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Categoria: "Alimentazione"

Perche' il porcellino d'india e l'uomo non producono la vitamina C

Una premessa : le vitamine sono quei micronutrienti essenziali per la nostra salute che devono essere assunti quotidianamente con l’alimentazione poiché non vengono sintetizzati dall'organismo umano. In realtà, la vitamina C è un normale metabolita prodotto dal fegato dei Mammiferi con poche eccezioni (fra le quali l’uomo e il porcellino d’india): per questo motivo nel prosieguo preferirò riferirmi alla vitamina C con l’equivalente termine chimico di acido ascorbico.

L’acido ascorbico è una fondamentale sostanza anti-ossidante grazie alla sua capacità di donare e ricevere elettroni (figura 1)
L’importanza della funzione dell’acido ascorbico è testimoniata dal fatto che la sua produzione è immediata nel seme che germina e nell’uovo in sviluppo.
Gli organismi viventi che non lo producono devono introdurlo con l’alimentazione per non ammalarsi di scorbuto. In realtà lo scorbuto è solo un sintomo della carenza di acido ascorbico, carenza che determina un grave danno ossidativo portando alla distruzione dei tessuti.
Il danno ossidativo causato da una carenza pre-clinica di acido ascorbico può essere coinvolto in diverse malattie degenerative quali l’aterosclerosi, l’infarto del miocardio, i tumori e l’invecchiamento stesso.

La via metabolica per la produzione dell’acido ascorbico è di origine antica; probabilmente è apparsa quando le forme di vita più evolute erano ancora unicellulari, ben prima che i viventi si differenziassero in piante e animali.
Negli organismi superiori la sintesi avviene a partire da uno zucchero: il glucosio (figura 2).

Circa 400 milioni di anni fa le piante iniziano a popolare la terraferma, sostituendo una vegetazione sino ad allora costituita da muschi e licheni (figura 3), evolvendosi rapidamente in dimensioni, complessità e distribuzione e innescando un cambiamento lento, ma irreversibile, nell’atmosfera del nostro pianeta. Si pensa che all’inizio del Paleozoico (600 milioni di anni fa) il livello di ossigeno nell’atmosfera fosse solo il 2% (rispetto al 21% attuale), ma questo valore salirà costantemente come risultato della fotosintesi clorofilliana.

I primi Anfibi che alla fine del Devoniano (più di 350 milioni di anni fa) andarono alla conquista delle terre emerse si trovarono a passare da una concentrazione di ossigeno nel mezzo acquatico di circa 0,5% ad una terrestre del 15-18%, venendo quindi esposti a valori 30-40 volte superiori rispetto agli organismi acquatici. Ma alla fine del Carbonifero l’ossigeno atmosferico salì addirittura al 35%  persistendo per quasi 50 milioni di anni, fino al Permiano, per poi scendere ad un più mite 30%.

Queste concentrazioni erano tossiche e fatali per la fisiologia di animali che si erano da poco avventurati sulla terraferma; infatti nel Permiano si è verificata un’accelerata diversificazione delle specie e la più grande estinzione di massa di tutti i tempi e le peculiari caratteristiche dell’atmosfera potrebbero rappresentare una delle cause.

Tra i Vertebrati riuscirono a sopravvivere solo quelli che avevano acquisito un efficiente adattamento respiratorio alla vita terrestre e un forte meccanismo di difesa contro la tossicità dell’ossigeno: questo meccanismo fu probabilmente l’espressione nei tessuti del gene per la L-gulonolattone-ossidasi (GLO, vedi il penultimo step della figura 2), indispensabile per poter sintetizzare un adeguato quantitativo di acido ascorbico, vitale anti-ossidante (nei Pesci il gene per la GLO è presente, ma non esprime la proteina).

