suoi fondatori.           Secondo il fisico John Wheeler “in questa situazione, ciò che ha contribuito a stupire è stato soprattutto un nuovo concetto offertoci dalla meccanica quantistica e cioè il rovesciamento del termine osservatore appartenuto alla fisica classica che designa un uomo posto al sicuro intento ad osservare quello che avviene intorno a lui senza prenderne parte. Questo non è possibile nella meccanica quantistica.” Ciò rende interrelati l’uomo e l’universo, “ ciò che sta in alto è come quello che sta in basso”, non potremo mai osservare la realtà poiché noi siamo parte di essa.

 

 

L’esperimento noto come “il gatto di Schroedinger”

 

Questo curioso esperimento si svolge così: dentro una scatola si mettono un gatto, una fonte radioattiva, un martello e un flacone di veleno. Tutto ciò viene disposto in modo tale che qualora sì produca l’emissione di una particella, questa attivi un rivelatore che a sua volta fa si che il martello colpisca il contenitore di vetro liberando il veleno. C’è il 50 % di probabilità che la particella venga emessa e il restante 50 % che questo non accada. In caso affermativo si attiva tutto il processo e il gatto muore; in caso contrario vive. Per accertare l’esperimento bisogna aprire la scatola quindi il gatto sarà vivo oppure morto. Non per i fisici quantistici, secondo loro le due possibilità simulate hanno originato una superposizione di stati.

All’interno della cassa vi sono in forma potenziale  due emissari radioattivi, due rivelatori, due martelli, due flaconi di veleno e due gatti. Di fatto una funzione d’onda che contiene la superposizione degli stati e che rappresenta le due possibilità di azione contenute nella  catena di elementi: emissore radioattivo-rivelatore-martello-veleno-gatto. Ciò che afferma la quantistica è che aprendo il coperchio, e solo allora , osservando quello che è accaduto, si identifica o determina l’atto in cui detta funzione d’onda si collassa e soltanto una delle due possibilità emerge nel mondo reale.

E se noi osservassimo all’interno della cassa? In questo caso il gatto e tutto il resto si troverebbero in una specie di limbo, in un mondo quantistico indefinito ancora fuori dall’esistenza. Queste affermazioni sono in odore di magia o sembrano richiamarsi alle antiche filosofie espresse da Platone  o dal vescovo Berkeley colui che ancora nel XVII secolo assicurava che il mondo materiale non esistesse e che quello che consideravamo tale fosse unicamente la nostra percezione di esso. Ecco il pensiero di Wheeler : “un fenomeno non è un vero fenomeno fino a che non viene osservato” e ancora “l’universo in che modo riceve tracce della partecipazione dei partecipanti?”.

 

Il paradosso del gatto ammette anche altre implicazioni.

Una di queste è il caso conosciuto come “l’amico di Wigner”. Se al posto del gatto dentro la scatola si mette una persona il resto dell’esperimento non varia. Solo che quando si toglie il coperchio Wigner incontra un suo amico. Se è vivo gli domanda come si sente e allora la risposta sarà “bene”. L’amico di Wigner non ha alcuna coscienza di essere passato per questo stato duale di vivo-morto, cioè di essersi convertito in una funzione d’onda che si è collassata solo quando Wigner ha aperto la scatola . Ma se Wigner è colui che nell’osservarla fa collassare la funzione d’onda è colui che impone all’universo di decidere optando per uno dei due stati? E l’amico? Dove finisce la sua libertà di scelta se Wigner da fuori la impone?

Wigner negli anni ’60  scopri’ che è impossibile dare una definizione soddisfacente dei fenomeni atomici senza fare riferimento alla coscienza, ma non è una idea nuova. Il francese Edmond Bauer e il tedesco Fritz London avevano già scritto nel 1939: ”non è una interazione misteriosa tra l’apparecchio e l’oggetto quella che produce una nuova funzione d’onda del sistema durante la misurazione. E’ soltanto la coscienza di un io che può separarsi dalla funzione di onda anteriore e costituire, in funzione della sua osservazione, una nuova oggettività attribuendo all’oggetto una nuova funzione d’onda.”

 

 

Un’altra implicazione si evidenzia cambiando un poco l’esperimento del gatto.

L’osservatore non apre il coperchio, al suo posto una macchina fotografica registra l’evento. Lo sperimentatore prende la foto e la ripone senza guardarla e aspetta un anno. Alla fine di questo tempo estrae la fotografia e osserva quello che è successo al gatto. La tremenda conclusione della macchina quantistica è che durante questo anno il gatto è rimasto sospeso in una funzione d’onda indeterminata.

Nella catena degli eventi che vanno dalla particella radioattiva fino all’osservatore tutti gli elementi composti da atomi seguono le leggi della quantistica e contengono questa simulazione di stati. La macchina fotografica ha captato una funzione d’onda del gatto vivo-morto. Anche quando l’osservatore guarda la fotografia gli atomi dei suoi occhi fino a quelli del suo cervello obbediscono a quella legge e posseggono una funzione d’onda con entrambe le possibilità. Solo quando la coscienza dell’osservatore guardala foto la catena degli eventi ripercorre il tempo dal presente fino al passato. In questo istante e non prima, un anno dopo l’esperimento, è il momento in cui la coscienza dell’osservatore collassa la funzione d’onda, sceglie coscientemente tra i due stati e decide secondo l’impressione che si aspetta di ricevere nel futuro cioè se il gatto deve vivere o morire.

