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La mente modifica la materia

Qualche anno fa ci siamo imbattuti in uno studio rivoluzionario nato all’Università di Princeton, che ormai in molti conoscono. Lo studio in sé si presentava come qualcosa di straordinario: l’indagine dell’interazione tra mente e materia e la scoperta dell’anomalia del pensiero, ovvero della sua capacità di modificare il campo di informazioni “materiali”, per così dire, grazie alla sola modulazione dell’intenzione. Vediamo di cosa si tratta.

Ciò che non riusciamo a far rientrare nei canoni che utilizziamo per dare una spiegazione agli eventi, lo definiamo anomalo. Ciò che sfora dalle regole pre-imposte o dalle leggi fisiche conosciute è anomalo, la meccanica quantistica e le sue conseguenze sono fatti anomali, proprio perchè ancora non hanno trovato spiegazioni secondo il metro interpretativo classico a cui siamo tanto affezionati.

Quando la nostra mente non riesce a reificare, classificare e poi assimilare, ci troviamo di fronte all’anomalia, alla stranezza. Il peso che questi fatti portano con sé è spesso imbarazzante, perché portano a dover tollerare la presenza di qualcosa di estraneo ai nostri schemi, di qualcosa di sconosciuto e che non si piega alla tendenza di voler capire a tutti i costi (anche a rischio di banalizzare il fatto in questione).

Per questo molte volte questi fatti vengono volutamente ignorati, scartati dalla sfera scientifica e personale: il bagaglio di presupposti ignoti con cui si accompagnano, rischiano di mettere seriamente in discussione le nostre certezze ed abitudini di pensiero, e magari a ventilare l’idea che qualcosa vada cambiato…

Eppure, presto o tardi, ciò che non vuole essere affrontato emerge, con forza sempre più dirompente e in forme che non avremmo mai potuto prevedere. Come nel proprio intimo l’inconscio non ha alcuna intenzione di essere soffocato a vita, la stessa cosa pare che accada nella scienza. Uno dei più grossi sintomi emersi dalla rimozione di alcuni fatti, è il progetto PEAR (Princeton Engineering Anomalies Research – Ricerca Ingegneristica di Princeton sulle Anomalie).

Il programma del Pear, che verrà qui introdotto, è nato nel 1979 ad opera di Robert Jahn, Professore di Fisica Applicata alla Facoltà di Ingegneria e poi Preside all’Università di Princeton. Il suo intento era quello di offrire uno studio scientifico sul ruolo della coscienza umana nell’andamento di alcuni dispositivi ingegneristici.

Per intenderci, lo scopo è stato quello di approfondire più da vicino la questione dell’influenza dell’osservatore nei fatti osservati, vale a dire quanto la coscienza umana intervenga nella realtà circostante. In questo caso, su macchine appositamente costruite per l’esperimento.

Con un metodo scientifico rigoroso, venne analizzato l’effetto della volontà sul comportamento di vari apparecchi ottici, acustici, meccanici ed elettrici, denominati REG, Random Event Generators (generatori di eventi casuali).

Questi REG altro non erano che dispositivi ingegneristici che producono eventi di tipo binario in maniera casuale (0,1,1,0,1,0,0,1.. ) sfruttando una piccolissima onda di elettroni liberi in una giunzione tra semiconduttori. Si tratta del corrispettivo logico di una serie di lanci di moneta, di cui non si può prevedere quando uscirà testa o croce, ma in linea di principio l’andamento: il 50% delle volte uscirà testa e l’altro 50% croce.

Questa interazione fisica tra le particelle microscopiche provvedeva al fatto che la macchina emettesse dunque una serie alternata di impulsi negativi e positivi, particolarmente appropriati per il calcolo statistico. Qualora il numero di elettroni che passavano attraverso la giunzione in una certa frazione di secondo fosse stato superiore alla media, il risultato sarebbe stato 1, in caso contrario, 0. Tale distribuzione tendeva nel complesso ad uniformarsi, e ad ottenere una media tra i due eventi.