Negli Anfibi e nei Rettili, Vertebrati a sangue freddo, il luogo di sintesi dell’acido ascorbico è il rene, mentre nei Mammiferi, animali a sangue caldo, l’organo deputato alla sintesi sarà il fegato.
Il motivo di questo cambio di sede è da ricercare nella maggiore attività dei Mammiferi (apparsi 250-200 Ma): in pratica, maggiore è lo stress metabolico al quale è sottoposto l’animale, maggiore la quantità di acido ascorbico da produrre per far fronte ad esso. Il rene, organo relativamente piccolo e affollato, divenne inadeguato a fronte dell’aumentata richiesta e l’evoluzione favorì il trasferimento della sintesi al fegato, l’organo più grande del corpo.
Le tracce di questo percorso si trovano in alcuni Uccelli odierni, gli antenati dei quali sono più o meno coevi dei Mammiferi: infatti anitre, piccioni e falchi, ordini piuttosto antichi, continuano a produrre l’acido ascorbico nei reni, mentre tra gli ordini più recenti ed evoluti (soprattutto Passeriformi) alcuni sintetizzano acido ascorbico sia nei reni sia nel fegato, altri solo nel fegato.

 

I Primati, che comprendono le scimmie e l’uomo, apparvero circa 65 milioni di anni fa e come gli altri Mammiferi erano capaci di sintetizzare l’acido ascorbico, ma qualcosa accadde durante la loro evoluzione, così in alcuni di essi venne a mancare l’enzima GLO, impossibilitando l’ultima tappa della biosintesi dell’acido ascorbico (figura 2).

Inizialmente si pensò che la mutazione responsabile dell’inattivazione del gene per l’enzima GLO fosse avvenuta nella stessa epoca nei Primati e nei Cavidi, all’incirca nello stesso periodo in cui si estinsero molte specie, tra le quali i Dinosauri, ipotizzando l’esplosione di una supernova nelle vicinanze del sistema solare che avrebbe determinato, oltre ad un repentino cambiamento climatico, la distruzione della fascia di ozono consentendo una pioggia di radiazioni ad alta energia (raggi cosmici e raggi gamma) con effetto mutageno.

Oggi le ipotesi più accreditate per spiegare l’estinzione dei Grandi Rettili (i Mammiferi invece sembrano risentire poco di tale crisi) sono: un deterioramento del clima, con effetti in un tempo relativamente ristretto di qualche milione di anni; e una catastrofe improvvisa, con evento principale nell’arco di qualche migliaio di anni o anche meno, probabilmente la collisione con un asteroide (mentre una supernova potrebbe aver contribuito a causare la più grande estinzione di flora e fauna nella storia del nostro pianeta, che si verificò molto prima, alla fine del Permiano, circa 220 milioni di anni fa).

L’assenza della GLO nell’uomo fu scoperta nel 1955 e solo nel 1966 si dimostrò che non tutti i Primati erano soggetti ad ammalare di scorbuto, come si credeva fino ad allora; si scoprì infatti che GLO era attiva nel fegato delle Proscimmie, mentre era inattiva in quello degli Antropoidei.
A loro volta gli Antropoidei si differenziarono in scimmie del Nuovo Mondo e scimmie del Vecchio Mondo, che comprendono gli antenati dell’uomo. Ma poiché le scimmie del Nuovo e del Vecchio Mondo sono prive della GLO, mentre le Proscimmie ce l’hanno, la perdita dell’attività enzimatica deve essere avvenuta dopo la divergenza tra proscimmie e scimmie (50-65 milioni di anni fa), ma prima della divergenza tra scimmie del Nuovo e vecchio Mondo (35-45 milioni di anni fa) (figura 4).

Comunque sia, quei lontani antenati dell’uomo nei quali si verificò la mutazione vivevano una vita arborea in un ambiente tropicale o sub-tropicale, dove erano sempre disponibili vegetali che fornivano l’indispensabile acido ascorbico. La produzione fisiologica di una sostanza essenziale è sempre inferiore all’ottimale, perché la sintesi della quantità ottimale richiederebbe un impegno metabolico particolarmente oneroso; in quell’ambiente preistorico il meccanismo per la biosintesi non era più necessario, anzi, diventava un ingombro cellulare che consumava energia che poteva essere destinata ad altri scopi; in questo senso la mutazione venne a rappresentare un possibile vantaggio evoluzionistico.

Un evento mutazionale analogo si è verificato anche per la capacità di sintetizzare la tiamina (vitamina B1), capacità persa in qualche lontano progenitore dei Vertebrati centinaia di milioni di anni fa.

Naturalmente quando gli ominidi lasciarono la vita arborea, spostandosi verso climi più temperati con differenti risorse alimentari il vantaggio acquisito andò perduto; il necessario apporto di acido ascorbico non sempre poteva essere raggiunto e questo ha costituito un grave handicap per l’uomo moderno, almeno fino al riconoscimento della somministrazione di vitamina C come mezzo per la prevenzione e la terapia dello scorbuto, un errore innato del metabolismo dei carboidrati.