Questo ci conduce all’allucinante conclusione che ciò che stiamo facendo ora, nel presente, influisce su tutto quello che è accaduto nel passato. Nella fisica quantistica l’essere coscienti ha una parte differente da quella che riveste un apparecchio di misurazione inanimato.

 

Wheleer  nel 1979 durante la commemorazione del centenario di Einstein affermò: “quello che chiamiamo mondo reale, per esistere deve sperare di avere esseri coscienti che lo possano osservare.”. Egli vuole affermare che per ottenere una esistenza reale l’universo doveva attendere che noi facessimo atto  di presenza e fino a che questo non accadde si vide obbligato a rimanere in questo stato di esistenza non esistenza , cosicché soltanto quando siamo giunti a dedurre che l’universo ebbe inizio, il famoso big bang è divenuto reale.

Che cosa significa questo? Il mondo è in un modo o nell’altro perché siamo noi a dire a noi stessi che questa è la sua forma diceva Don Juan al suo discepolo Carlos Castaneda. Se smettiamo di dire che il mondo è così il mondo smette di essere così e nella meditazione vedica si afferma: “ tutti i corpi sono miei, io sono l’universo, tutto questo è mio. Non può esservi alcuna differenza, io sono quello, io sono quello, io sono quello”.

 

 

Le frecce del tempo

 

Tutti questi apparenti paradossi contengono l’affermazione che il tempo non è quello che ci sembra . Se una scelta che io opero in questo momento può riflettersi in qualche cosa che accadde uno o due anni fa è il passato quello che condiziona il futuro o il contrario? Perché abbiamo la sensazione che il tempo sia come una corrente che scorre in una sola direzione, dal passato verso il futuro, quel divenire di Eraclito, quel fiume nel quale non possiamo bagnarci due volte perché le sue acque sono sempre differenti?

Gli scienziati sostengono che esistono le cosiddette frecce del tempo, una è quella psicologica e l’altra è la freccia termodinamica. Nell’universo conosciuto anche l’energia fluisce solo in una direzione passando da una forma all’altra per essere alla fine convertita in calore. L’acqua fluisce dai luoghi più alti a quelli più bassi, mai in senso contrario, il calore va sempre dal corpo più caldo a quello più freddo . L’universo intero si raffredda. Soltanto la vita si impegna nel creare ordine.

Gli elementi chimici disordinati in natura si raggruppano in strutture più ordinate e complesse, cellule, batteri, vegetali, animali, esseri umani e per finire c’è la freccia cosmologica. L’universo che nacque da un punto si espande senza fermarsi.

Forse però tutto è semplice illusione.

Se ciò che afferma la quantistica è sicuro, noi abbiamo creato quelle condizioni e il trascorrere del tempo nel senso che conosciamo, dal passato al futuro, sarebbe solo un’illusione per i nostri sensi.

Per una particella il passare del tempo non esiste. John Wheeler giunse ad immaginare l’universo come una complessa trama di elettroni connessi da interazioni che oscillano indietro e avanti nel tempo. Tutti questi enunciati ci portano su un terreno scivoloso: la magia.

Si può indovinare il futuro?

Ma la domanda è stata forse malposta. Se il tempo potesse scorrere all’indietro non avrei bisogno di immaginare il futuro. Devo solo ricordarlo perché ormai è già avvenuto. Ma allora esiste la magia? Se molti fra gli scienziati rifiutano argomenti come la correlazione con i fenomeni paranormali, non significa che non lascino volare la fantasia verso universi che a volte solo uno scrittore di magia o di fantascienza oserebbe ipotizzare.

 

 

Ancora a proposito del gatto di Schroedinger

 

Tornando per esempio ancora una volta al gatto di Schroedinger, le interpretazioni presupponevano che l’osservazione collassasse la funzione d’onda e che il gatto uscisse dalla scatola vivo o morto.

Nel 1957 il fisico Hugh Everett insieme a Neill Graham e Bryce De  Witt completò un lavoro matematico nel quale si prospettava un’altra possibilità ancora più inconcepibile.

Togliamo il coperchio alla scatola, la funzione d’onda collassa e un gatto vivo per esempio si affaccia sul mondo reale. Ma che cosa è accaduto al gatto morto? E’ sparito?

No, sta in un’altra dimensione in un altro universo distinto dal nostro. Quando una funzione d’onda collassa, l’universo si divide in due rami, in due universi paralleli. In uno c’è un osservatore che contempla il gatto vivo, nell’altro lo stesso (?) osservatore sta guardando un gatto morto (?). Ciascuno dei due soggetti non sa dell’esistenza dell’altro, però sono convinti che il loro universo sia quello reale. E ancora, ogni volta che uno dei due osservatori effettua una osservazione collasserà una nuova funzione d’onda e i suoi universi andranno a suddividersi in altri due rami.

Seguendo questa linea di pensiero finiranno per esistere una infinità di universi nei quali tutte le possibilità si realizzano, dove ci sono innumerevoli copie di tutti noi, ciascuna ignara dell’esistenza di tutte le altre e senza possibilità di comunicare tra loro.

