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Nanoparticelle di ferro nell'encefalo e patologie neurodegenerative

Una recente ricerca pubblicata sui Proceedings of the national academy sciences (P.N.A.S.) collega l’inquinamento ambientale a danni neurologici. Lo studio, che individua tra le fonti di contaminazione gli impianti industriali e gli inceneritori, dimentica, però, la principale causa dell’avvelenamento, ossia il traffico aereo commerciale che di fatto è spesso collegato alle devastanti attività di biogeoingegneria clandestina alias scie chimiche (chemtrails). Insomma i ricercatori vedono il filo d’erba e non la foresta, ma il nesso tra particolato ultrafino ed affezioni neurodegenerative, nesso già evidenziato anni fa da vari scienziati a tutto tondo, come Russell Blaylock, è sempre più evidente ed indiscutibile.

Non solo cuore e polmoni: anche l'encefalo è a rischio a causa dell’inquinamento atmosferico. Una ricerca recentemente pubblicata sui Proceedings of the national academy sciences ha, infatti, identificato, per la prima volta, nei tessuti del cervello umano delle nanoparticelle di magnetite di origine industriale. Il materiale - spiegano gli autori dello studio - è un ossido del ferro con proprietà magnetiche prodotto dai processi di combustione delle centrali elettriche, degli inceneritori e di vari impianti industriali. All’interno del nostro organismo risulta estremamente tossico.

La presenza di magnetite nel cervello umano in realtà non è di per sé una novità. Da almeno venticinque anni, infatti, si sa che il nostro organismo può produrre micro-particelle magnetiche a partire dal ferro, impiegato nei normali processi metabolici. Il ruolo svolto dalla magnetite di origine biologica, però, non è chiaro. Il problema è che la magnetite causa un grave stress ossidativo sulle nostre cellule e la sua presenza è stata collegata allo sviluppo dell’Alzheimer (e di altre malattie neurodegenerative) ed alla formazione delle placche amiloidi che lo accompagnano.

Gli autori dello studio, un’équipe di ricerca internazionale coordinata dal fisico Barbara Maher della Lancaster University (Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord), ha deciso di verificare quante delle nanoparticelle di magnetite presenti nel cervello umano siano effettivamente di origine biologica, analizzando campioni di corteccia cerebrale provenienti da trentasette campioni.

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Adoperando diversi tipi di tecniche di imaging, i ricercatori hanno verificato la struttura geometrica delle nanoparticelle di magnetite presenti nei campioni, scoprendo che la maggior parte è di forma sferica, particolare che, secondo gli esperti, suggerisce un’origine ambientale, non biologica. A confermare la provenienza esterna del materiale è anche la presenza di altre particelle metalliche che non vengono prodotte nell'organismo, come platino, nickel e cobalto. Ciò dimostra come gli inquinanti ambientali possano raggiungere il nostro sistema nervoso centrale con molta più facilità di quanto si ritenesse fino ad oggi.

La magnetite ambientale presente nell’encefalo supererebbe inoltre quella biologica con una proporzione di cento a uno: numeri elevatissimi che rendono ancor più preoccupante la scoperta. Il legame dell’ossido di ferro con l'Alzheimer ed altre patologie neurodegenerative non è ancora chiaro - sottolineano gli autori dell’indagine - e non si sa neanche a quali livelli di concentrazione andrebbe considerata pericolosa, ma i rischi non si possono sottovalutare. “Purtroppo si tratta di un fattore di rischio estremamente plausibile che rende necessario lo sviluppo di adeguate precauzioni”, ha spiegato la Maher. “I legislatori hanno già cercato di tenere conto di questi pericoli nelle attuali normative sull’inquinamento ambientale, ma evidentemente queste regole potrebbero avere bisogno di essere riviste”.

Fonte: Sciencemag.org

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