E’ quasi certo che ulteriori mutazioni sono avvenute nell’uomo e nei suoi immediati predecessori piuttosto recentemente, per favorire la sopravvivenza anche con un apporto di acido ascorbico inferiore a quello fornito da cibi vegetali che ne sono ricchi. Queste mutazioni avrebbero reso possibile un maggior recupero dell’acido ascorbico nelle urine da parte dei tubuli renali e una aumentata capacità di certe cellule di estrarre l’acido ascorbico presente nel plasma.

Altri Mammiferi, oltre all’uomo e a certe scimmie, presentano il difetto di produzione dell’enzima GLO: sono il porcellino d’india e alcuni pipistrelli che si cibano di frutta.
La perdita della GLO nell’evoluzione del porcellino d’india è un evento relativamente recente, avvenuto meno di 20 milioni di anni fa.

In realtà il gene per la L-gulonolattone-ossidasi è presente nell’uomo e nel porcellino d’india in forma di pseudo-gene, mutato e incapace di funzionare. Nel genoma umano tale pseudogene è stato localizzato sul braccio corto del cromosoma 8 (8p21.1) e contiene solo 5 dei 12 esoni (porzioni codificanti) che costituiscono il gene funzionale, mentre nel porcellino d’india ne restano 7.

Come abbiamo puntualizzato all’inizio, il ciclo biochimico dell’acido ascorbico è un importantissimo sistema di ossido-riduzione e la sua perdita non poteva essere senza conseguenze nella fisiologia delle specie che ne sono privi; ma per fortuna nel progredire dell’evoluzione altri sistemi hanno contribuito almeno in parte a compensare la carenza.
Per contrastare gli effetti dei radicali superossido, pericolose forme reattive dell’ossigeno, interviene un altro enzima, la superossido dismutasi (SOD), che li trasforma in molecole meno pericolose (ossigeno e acqua ossigenata).
Guarda caso la SOD non era indotta nei primi Vertebrati terrestri, ma la sua attività è aumentata nei Mammiferi carenti di GLO: c’è infatti una correlazione inversa tra gulono-lattone ossidasi e superossido dismutasi nel corso dell’evoluzione, con attività della SOD particolarmente elevata proprio nelle specie che mancano della GLO.
Comunque la SOD non può rimpiazzare completamente GLO; infatti l’acido ascorbico oltre a rimuovere i radicali ossigeno, protegge anche dalla perossidazione lipidica e dalla degradazione ossidativa delle proteine, quindi persiste la necessità di introdurre acido ascorbico con l’alimentazione.

In conclusione, l’acido ascorbico differisce dalle altre vitamine perché la maggior parte delle specie animali continuano a produrlo, nonostante la sua presenza negli alimenti naturali. Si deduce che nel corso di decine e centinaia di milioni di anni il quantitativo di acido ascorbico presente nel cibo a disposizione non ha potuto coprire in modo ottimale il fabbisogno e giustificare l’abbandono del meccanismo biologico per la sua produzione.

Questa capacità è stata persa in almeno quattro occasioni nella recente storia dei Vertebrati: nell’antenato comune all’uomo e a certe scimmie, nel porcellino d’india, in pipistrelli che si nutrono di frutta e in alcuni uccelli Passeriformi. La mutazione responsabile all'epoca è risultata vincente in termini evolutivi perché gli animali in questione vivevano in un ambiente in grado di fornire loro acido ascorbico in abbondanza.

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Bambini obesi ? Mangiano troppo poca ortofrutta

rutta e verdura, ma soprattutto la “dieta mediterranea”, non sembrano accogliere il favore dei bambini. Sta di fatto che nel 2010, tra i più piccoli, solo tre su dieci hanno mangiato almeno una volta al giorno verdure e ortaggi; mentre sei su dieci hanno consumato, sempre una volta al giorno, frutta. E’ quanto emerge dall’indagine della Cia-Confederazione italiana agricoltori.

I dati sono stati diffusi in occasione dell’“Obesity day”. Bambini, quindi, che alla salutare ortofrutta, elemento principe della “dieta mediterranea”, preferiscono altri prodotti, in particolare merendine, grassi, troppo salati o troppo zuccherati e con basso valore nutrizionale.