 

 

Questo mondo della quantistica è uno strano mondo, strano come quello suggerito dalla relatività. Sembra non sia stato mai possibile dimostrare la loro falsità, quali che fossero le prove sottoposte, eppure sono incompatibili fra loro.

Oggi, il genio luminoso chiamato Hawking è impegnato in un titanico lavoro: armonizzare queste due concezioni dell’universo cioè la fisica relativistica e la meccanica quantistica .

 

Anche nella sfera personale, più penetriamo nell’universo della psicologia e dello sviluppo spirituale, più scopriamo che le vecchie concezioni alternative spariscono lasciando spazio alle nuove della complementarità. Non siamo più buoni o cattivi: agiamo responsabilmente. Ogni male non è l’opposto del bene ma una forza di resistenza. Tutto è composto della stessa energia, sia bianca che nera, sia maschile che femminile. Il nostro vecchio mondo di oggetti materiali con le sue leggi deterministiche della natura è dissolto e lascia il posto ad un universo di  interconnessioni. Una rete dinamica di sistemi energetici inseparabili come un intero dinamico e non smembrabile che include sempre l’osservatore.

In questo modo non possiamo più concepire l’idea di parte ed anche noi non siamo parti separate di un intero ma siamo intero.

 

 

L’ologramma

 

Nel 1971 Dennis Gabor ricevette il premio Nobel per la costruzione del primo ologramma. Egli dimostrò con un esperimento che ogni parte di foto di un oggetto, qualora posta sotto un raggio laser, emerge ricostruita in modo tridimensionale (un centimetro della nostra pelle rappresenta noi come un ritratto-ologramma). Esperimenti fatti nel campo della medicina (dott. Karl Pribram) sembra dimostrino che il cervello struttura la vista, l’udito ecc. in maniera olografica.

 

Il fisico David Bhom, vecchio amico di Krisnamurti e acceso sostenitore delle filosofie orientali, afferma nel suo libro “The implicate order” che esiste uno stato non manifesto (ordine non svolto) che è il fondamento su cui si regge tutta la realtà manifesta (ordine svolto). Bohm dichiara che la visione olografica dell’universo è un trampolino di lancio per incominciare a comprendere gli ordini “implicato non svolto” ed “esplicato svolto”. Una nuova nozione di interezza in cui le parti sono considerate in stretta connessione tra loro ed il loro rapporto dipende dallo stato dell’intero sistema. Ciò significa una volta in più che quello che sta in alto è come quello che sta in basso.

Bhom illustra graficamente la sua teoria immaginando un acquario nel quale nuota un pesce. Una telecamera riprende l’animale lateralmente, un’altra lo mostra frontalmente. Ciascuna telecamera proietta la propria immagine su due schermi. Ognuna di quelle è il pesce ma in senso stretto nessuna lo è. Sono soltanto proiezioni bidimensionali di una realtà che esiste invece in una realtà tridimensionale. Lo stesso accade con la nostra percezione del mondo. Nell’ordine spiegato vediamo oggetti che ci appaiono distinti ma sono illusioni, sono parte di una totalità che integra una dimensione superiore. Il paradigma di Bohm si concretizza nell’ologramma; quando concentriamo la nostra attenzione su un frammento del mondo stiamo osservando tutto da una prospettiva determinata cosi’ come possiamo guardare la totalità “pesce” da una prospettiva laterale o frontale.

 

La teoria della relatività di Einstein stabiliva che è impossibile per una particella viaggiare ad una velocità superiore a quella della luce.

Nel 1964 il fisico J.S.Bell pubblicò le prove del suo teorema secondo il quale le particelle subatomiche sono connesse fra loro in modo che trascende lo spazio e il tempo così che qualsiasi cosa avvenga a una particella influisce sulle altre con effetto immediato senza bisogno di tempo per essere trasmesso.

Da ciò nasce spontaneo un interrogativo: due particelle che qualche volta sono state unite conservano una specie di unione invisibile tramite la quale possono trasmettersi informazioni istantanee, compreso il caso in cui si trovino separate da milioni di chilometri di distanza? Se ricordiamo la teoria del big beng tutta la materia e l’energia che compongono l’universo della quale noi stessi facciamo parte erano concentrate in un punto in una singolarità. Allora forse tutto è unito da questo misterioso vincolo immateriale e istantaneo. E’ dunque logico che siano stati fatti parallelismi tra fisica quantistica e filosofia orientale: “entrando nel samadhi di purezza”, assicura un antico testo indù, si ottiene l’intuizione rivelatrice del tutto che permette di giungere alla coscienza dell’unità assoluta dell’universo.

Gli effetti di cui parla Bell superano la velocità della luce: si cerca di andare oltre il dualismo onda/particella. Se i fisici scopriranno come funzionano queste interconnessioni istantanee tutto ciò rivoluzionerà il nostro modo di comunicare e di interagire. Potremmo forse comprendere come i nostri pensieri e sentimenti (campi energetici) influiscono sulla realtà assai più di quanto immaginiamo oggi.

 

 

I tachioni

“Se l’uomo riuscirà a comprendere tutto sui tachioni, l’universo diventerà piccolissimo” (Prof.Recami). Queste sostanze superluminali sembrano essere l’immagine speculare degli oggetti soliti che si trovano però al di là della barriera della luce (spazio/tempo negativo).