I partecipanti all’esperimento venivano fatti sedere a qualche metro di distanza da questi dispositivi, senza avere quindi alcun contatto fisico con essi. Essi dovevano semplicemente “desiderare” di produrre una variazione dalla media probabilistica dei risultati emessi dalle macchine, vale a dire che invece del normale 50% i dispositivi generassero più risultati in favore di 1, o di 0.

Grazie all’introduzione di Brenda Dunne (psicologa) all’esperimento, vennero introdotte delle varianti nell’ambiente e nella modalità standard di condurre le prove.

In pratica, all’inizio di ogni fase, l’operatore spingeva un bottone che avviava il REG alla produzione di una tornata di impulsi binari, per l’esattezza 200. Essi viaggiavano alla velocità di 1000 impulsi al secondo, ogni tornata durava quindi un quinto di secondo; in genere venivano richieste 50 prove successive in 5 tempi diversi, per tre fasi; il tempo per ogni esperimento si aggirava intorno alla mezz’ora.

Durante l’emissione degli impulsi, l’operatore avrebbe dovuto mantenere l’intenzione mentale stabilita, e i dati ottenuti venivano poi analizzati grazie al metodo statistico della deviazione cumulativa, che richiede di sommare le deviazione tra il risultato atteso (su 200 prove, all’incirca la metà di uno dei due eventi) e quello effettivamente ottenuto. La media veniva poi visualizzata e tracciata su un grafico, descritto mediante una curva di Gauss.

Da allora la mole di dati esaminati si aggira intorno ai 3 miliardi di bit di informazioni generati da milioni di prove! Gli studi di una raccolta di dati di oltre 12 anni e mezzo, sono stati sommati ed esposti da vari articoli scientifici dei due autori principali, Jahn e Dunne.

I primi risultati vennero esaminati già dopo le prime 250000 prove. Si trattava, in pratica, di confrontare la curva di Gauss standard ottenuta facendo la media degli eventi casuali, con la curva ottenuta negli esperimenti sulla volizione.

Il confronto avveniva dunque tra tre grafici: 1- quello che raffigurava la curva della probabilità, con la media quindi raffigurata dal picco della campana nel centro; 2- quello che raffigurava la somma di tutte le prove in cui gli operatori avevano cercato di influenzare la macchina a generare più eventi 1; 3- quello in cui gli operatori avevano cercato di influenzare la macchina verso gli eventi 0.

In linea di principio quindi, se non ci fosse stata alcuna influenza esterna sull’andamento del REG, i tre grafici avrebbero dovuto equivalersi, e nella loro sovrapposizione, descrivere la stessa curva di Gauss.

Non fu questo che però avvenne, perché già queste prime prove mostrarono che la curva a campana relativa al secondo grafico si era spostata verso la destra della media della probabilità (rispetto quindi al primo grafico), e quella relativa al terzo verso sinistra.

Complessivamente, il 52% di tutte le prove erano state spostate verso la direzione voluta (dato estremamente anomalo in statistica!), e quasi due terzi dei partecipanti riuscirono ad influenzare l’andamento del REG.

Un ulteriore fatto significativo era che, senza un soggetto davanti al macchinario, i risultati rientravano sempre nella norma prevista.

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Fonte: R. Jahn, “Correlations of Random Binary Sequences with Pre-Stated Operator Intention: A Review of a 12-Year Program”, Journal of Scientific Exploration, Vol. 11, No 3, pgg. 345-367, 1997. Il grafico mostra la deviazione dai valori probabilistici ottenuti per mezzo di 522 serie di esperimenti sulla volizione che hanno coinvolto 33 operatori. PK+ indica le High Intentions (le intenzioni rivolte verso l’evento che abbiamo chiamato 1), PK- le Low Intentions (le intenzioni verso l’evento che abbiamo chiamato 0).
Evidentemente, ci troviamo di fronte ad un fatto che non ha nulla a che fare con la scissione classica tra “oggettivo” e “soggettivo”, in quanto l’evidenza mostra che un fatto mentale ha avuto un’influenza su qualcosa di fisico e tangibile. Ecco perché questi studi sono unici nel loro genere: essi dimostrano con dati statistici e replicabili che i confini tra le due dimensioni non siano così netti.