Una tendenza -si ricava dall’indagine della Cia- che in questi ultimi anni è andata man mano crescendo. Nel 2002 (dieci anni fa), infatti, tra i più piccoli (dai 3 ai 10 anni) il consumo di verdure e ortaggi (cinque su dieci) e di frutta (sette su dieci) era maggiore. L’abitudine di mangiare questo tipo di prodotti -avverte la Cia- resta, invece, alta tra gli anziani (tra i 64 e i 75 anni), dove la percentuale arriva a superare il 91 per cento. Comunque, anche in questa fascia di età si consuma più frutta (85 per cento) e meno verdure e ortaggi (55 per cento).

Sono elementi -sottolinea la Cia- che confermano la scarsa educazione dei più piccoli verso una sana e corretta alimentazione, che ha proprio nella “dieta mediterranea”, riconosciuta patrimonio dell’Unesco, il suo punto cardine.
I dati, d’altra parte, parlano chiaro: l’obesità e il soprappeso si riscontrano in maniera evidente soprattutto fra i bambini. Non solo in Italia, ma anche in tutta Europa, dove la situazione peggiore si riscontra in Gran Bretagna (29 per cento di soprappeso tra i 5 e i 17 anni, sia nei maschi che nelle femmine).
In ogni caso, per l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) un ragazzo su cinque in Europa è soprappeso. Ogni anno, agli oltre 14 milioni di giovani europei in soprappeso -3 milioni dei quali obesi- si aggiungono 400 mila “nuovi” soprappeso. 
In Italia oltre un terzo dei bambini tra i 6 e i 9 anni -sottolinea la Cia- risulta in soprappeso o obeso (34,1 per cento), un dato che scende al 25,4 per cento nella fascia tra i 10 e i 13 anni, e precipita con l'adolescenza (14-17 anni) al 13,9 per cento. Per i bambini e adolescenti italiani, al di sotto della maggiore età, l’obesità infantile, si attesta al 4 per cento di media, ma secondo recenti studi, nel 2025, se si protrarrà questa situazione, l’obesità infantile nel nostro Paese triplicherà, arrivando al 12,2 per cento.
Va, pertanto, nella giusta direzione -afferma la Cia- il progetto "Frutta gratis nelle scuole", sostenuto finanziariamente dall'Unione europea e che permette di distribuire agli istituti maggiori quantitativi di frutta e verdura, incentivandone il consumo tra i più piccoli. Un’iniziativa finalizzata -rileva la Cia- a incoraggiare i giovani a consumare prodotti salubri, come la frutta e la verdura, e ad abbandonare quell’alimentazione “spazzatura” che, in questi ultimi anni, ha provocato preoccupanti riflessi negativi alla salute. Serve, insomma, una dieta sana che inizi a educare i bambini a mangiare in modo realmente corretto.

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FONTE : http://www.greenplanet.net

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Antiossidanti naturali: le mandorle

Le mandorle: frutto ricco di composti nutritivi e proprietà salutari

Le mandorle sono un tipico frutto mediterraneo ricco di composti nutritivi e proprietà salutari. La mandorla ha un potere nutritivo completo, contiene infatti un gran numero di nutrienti, dalla proteine, ai grassi, agli zuccheri insieme a tannini, ceneri e fitati. Il fatto che contenga grassi non dovrebbe spaventare. Quando parliamo di grassi (lipidi) contenuti nella mandorla parliamo di grassi mono e poli insaturi, quindi positivi per la salute.

Punto di forza della mandorla è la ricchezza dei cosiddetti polifenoli, sostanze antiossidanti capaci di ostacolare validamente i danni causati dai radicali liberi alle cellule dell’organismo. Questi polifenoli sono presenti però quasi esclusivamente nella pellicina scura che avvolge la mandorle, e per questo bisognerebbe consumare solo mandorle con pellicinae non prive di essa.