Il Prof. Recami, che ha diretto ad Erice il congresso mondiale sui tachioni, dice in un sua intervista che per ogni tipo di oggetto che sta al di qua della barriera noi supponiamo che ci sia un tipo di oggetto al di là della barriera, ciò secondo me, aggiunge, lo predice la teoria della relatività che abbiamo ampliato e chiamata “relatività estesa”.

Rispondendo ad una domanda sulla velocità infinita ha infine fatto questo esempio:   “ Immaginiamo una giornata di sole e i raggi che illuminano una persona la quale riflette questa luce….. l’immagine del suo viso è partita dal suo viso ed ha cominciato a viaggiare alla velocità della luce…. la nostra immagine di quando eravamo bambini è partita 20 o 40 anni fa e viaggia verso l’universo a velocità della luce. Noi andando più veloci della luce e superando questa onda sferica, voltandoci indietro dovremmo vedere noi stessi bambini. Quindi in un certo senso viaggiando a velocità tachionica potremmo vedere indietro nel tempo….”.

 

La dott.ssa Brennan che fu ricercatrice per la NASA presso il Goddard Space Flight Center oggi psicoterapeuta fa una curiosa affermazione: “siamo troppo inclini a considerare le nostre vite precedenti letteralmente come vite fisiche che si sono svolte nel passato in un ambiente fisico come quello in cui ci troviamo oggi. Le nostre vite passate potrebbero aver luogo ora in un diverso continuum spazio-temporale. Raramente parliamo di come le nostre vite future influiscono su quella che stiamo vivendo ora e qui”.

 

Allontaniamoci un attimo dalla strada della fisica per imboccare una deviazione che ci conduce agli esseri viventi. Gli scienziati sono affascinati dalla misteriosa capacità della materia viva di organizzarsi.           Dopo che un uovo è stato fecondato, nel giro di poco tempo le cellule che erano tutte uguali incominciano a dividersi e a specializzarsi. Alcune diventano polmonari, altre cerebrali ecc. Come fanno a sapere in che cosa devono convertirsi? Perché se togliamo un braccio ad una stella di mare, il frammento poi diventa un animale completo? Come può la struttura dell’iride rigenerare il cristallino estratto chirurgicamente? Il biologo Sheldrake condivide come Bohm l’idea dell’universo olografico in cui ogni parte contiene informazioni del tutto.

Sheldrake ha suggerito l’esistenza di due campi morfogenetici che sarebbero in grado di generare l’informazione che costruisce la struttura biologica ma anche il comportamento. Il più noto degli esempi è quello relativo alle scimmie nell’isola giapponese di Koshima. Gli studiosi avevano incominciato ad alimentarle con patate che scaricavano sulla spiaggia. In principio le scimmie impiegavano molto tempo a levare la sabbia attaccata finché una scimmia si rese conto di quanto fosse più semplice lavarle nelle acque del mare. Improvvisamente una mattina tutte le scimmie della colonia incominciarono a fare la stessa cosa. Non solo quelle. Anche altre che vivevano su isole lontane e sul continente.

 

 

Ordine o disordine?

 

Le ipotesi di Bohm e Sheldrake ci accompagnano verso ad un’altra interessante idea: la teoria dei FRATTALI, un ramo della nuova scienza del Caos. Questa disciplina sta incominciando ad essere applicata su terreni tanto diversi come la fisica, la biologia, l’astronomia, l’economia, la meteorologia ecc. Di ciò Wheeler ebbe a dire: ”nel futuro chi non padroneggia la teoria dei frattali, potrà essere considerato un analfabeta dal punto di vista scientifico”.

Si tratta di un nuovo apporto alla visione olistica dell’universo: lo studio dei processi apparentemente caotici che si verificano costantemente nel mondo intorno a noi. Con parole del matematico Douglas Hofstader “succede che misteriose forme di caos si trovino in agguato dietro una facciata di ordine e che tuttavia, nel caos più profondo alberghi un genere di ordine ancora più misterioso”.

Un matematico di nome Mandelbrot che lavorava in un centro di ricerche dell’IBM doveva tenere una conferenza sulla distribuzione delle rendite. Arrivato in aula notò che sulla lavagna qualcuno aveva disegnato un suo grafico. Mandelbrot ebbe un moto d’ira davanti a ciò che sembrava plagio. Ma non era così. Un altro conferenziere aveva disegnato la curva dell’oscillazione dei prezzi del cotone durante un certo periodo di tempo. Non era un caso. Mandelbrot cercò di indagare questa apparente casualità e sottoponendo i dati al computer si accorse di alcune leggi.

Le variazioni su piccola scala si ripetevano su grande scala. La natura non sembra abbondare di norme, così quando ampliamo o riduciamo la scala di osservazione incontriamo forme simili. Il ramo di una felce è come una piccola felce, così un albero o un nostro albero bronchiale o il contorno di una costa piena di rientranze, di cui un frammento di alcuni metri può sembrare quello grandissimo vista dall’aereo. Il grande ripete il piccolo o viceversa. Le ripetizioni su diverse scale di tempo diventano così ovvie tanto per i prezzi del cotone come per la genesi dei terremoti.

Mandelbrot capisce ora come la ridotta informazione contenuta in un piccolo gene che si trova all’interno di un seme o di uno spermatozoo, possa produrre esseri viventi di incredibile complessità.