Non solo. Delle varianti dell’esperimento hanno mostrato che i risultati non erano dipendenti dalla variabile “spazio”, in quanto gli operatori riuscivano a deviare l’andamento dei REG sia che si trovassero di fronte alla macchina che a diversi chilometri di distanza da essa (il che esclude dunque l’esistenza di un mediatore “locale” nelle interazioni).

Inoltre nemmeno il tempo costituiva un problema. In un sottoinsieme di un prove chiamate remote, gli operatori rivolgevano la loro volizione alla macchina in un periodo di tempo che non corrispondeva a quello in cui sarebbero stati generati i dati.

Questi esperimenti, chiamati “off-time”, erano organizzati in un range di tempo che spaziava dalle 73 ore prima alle 336 ore dopo le operazioni della macchina: in pratica, il desiderio di deviare i risultati dalla media, veniva espresso prima o dopo che venisse azionata la macchina. Anche in questo caso i risultati furono molto simili a quelli condotti “on-time”, e quindi ai dati generati in contemporanea alla volizione.

Il progetto PEAR, con un metodo rigoroso e con dati empirici replicabili, ha dato dunque alla luce risultati completamente assurdi qualora si permanga in una visione dualistica di pensiero e materia, e nell’idea di una descrizione obiettiva della natura.

Gli autori stessi riferiscono che i loro studi si rivelano appropriati solo in un corpus teorico che prenda in considerazione l’osservatore nel processo di conoscenza (e in questo caso, anche di azione), in accordo con l’interpretazione di Copenhagen della meccanica quantistica, che include esplicitamente la coscienza nel suo formalismo teorico.

Il sistema percettore/percepito appare anche qui legato da un complesso rapporto che vede entrambi gli elementi compenetrati: i risultati della PEAR rivelano proprio tale legame, pur in modo minimo (le deviazioni dalla media osservate sono nel complesso piccole); questo può portare a pensare che qualsiasi cosa che chiamiamo “casuale”, in ogni contesto, derivi da complessi intrecci di informazione tra i quali si iscrive la risonanza e l’intenzione della coscienza rispetto al sistema o al processo in questione.

A ben vedere, la prospettiva che ne emerge non è per nulla dissimile a quella promossa dalla teoria dei sistemi e dalla teoria della complessità, per la quale il disordine non è nient’altro un ordine che noi non arriviamo a comprendere.

Il modello dell’universo che può venire in mente, in via del tutto intuitiva, rende pensabili altrettanti concetti come libero arbitrio, ordine implicito, o sincronicità.

La non distinzione tra mondo mentale e materiale, mette in primo piano, ancora una volta, il concetto di informazione, unico principio comune a tutte queste “stranezze”. Probabilmente, non siamo che all’inizio.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA


Coppola F., www.ipotesi.net .

Jahn R. G. et al., Engineering Anomalies Research, Journal of Scientific Exploration, Vol.1, No. 1, 1987.

Su http://www.princeton.edu/~pear/Allen_Press/1EA%20i0892-3310-001-01-0021.pdf .

Jahn R. G. et al., Experiments in Remote Human/Machine Interaction, Journal of Scientific Exploration, 6, No. 4, 1992.

Su http://www.princeton.edu/~pear/Allen_Press/6REM%20i0892-3310-006-04-0311.pdf .

Jahn R. G. et al., Correlations of Random Binary Sequences with Pre-Stated Operator Intention: A Review of a 12-Year Program, Journal of Scientific Exploration, Vol. 11, No 3, 1997.

Su http://www.princeton.edu/~pear/correlations.pdf .

Jahn R. G., Dunne B. J., Science of the Subjective, Journal of Scientific Exploration, Vol. 11, No. 2, 1997.

Su http://www.princeton.edu/~pear/sos.pdf .

https://spaziomente.wordpress.com/2010/01/30/la-mente-modifica-la-materia-di-silvia-salese/

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