La palma d'oro dell'antiossidante

Vediamo allora che cosa ci propone la letteratura scientifica. Uno studio ha valutato la capacità antiossidante di 11 spezie, 5 tipi di frutti secchi, 7 tipi di dolciumi, 18 tipi di cereali e 6 tipi di frutti secchi con guscio nella popolazione italiana. Tra le spezie lo zafferano aveva la maggiore azione antiossidante, mentre tra i frutti secchi il più attivo era la prugna. Tra i dolciumi il più valido era il cioccolato e tra i cereali il granoTra i frutti secchi con guscio le mandorle avevano una significativa azione antiossidante, che era più bassa per le nocciole e ancora più bassa per le arachidi e i pinoli. Lo studio quindi ci informa che i cibi più dotati di azione antiossidante dovrebbero essere maggiormente consumati per favorire le difese antiossidanti dell’organismo. 
Mandorle e Fumo: i risultati scientifici

Un altro studio clinico ha verificato se il consumo di mandorle potesse ridurre il danno da radicali liberi ingiovani fumatori. Chi fuma infatti produce più radicali liberi, sostanze che causano danni alle cellule del nostro organismo: sappiamo infatti che i radicali liberi sono nocivi proprio perché hanno un'azione ossidante che danneggia il DNA e favorisce l'invecchiamento. Lo studio in questione ha esaminato 60 fumatori apparentemente sani, che dovevano mangiare giornalmente 84 g di mandorle oppure 120 g di carne di maiale per 1mese, con un intervallo di 1mese e poi con un altro mese di trattamento. Un altro gruppo di volontari sani non fumatori ha assunto 120 g/die di carne di maiale senza mandorle.

Come ci si aspettava, nei fumatori i livelli di alcune sostanze prodotte dal danno causato dai radicali liberi, i cosiddetti "indicatori di danno radicalico" (malondialdeide, 8-idrossi-desossiguanosina), così come i danni al DNA in alcune cellule del sangue (linfociti), erano notevolmente superiori rispetto ai non fumatori. E anche i livelli degli enzimi antiossidanti endogeni, difese naturali dell'organismo, erano significativamente minori nei fumatori. Il fumo quindi aumenta i radicali liberi e crea un danno all'organismo. Ma la cosa per noi più interessante è che la somministrazione delle mandorle nei fumatori causava un aumento delle difese naturali contro i radicali liberi, con una riduzione del danno dovuto all'ossidazione e minori danni sul DNA.

Giù i grassi con 20 mandorle al giorno

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Un altro studio clinico ha valutato l’effetto di due dosi di mandorle su assetto lipidico (misurazione di colesterolo e trigliceridi) e glucosio in 25 soggetti di entrambi i sessi con il colesterolo moderatamente elevato. Queste persone dovevano tenere una dieta normale per 4 settimane dopo essere stati nutriti per 2 settimane con una dieta contenente il 34%di grassi.

Dovevano mangiare una quantità di mandorle tale da fornire tra il 10 o il 20% dell’apporto calorico totale(circa 60 grammi di mandorle). Al termine dello studio le mandorle hanno determinato una riduzione significativa di colesterolo totale, colesterolo LDL (il cosiddetto colesterolo cattivo) e un aumento dell’1,7% del colesterolo HDL (il cosiddetto colesterolo buono). Lo studio indica quindi che l’ingestione di circa 60 g al giorno di mandorle riduce significativamente il colesterolo in pazienti moderatamente ipercolesterolemici:

il colesterolo, come è noto, favorisce l'aterosclerosi e quindi aumenta il rischio di malattie cardiovascolari come l'infarto. Gli studi fatti sinora (Marzo 2011) indicano che il consumo di mandorle riduce il colesterolo LDL (quello cattivo) di una percentuale compresa tra il 3 e il 19%, in particolare in chi ha il diabete o il colesterolo alto: le mandorle quindi aiutano a prevenire l'aterosclerosi e le malattie connesse.

Un'altra informazione utile è che le mandorle contengono pochi acidi grassi saturi, dannosi per cuore e vasi sanguigni, ma sono ricche di acidi grassi insaturi, di fibre, di fitosteroli e di proteine vegetali. Inoltre esse contengono vitamina E, arginina, magnesiorame, manganese, calcio e potassio.

Il consiglio del fitoterapeuta

"Il consumo giornaliero di 40-60 g di mandorle con la loro pellicina combatte i danni causati dai radicali liberi, abbassa il colesterolo e ostacola l’aterosclerosi, ossia la formazione delle placche lipidiche nei vasi sanguigni, contribuendo nonpoco al mantenimento della nostra salute".