Naturalmente lì dentro non è contenuta tutta l’informazione; c’è solo lo stretto necessario per generare un processo frattale. Contiene una piccola quantità di informazione un’iniziatore e un sistemageneratore che, a forza di ripetere il processo su scale diverse, finisce per dar vita ad un’apparente complessità. Per questo, forse, un feto umano alla fine della gravidanza riassume tutta la storia evolutiva degli esseri viventi. E’ come se la Natura fosse scarsa di norme. Lo stesso è accaduto per la storia della materia.

Il percorso in questo caso è stato quello di raggrupparsi in insiemi sempre più complessi: elementi chimici, molecole inorganiche, molecole organiche, cellule viventi, batteri, vegetali, animali e uomini.

Dall’evoluzione Darwiniana, basata su piccoli scambi genetici avvenuti per caso, avrebbe potuto derivare un processo frattale.

Dice Mandelbrot: “si possono ottenere forme frattali di grande complessità semplicemente ripetendo una trasformazione geometrica e piccoli scambi all’interno di questa trasformazione provocano cambiamenti globali. Ciò implica che una piccola quantità di informazione genetica sia in grado di generare forme complesse ed anche che piccoli scambi genetici possano portare a cambiamenti sostanziali nella forma”.

Soltanto così è comprensibile che una minima differenza genetica (appena dell’1%) come quella che ci distingue dallo scimpanzè, abbia generato esseri così diversi.

Ordine e caos, l’universo intero si agita e palpita colmo di innumerevoli travasi di informazione. E’ necessario però che vi sia energia in abbondanza. Prigogine un altro genio contemporaneo, afferma che la vita è originata da strutture dissipate.

 

 

Entropia creatrice

 

Il punto centrale sul quale Prigogine ha focalizzato i suoi studi è l’evoluzione dell’entropia, il processo (freccia entropica) mediante il quale l’universo sembrerebbe tendere al logorio, al disordine, all’esaurimento energetico. La scienza ha sempre considerato questo processo come disastroso e lo scenario finale della sequenza termodinamica è stato chiamato “la morte per calore dell’universo”. Le “strutture dissipate” chiamate così da Prigogine sono caratterizzate da un flusso energetico che è sempre nella direzione da maggiore a minore. La benzina si converte in energia meccanica e calore. Nessun processo conosciuto potrà ritrasformare l’energia meccanica e il calore in benzina liquida. Così per il degrado del mondo materiale.

Col frigorifero possiamo creare il freddo a condizione che venga impiegato una certa quantità di calore. L’ordine implica sempre l’applicazione di maggiore energia. Questo è ciò che la natura sta facendo da milioni di anni ed ha finito per confluire nel punto di massimo ordine: gli esseri umani. E noi ripetiamo questa legge naturale imponendo sempre maggior organizzazione. Da qui la nostra eterna lotta per ordinare la natura con sempre maggiori consumi di energia. Per Prigogine solo le strutture dissipate che si muovono nell’irreversibile direzione dell’aumento dell’entropia sono creative. Solo quelle creano il movimento, la vita e l’organizzazione. In misura tanto più grande quanto più lontano si trova il punto di equilibrio.

Nel mondo fisico l’equilibrio è desiderabile, ma in un sistema vitale, l’equilibrio è morte. Quando la temperatura di un corpo caldo si eguaglia a quello di un corpo freddo, cessa ogni movimento. Lo stesso accade quando l’acqua cade da un’altura verso il piano. C’è energia, ma non esistono differenze, non esiste flusso energetico che si trasmetta da un sistema ad un altro. Questo travaso è la vita. Prigogine si chiede in che modo questo caos possa dar vita a strutture ordinate come gli esseri viventi.

Le strutture dissipate hanno anche un’altra interessante proprietà: si auto-organizzano. Le strutture che si auto-organizzano secondo Prigogine sorgono ovunque: nel traffico automobilistico, nello sviluppo urbano delle città, nell’evoluzione politica, nel movimento delle galassie e infine nell’intera dinamica dell’universo. L’incognita sta nel verificare quale comunicazione si stabilisca tra i membri isolati di queste comunità auto-organizzate, siano essi uomini, formiche o nuclei galattici.

 

 

Fisiologia

 

Nella fisica e nella chimica vediamo che un complesso di fenomeni che si svolgono nel tempo e nello spazio sono provocati da una causa. Se invece sentiamo battere il cuore pensiamo che esso compia la sua funzione motrice della circolazione e con ciò abbiamo fatto un passaggio anzi un salto senza passaggio. Infatti prima si ammetteva che un fenomeno era prodotto da una causa che per essere tale doveva venire prima dell’effetto.

Quando parliamo di funzione ammettiamo che il fenomeno avviene per una finalità che dà giustificazione al fenomeno stesso. In altre parole la funzione è una specie di causa che invece che venire prima del fenomeno viene dopo. Così l’occhio si forma in quel determinato modo per poter vedere ecc. Le cause che hanno determinato la formazione dell’occhio non avrebbero senso cioè non sarebbero cause se non fossero coordinate dalla finalità di costruire un organo che possa vedere. La scienza non studia il perché ma il come, perciò la fisiologia parte da un punto di mezzo che è la funzione e costituisce lo studio del come avviene la funzione degli organi.