Autore: Antonello Sannia

Fonte: L' Altra Medicina Magazine

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Allergeni negli alimenti. Rischi per la salute

Le allergie alimentari colpiscono fino al 6% dei bambini e, approssimativamente il 2% della popolazione generale. Sovente i bambini, crescendo perdono la sensibilità agli allergeni. Sebbene qualsiasi alimento possa scatenare una reazione, sono relativamente pochi i cibi responsabili della maggioranza delle reazioni allergiche: latte, uova, noccioline, noci, crostacei, pesce.
Molti di questi allergeni alimentari sono stati caratterizzati a livello molecolare, il che ha migliorato la nostra comprensione nell’immunopatogenesi di molte risposte e presto potrà condurci verso nuovi approcci immunoterapici.
Come si verifica un’allergia
I soggetti allergici reagiscono a sostanze che sono innocue per i soggetti sani. In particolare hanno la capacità di produrre anticorpi della classe IgE, non presenti nei soggetti non allergici.
Le sostanze in grado di scatenare una risposta nei soggetti allergici sono definite “allergeni”.
La reazione di ipersensibilità agli alimenti mediata da anticorpi della classe IgE è immediata. Gli anticorpi riconoscono gli allergeni, o frazioni di allergeni, e producono reazioni che possono essere anche gravi.
Gli allergeni
Gli allergeni sono sostanze proteiche o glicoproteiche in grado di legarsi specificamente alle immunoglobuline della classe IgE.
Tutte le sostanze sono in grado di evocare una risposta di tipo IgE nei soggetti sensibilizzati. Ovvero, gli allergeni non evocano alcuna risposta immunitaria nel soggetto non atopico, ma scatenano la reazione solo nei soggetti allergici a quell’allergene.
I sintomi
Le reazioni allergiche alimentari sono responsabili di una grande varietà di sintomi che coinvolgono la cute, il tratto gastrointestinale e respiratorio e possono essere causate da meccanismi IgE mediati e non IgE mediati.
Reazioni di ipersensibilità ad alimenti
Reazioni IgE mediate e patologie derivate

Cutanee: Orticaria, Angioedema, Rash morbilliforme, Eritema.

Gastrointestinali: Sindrome orale allergica, Anafilassi gastrointestinale.

Respiratorie: Rinocongiuntivite acuta, Broncospasmo (sibili).

Generalizzate: Shock anafilattico.

Diagnosi e terapia
L’approccio diagnostico per le allergie alimentari è simile a quello di altre patologie. La storia clinica mira a stabilire se sia avvenuta una reazione allergica a cibi e a ottenere informazioni utili per effettuare una prova diagnostica appropriata.
Si raccolgono le seguenti informazioni:
-       l’alimento sospettato responsabile della reazione;
-       la quantità ingerita dell’alimento stesso;
-       il tempo intercorso tra l’ingestione e o sviluppo dei sintomi;
-       se sintomi simili si sono presentati in una precedente ingestione dello stesso alimento;
-       quando è avvenuta l’ultima reazione al cibo;
-       altri fattori, per es. esercizio fisico.
Un approccio sistematico che include anamnesi, test di laboratorio, diete di eliminazione e test di provocazione conduce a una diagnosi corretta.
Il trattamento delle allergie alimentari consiste nell’istruire il paziente a evitare di ingerire l’allergene responsabile e attuare la terapia in caso di ingestione involontaria.
Allergie alimentari più frequenti
Potenzialmente ogni  alimento è in grado di indurre fenomeni di tipo allergico ed è costituito da proteine che possono fungere da allergeni.
In realtà  solo alcuni ricorrono frequentemente quale causa di reazione e gli alimenti allergenici  sono diversi da luogo a luogo,  secondo le abitudini alimentari dei vari paesi e secondo le attività lavorative in campo agricolo.
Non tutte le proteine conosciute sono buoni allergeni e alcuni alimenti che ne contengono  rilevanti percentuali (per esempio manzo, maiale e pollo) sono raramente implicati nelle patologie allergiche.
Invece, le proteine vegetali, quelle  dei pesci, del latte e delle uova sono più facilmente causa  di sintomi clinici.
Sono otto le principali classi di alimenti allergenici (FAO 1995)
1. arachidi, soia, altri legumi;
2. uova;
3. pesce;
4. latte;
5. sesamo e altri semi;
6. nocciole;
7. frumento e altri cereali;
8. molluschi e crostacei.