Sembra semplice,  ma se ci chiediamo che cos’è un organo dobbiamo rispondere che è qualche cosa che compie una funzione, quindi la funzione determina l’organo. Il paradosso deve essere messo bene in chiaro in sede di cultura generale onde poter legare le diverse vie della conoscenza in un’unità armonica. Esaminato il concetto di organo è opportuno risalire al concetto di organismo.

L’organismo viene pensato come un superorgano che ha la funzione di vivere. Infatti un organo è tale solo se lo si riferisce ad un organismo già esistente. Che senso avrebbe un occhio se non si presupponesse che esista un organismo di cui esso fa parte?

Incontriamo così il grande principio che tutto preesiste alle parti e che queste acquistano la loro qualità di parte (organi) in quanto già esiste la totalità. Ciò dimostra come la scienza sia un mezzo pratico per sistemare le nostre esigenze razionali ma non per conoscere la realtà.

Superficialmente potremmo dire che la realtà allora è solo un fatto soggettivo (solipsismo). Come arriviamo allora alla realtà obbiettiva (indipendente da noi). Se tocchiamo un oggetto siamo certi che esiste in sé, ma è una certezza soggettiva e se vogliamo renderla obbiettiva ne chiediamo agli altri la conferma e se non c’è pensiamo ad una illusione dei nostri sensi.

Riflettendo su queste conclusioni, rileviamo come non siamo razionali. Infatti, chiedendo agli altri la conferma, concludiamo che l’oggetto esiste obbiettivamente ma anche che gli altri uomini sono fatti allo stesso modo cioè con le nostre stesse percezioni.

Il problema è mal posto perché diventa basato sull’esperienza altrui. La realtà esiste in quanto la nostra mente fa parte di una mente umana ed è questa che determina l’obiettività del mondo.

In genere si crede che le sensazioni riproducono dentro di noi l’immagine di cose che esistono all’esterno e che noi veniamo a conoscere attraverso i sensi.

La nostra sensazione non è che una rappresentazione simbolica di un quid che noi pensiamo esista all’esterno di noi (esempio il suono).

Il suono è vibrazione di molecole d’aria cioè movimento e non suono. Questa vibrazione produce vellicamento sui nervi delle orecchie così che noi avvertiamo una specie di solletico chiamato suono ma non per questo le vibrazioni dell’aria sono in se stesse solletico così se una persona ci fa il solletico non pensiamo che le sue dita contengono del solletico che ci viene trasmesso per contatto.

Così sono i colori (sensazioni).

Nel nostro occhio entrano i fotoni che non hanno nessun colore ma che secondo la loro frequenza vibratoria ci danno la sensazione del colore che non esiste dall’esterno ma come attività del nostro cervello in risposta ad uno stimolo.

Così il sapore.

Tutte le nostre sensazioni non sono che reazioni particolari dei nostri organi di senso che il cervello traduce in sensazioni.

Il cervello non si limita a creare questi simboli ma li riunisce, licataloga, li collega e ne ricava l’idea della cosa. Per queste semplici considerazioni noi dobbiamo concludere che gli oggetti che noi crediamo siano nel mondo esterno sono invece idee della nostra mente.

L’obbiezione comune è che ci possono essere delle prove scientifiche che ci dimostrano il contrario per esempio la fotografia di un oggetto. Questa obbiezione comune è comunque ingenua. Infatti noi abbiamo inventato la fotografia quando abbiamo trovato un processo che riproduceva su carta la rappresentazione di ciò che i nostri sensi percepivano altrimenti non sarebbe più fotografia.

Tutti gli strumenti e processi scientifici devono essere tali da darci delle sensazioni cioè qualche cosa che sia percepibile dai nostri sensi. Se avessimo dei sensi elettrici le nostre sensazioni sarebbero diverse ed inventeremmo degli strumenti che riproducessero le stesse trasformazioni simboliche dei nostri sensi. Concludendo con Whitchead ne “La scienza e il mondo moderno”: “così la natura viene accreditata di ciò che non sarebbe dovuto che a noi stessi : il profumo della rosa, la luce del sole, la natura non è che una cosa monotona priva di suono, di profumo, di colore, non  è che il succedersi senza fine e senza significato della materia”

 

 

 

Non solo Buddismo

 

Ciò che si avvicina di più alla fisica moderna è la dottrina del Buddha che si fonda sulla constatazione che unica causa del dolore umano è la manifestazione e che solo attraverso la non manifestazione è possibile la conoscenza della causa del dolore e la via dell’annientamento di esso.

Il mondo manifesto è pura rappresentazione, illusione dovuta alla conoscenza umana limitata dal presupposto razionale di tempo - spazio. La vera realtà va ricercata fuori dal concetto di tempo e di spazio, fuori dal nostro limitato mondo tridimensionale (impermanenza o particelle al di qua della barriera della luce).

Unica realtà è la Coscienza (permanenza o particelle al di la della barriera della luce) e tutto ciò che esiste, esiste per un fatto di Coscienza che lo crea (fenomenologia).

Il dolore umano nasce dal fatto che l’uomo, anziché considerare il mondo manifesto come illusione e sentire se stesso come Coscienza, considera se stesso alla stregua del mondo manifesto cui è intimamente connesso il dolore. Solo quando l’uomo arriva a conoscere se stesso come Coscienza cioè come totalità proiettata nel mondo, ma da questo distaccata, solo allora ha la liberazione dal dolore. Riscoprirsi come esseri nella totalità, come esseri esistenti fuori dal mondo fenomenico limitato dal tempo e dallo spazio (nella quarta dimensione).