Intolleranze alimentari
Nelle intolleranze alimentari non sono coinvolti gli allergeni. Si tratta, invece, di tutte quelle reazioni  avverse ad alimenti non riferibili ad allergia, ma ad altri meccanismi ben pochi dei quali  scientificamente definibili e documentabili. In genere la sintomatologia è di grado inferiore rispetto alle forme allergiche e non dono descritti fenomeni anafilattici.
Tra le intolleranze alimentari scientificamente definibili si includono:
•       intolleranza da deficit enzimatico (intolleranza al lattosio e ad altri carboidrati)
•       celiachia (per quanto  meglio collocabile nella patologia autoimmune con interessamento pluriorgano.
Diagnosi di intolleranza alimentare
Per prima cosa occorre escludere la reazione allergica IgE. Poi vengono effettuati eventuali test di scatenamento e test specifici:
- H2 breath test al lattosio in caso di sospetta intolleranza al lattosio  (durata fino  4 ore  con valutazione  dell’H2 espirato ogni mezz’ora);
- H2 breath test ad altri tipi di zuccheri complessi nel dubbio di intolleranza a zuccheri o di overgrowth batterico (metodica meno standardizzata, di durata fino a sei ore con valutazioni ogni 10 minuti).
Etichettatura, effetti positivi, limiti
È in atto dal novembre 2005 (in USA dal gennaio 2006) la nuova Normativa per l’etichettatura dei prodotti alimentari per informare i consumatori di tutti gli ingredienti e sostanze, presenti in un determinato prodotto alimentare.
Questa direttiva genera degli effetti positivi pur con qualche limite, per esempio l’esigenza di una etichettatura precauzionale; la stampa con caratteri più leggibili; le segnalazioni e I cambiamenti di etichettatura sui prodotti già in commercio.
Problemi a livello scolastico
Il bambino (o adolescente)  con allergia alimentare è un soggetto a rischio, di conseguenza occorre che il rischio sia ben definito in seguito a una accurata e corretta valutazione allergologica. Occorre prevenire il rischio con diete apposite e trattare la reazione allergica con somministrazione di farmaci e, in particolare di adrenalina autoiniettabile.
Dunque è determinante una stretta interazione tra allergologo, pediatra e la scuola.
Anna Perino
Università degli Studi di Torino. SCDU Pediatria,
San Luigi Gonzaga, Orbassano (TO).
annamaria.perino@unito.it  

Tratto dalla relazione presentata all’evento:
Dalla produzione all’alimentazione.
Principi di igiene e sicurezza alimentare.
Educazione alimentare, prevenzione, educazione alla salute.
A cura di: Scuola di Sicurezza Alimentare.
Torino, 30.11.2010 – Eataly, Museo del Gusto.

Anna Perino
Allergia e intolleranza alimentare
Pacini editore. Ospedaletto (PI), 2001.
È possibile scaricare il testo completo del libro da:
http://www.pollinieallergia.net/allergia-ed-intolleranza-alimentare-a163

Associazione Allergologi Immunologi Territoriali e Ospedalieri
http://www.aaito.it/
http://www.pollinieallergia.net/



Immagine: Schlierner - Fotolia.com
La nuova normativa europea in materia di etichettatura dei prodotti alimentari
Direttiva 2003/89/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio
del 10 novembre 2003
che modifica la Direttiva 2000/13/CE per quanto riguarda l'indicazione degli ingredienti contenuti nei prodotti alimentari.
(Testo rilevante ai fini del SEE
Per informare meglio tutti i consumatori e tutelare la salute di alcune fasce, è opportuno rendere obbligatoria l'inclusione nell'elenco degli ingredienti di tutti gli ingredienti e di tutte le altre sostanze presenti in un determinato prodotto alimentare. Nel caso delle bevande alcoliche dovrebbe essere obbligatorio indicare nell'etichettatura tutti gli ingredienti con effetti allergenici presenti nella bevanda considerata.