Questo è il significato profondo della dottrina del Buddha: dottrina che va intesa come scoperta non solo mentale  ma intuitiva.

Posto al Buddha il problema dell’Assoluto e di ciò che esiste oltre la morte egli rispose: “con la tua mente non potrai mai arrivare a comprendere la trascendenza; la mente è limitata”.

L’essenza della predicazione del Buddha trova in qualche modo riscontro nel pensiero occidentale, da Platone fino alla scienza moderna che confermano come l’universo non sia altro che la proiezione della coscienza umana.

L’universo è maya (illusione) ripete la voce dell’India e Buddha affermando “neti…neti…” applicava la sua tecnica di ricerca sperimentale della verità escludendo man mano ciò che l’uomo non è, per giungere all’essenza umana. Di qui la voluttà della disintegrazione del proprio essere per staccarsi dalla realtà fenomenica.          Ma a distacco avvenuto si apre la ricerca della capacità di diventare creatore: dissolta la creatura, nasce il creatore.

Affermazione e conferma dell’eterna verità biblica: “Iddio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza”.

 

Giuliana Conforto, in uno dei suoi libri “Il gioco cosmico dell’uomo” racconta: “…le particelle sono buchi neri microscopici cioè raggi di luce raggomitolati su se stessi che nascondono canali di comunicazione vitale tra il Computer Cosmico Centrale ed il terminale cioè l’universo osservato. Se così è i rilevatori siamo noi soggetti coscienti…..Più che una tesi questo può considerarsi un principio; un principio femminile perché riguarda la natura della sostanza madre che compone il tutto…. Secondi i papiri dell’antico Egitto c’è un sostanza che compone gli universi chiamata Nun. La sostanza è informazione. Tutto è informazione. Materia e pensiero, due stati diversi della stessa sostanza. Lo spazio delle informazioni o cyberspazio fatto da idee, immagini, forme e pensieri come canali di una rete telematica dove tutto l’universo osservato è un insieme di terminali, dalla particella elementare all’uomo terminale intelligente ed in potenza cosciente.

Dal principio femminile discende una visione unitaria. Dalla madre materia (particelle) nasce il Campo Vitale, il Figlio. Il Campo Vitale ricompone i dualismi.

Le emozioni emergono come forze cosmiche centrali e determinanti….Soma e psiche appaiono come due tracce della stessa causa, della vita o campo vitale…. Il vero paradosso è il senso comune che giudica e vieta di comprendere l’unità”.

 

 

Non esiste luogo, in questo nuovo genere di vita fisica sia per il campo, sia per la materia poiché il campo è la sola realtà” (Einstein).

 

 

Conclusioni

 

Come è già stato accennato, i dati che i nostri sensi ci portano, e che noi chiamiamo realtà, non sono che la reazione della nostra mente agli stimoli che ci provengono dal mondo esterno. Quindi tale presunta realtà è soggettiva e la sua obiettività sta solo nel fatto che la maggior parte degli uomini reagisce agli stimoli in un modo, se no identico, almeno molto simile.

Ne consegue che la mente non può sapere quale realtà esiste (e se esiste) dietro queste sue reazioni e perciò le nostre percezioni sono la trascrizione, in forme a noi intelliggibili, del Mistero dell’Universo.

Esse hanno quindi il carattere di veri simboli.La gente comune prende per realtà il simbolo e da ciò risulta che non possiamo dire che quella che chiamiamo realtà sia illusione, ma che è illusoria la forma con cui la gente comune considera la realtà. Nello stesso modo uno potrebbe illudersi di conoscere e di possedere il mondo perché possiede …un mappamondo.

Osserviamo ancora che ciò che noi chiamiamo realtà non è solo costituita dai dati dei sensi, ma dalla elaborazione che la mente fa con questi dati mettendoli in rapporto fra loro. E’ facile rilevare che tutti i sostantivi non sono che raggruppamenti di sensazioni diverse, che gli aggettivi non sono che giudizi cioè comparazioni fra le diverse cose. Più la mente è capace di simili operazioni, più la consideriamo sviluppata e ne è prova un linguaggio più ricco e più preciso. Ma la coscienza non ha solo a disposizione la mente per stabilire i rapporti fra sé e l’Universo.

Morale, estetica, mistica sono alcune fra le molte possibilità. La coscienza investe l’oggetto con tutte le sue possibilità e quindi questo apparirà tanto più ricco, tanto più la coscienza sarà sviluppata.

Un artistico vaso cinese apparirà per alcuni una cosa curiosa, mentre per altri rivelerà un mondo culturale ed estetico, eppure ,ambedue vedono materialmente lo stesso vaso.

Su qualunque aspetto della vita noi portiamo la nostra attenzione esso diventa un simbolo. Le parole scritte sono simboli grafici delle parole suono, che pure sono simboli dei concetti, che a loro volta sono simboli del pensiero, che infine è simbolo della Coscienza totale.

Il simbolo è la realtà percepita in un piano superiore che viene adeguata a coscienze che si trovano in piani inferiori. C’è una intima corrispondenza fra il simbolo (rappresentazione) e la realtà da cui esso emana. Una carta topografica è la proiezione in scala ridotta su di un piano di una regione a tre dimensioni.           Analogamente come si è osservato parlando della ragione, l’immagine di un uomo è la proiezione del suo corpo su uno specchio. Pensando a noi stessi però ne facciamo un’immagine molto più complessa di quella che lo specchio riflette, poiché non è solo visiva, ma rappresentativa di tutto quel complesso che chiamiamo noi stessi. Studiare noi stessi significa quindi approfondire la conoscenza dell’immagine di quello che veramente siamo.

Questa più profonda conoscenza ci rivela che la nostra persona, che credevamo fosse tutta la nostra realtà, è simile alla maschera che nelle tragedie antiche gli attori mettevano sul volto per simboleggiare un determinato carattere , facendo risuonare la voce attraverso di essa. Ci accorgiamo che la nostra personalità è il simbolo di noi stessi, mentre noi siamo …il Mistero.

Se ricordiamo che possiamo conoscere l’universo per quel tanto di corrispondenza che siamo capaci di stabilire fra esso e la nostra Coscienza, concluderemo che noi conosciamo l’universo per quel tanto che esso si riflette in noi. PERCIO’ QUELLO CHE NOI CHIAMIAMO UNIVERSO E’ SEMPLICEMENTE LA PROIEZIONE SIMBOLICA DELLA REALTA’ DELL’UNIVERSO. (Così in alto come in basso).

L’immagine è un microcosmo, in quanto riproduce in sé tutto il cosmo. Da ogni forma noi potremmo risalire fino  ….. al Mistero e ciò può avvenire solo per mezzo dello sviluppo della nostra Coscienza  poiché sviluppo di Coscienza e penetrazione del Mistero sono termini inscindibili al punto tale che potremmo pensare che nel momento in cui la nostra Coscienza raggiungesse il suo totale sviluppo, noi saremmo giunti alla conoscenza assoluta  cioè saremmo identificati con l’Assoluto stesso.

Ma allora il Mistero cesserebbe di esistere  e con esso la Coscienza in quanto essa esiste come l’altro polo del Mistero. Con la fusione dei due poli l’universo verrebbe dissolto; svanirebbe cioè il simbolo perché noi conosceremmo la REALTA’.Soltanto perché la mente non può contenere la totalità della Coscienza noi siamo costretti a scindere la conoscenza in tempo e spazio e quindi a dover percepire le forme in quanto occupano uno spazio e i fenomeni in quanto si svolgono nel tempo costruendo così quell’immagine mentale (simbolo) che noi chiamiamo la Realtà……

Tutto l’universo squaderna dinanzi ad ogni Coscienza tutta la Realtà e tutta la Verità possibili, ma essa non può far altro che ridurla al grado del proprio sviluppo e quindi ogni Coscienza degrada al proprio livello il valore di una realtà-simbolo più elevata.

 

Come un funambolo l’uomo vive su questo abisso, spesso confondendo la realtà con l’illusione e se mi chiedo per davvero se potrà mai comprenderlo questo mistero credo di poter rispondere come mi risponderebbe colui che io considero essere stato il mio maestro (Castellani).

Forse con la mente no, nemmeno con la scienza che è il prodotto del processo razionale della mente. Dalla caverna di Platone, in cui la realtà fenomenica è paragonata alle ombre proiettate dalla vera Realtà sul piano dei fenomeni, fino alla teoria della relatività, è un susseguirsi di intuizioni di questo Mistero trascendente da cui per atto di Coscienza sorge la manifestazione.

Se il mondo è, invece che a tre, a quattro dimensioni, tutti gli oggetti tridimensionali non sono che la proiezione della loro realtà a quattro dimensioni come le ombre a due dimensioni sono la proiezione della loro realtà a tre dimensioni.           Perciò l’uomo terrestre non sarebbe che la proiezione sul piano tridimensionale della sua realtà che esiste fuori dal tempo-spazio in un mondo a quattro dimensioni. Si ripete in termini moderni il mito della caverna di Platone. L’imperativo “conosci te stesso” implica la conoscenza di tutto l’universo nella sua vera realtà pluridimensionale e questa conoscenza non possiamo acquisirla che per mezzo di quello che siamo realmente, Coscienze non limitate dalla fenomenologia spazio-temporale.

L’apparente limitazione nel corpo non è una limitazione della Coscienza, ma è la sua proiezione nel mondo tridimensionale come l’ombra non è la limitazione del corpo, ma è la sua proiezione in un mondo di dimensioni più limitate. Non si tratta più di voler capire, perché capire equivale a limitare la realtà della Coscienza entro i limiti della mente. Si tratta di diventare sempre più se stessi. Quale conclusione si può trarre?

 

Una conclusione forse semplice: che Dio, la realtà, la vita, noi stessi, non siamo un dato obbiettivo, ma il significato che noi diamo a questi Miti.

In altre parole la Realtà è il Mistero sul quale proiettiamo un mondo di forme che crediamo, come gli schiavi della caverna, siano delle realtà mentre scopriamo essere delle proiezioni sullo schermo temporale dello sviluppo della nostra Coscienza.

Forse altro non siamo che questo sviluppo. (… “e il naufragar m’è dolce in questo

mare”).

 

Gaetano Conforto

http://www.quantumedicine.com/article/nuovofile246.html

 

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