Allegato III bis
Ingredienti di cui all'articolo 6, paragrafi 3 bis, 10 e 11
Cereali contenenti glutine (cioè grano, segale, orzo, avena, farro, kamut o i loro ceppi ibridati) e prodotti derivati.
Crostacei e prodotti a base di crostacei.
Uova e prodotti a base di uova.
Pesce e prodotti a base di pesce.
Arachidi e prodotti a base di arachidi.
Soia e prodotti a base di soia.
Latte e prodotti a base di latte (compreso il lattosio).
Frutta a guscio cioè mandorle (Amigdalus communis L .), nocciole (Corylus avellana, noci comuni (Juglans regia ), noci di acagiù (Anacardium occidentale ), noci pecan [Carya illinoiesis (Wangenh) K.Koch ],noci del Brasile (Bertholletia excelsa ), pistacchi (Pistacia vera ), noci del Queensland (Macadamia ternifolia ) e prodotti derivati.
Sedano e prodotti a base di sedano.
Senape e prodotti a base di senape.
Semi di sesamo e prodotti a base di semi di sesamo.
Anidride solforosa e solfiti in concentrazioni superiori a 10 mg/kg o 10 mg/l espressi.

 

http://www.intempo-online.com/component/content/article/29-salute/197-allergeni-negli-alimenti-rischi-per-la-salute-in-eta-pediatrica.html

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La dieta salva cuore

Tanti gli alimenti alleati del sistema cardiovascolare. Importante, però, è anche cucinarli e condirli nel modo giusto. Ecco alcuni consigli pratici.

Prevenire le malattie del sistema cardiovascolare con la dieta si può: questa la conclusione di numerosi studi scientifici. E se frutta e verdura, insieme al pesce, sono al primo posto, non vi stupite se vi saranno concessi anche cioccolato e vino, naturalmente nelle giuste dosi.

Cibi sì, cibi no

Frutta e verdura di stagione sono un toccasana per il sistema cardiovascolare. Da sempre i nutrizionisti ne raccomandano almeno 5 porzioni al giorno.

Se da un lato sono povere di grassi, infatti, dall’altro assicurano un adeguato apporto di vitamine, minerali e anche fibre, che abbassano i livelli di colesterolo e limitano l’assorbimento dei lipidi, che in quantità eccessiva sono dannosi per circolazione e cuore.

E, proprio per il loro alto contenuto di fibre, non dimenticate mai nella lista della spesa anche legumi e cereali, pane, pasta e riso rigorosamente integrali.

Importantissimo è poi dedicarsi due, o meglio tre volte la settimana, alla preparazione di una pietanza a base di pesce, poco calorica e ricca di sostanze amiche di cuore e arterie, quali gli acidi grassi polinsaturi e, soprattutto se sceglierete il pesce azzurro, anche gli omega-3.

Se però non potete fare a meno della carne, concedetevi (non tutti i giorni) pollo, tacchino o vitello, limitando invece il consumo di carni rosse.

E rimanendo in tema di prodotti di origine animale, il vostro cuore vi ringrazierà se limiterete a due le porzioni di uova alla settimana (facendo attenzione anche a tutti gli alimenti che le contengono) e se metterete a tavola solo salumi magri come prosciutto crudo o bresaola.

Per quanto concerne invece i latticini, promossi latte scremato e yogurt e formaggi, ma solo se freschi e poveri di grassi.

E i dolci?

Per i golosi, una notizia buona e una cattiva: se vi sarà richiesto qualche sacrificio per limitare il consumo di dolci e zuccheri, potrete consolarvi con il cioccolato che, se fondente, contiene antiossidanti, preziosi alleati del sistema cardiovascolare.

E per chi d’estate non può rinunciare alla tentazione di un gelato rinfrescante: niente creme, ma solo gusti alla frutta.

Non solo che cosa, ma anche come Oltre a scegliere i cibi giusti, dovrete però anche cucinarli e condirli in modo corretto: evitate il burro e la panna, e abbondate invece con olio extravergine di oliva a crudo.

Spezie e aromi potranno esservi di aiuto nel limitare il sale. Sì alla cottura alla griglia o al vapore, no invece alle fritture.

E infine, come dissetarci in modo salutare?

Basterà svuotare il frigorifero da bevande gasate e zuccherate, mentre per quanto riguarda gli alcolici, l’unica eccezione è rappresentata da un paio di bicchieri di vino al giorno, possibilmente rosso.

Lisa Trisciuoglio

 

fonte : http://www.saperesalute.it/viver-sano/alimenti-e-diete/la-dieta-salva-cuore?from_linked_top=true

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