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Meccanica quantistica: il collasso della funzione d'onda

Meccanica quantistica: il collasso della funzione d'onda

Massimo Teodorani ci spiega che cosa si intende per collasso della funzione d'onda in meccanica quantistica e ci illustra il paradosso del gatto di Schrödinger...

Esperimenti, sia mentali che di laboratorio, hanno inesorabilmente dimostrato che le nostre concezioni della realtà sono completamente inadeguate se rapportate al mondo della meccanica quantistica, ovvero al regno dell’infinitamente piccolo. Qui non si tratta di palle da tennis o da fottball, ma di particelle veramente minute che vanno dal fotone, all’elettrone fino agli atomi. Descrivere la traiettoria di questa particella non è una procedura deterministica come nel caso della traiettoria di un satellite nello spazio o di una granata sparata da un cannone, ma richiede l’utilizzo di una particolare funzione matematica denominata “funzione d’onda”, il cui scopo è quello di stabilire la probabilità che una particella si trovi in un posto anziché in un altro. Ad esempio di un elettrone – in virtù del Principio di Indeterminazione di Heisenberg – non possiamo determinare simultaneamente posizione e velocità, dal momento che la precisione della misura dell’una inficia quella dell’altra. Questo avviene perché il processo della misura di laboratorio perturba le particelle stese: in tal modo abbiamo un’interazione indissolubile tra osservatore e realtà osservata.

Quando viene effettuata una misurazione, la particella naturalmente viene trovata solo in un dato luogo, ma se si assume che la funzione d’onda fornisca una descrizione completa e letterale di un sistema quantistico, ciò significa che tra una misurazione e l’altra la particella si dissolve in una “sovrapposizione di onde di probabilità” ed essa è potenzialmente presente in molti differenti luoghi simultaneamente. Quando ha luogo l’osservazione, la funzione d’onda “collassa” e in questo esatto momento troviamo la particella in un posto preciso. Proprio per descrivere in maniera intuitiva questa situazione il grande fisico Erwin Schrödinger inventò un paradosso che la descrive più che bene.

Immaginiamo di avere una scatola contenente un gatto, e poi immaginiamo un fotone che entri nella scatola con una mezza probabilità di essere trasmesso e un’altra mezza di non esserlo. Se è trasmetto esso innesca un congegno che fa sparare un fucile che uccide il gatto, mentre se non è trasmesso il gatto rimane vivo. Ma siccome il gatto è dentro la scatola, noi non possiamo sapere se esso è vivo oppure morto. Questo è ben noto come il “paradosso del gatto di Schrödinger”, e rappresenta il maniera intuitiva il concetto di sovrapposizione degli stati quantistici, proprio quella descritta dalla funzione d’onda. Noi sapremo se il gatto è vivo o morto solo nel momento stesso in cui apriamo la scatola. L’atto di aprire la scatola è esattamente equivalente al processo della misura e corrisponde a far collassare la funzione d’onda.

Un altro modo di vedere la situazione può esser descritto con una moneta. Se ad esempio mi trovo in una stanza buia e lancio la moneta in aria e poi essa ricade, io non posso sapere se essa mostra testa o croce perché la moneta si trova in una sovrapposizione di testa e di croce, fino a che non accendo la luce. Allora in quel momento io faccio collassare la sovrapposizione di testa e croce perché sono finalmente in grado di vedere quale delle due facce mostra la moneta.

Dunque, misurare qualcosa distrugge la sovrapposizione, forzando quello che è uno stato quantistico descritto dalla funzione d’onda ad assumere uno “stato classico” in cui l’identità dei vari stati è decisa. Tutto questo avviene nel mondo delle particelle elementari e il ruolo perturbativo dell’osservatore è assolutamente fondamentale, dato che egli interagendo con una realtà quantistica fatta di sovrapposizioni di stati, porta questi stati ad assumere uno stato ben definito. Questo è ben spiegato dalla celebre frase del grande fisico teorico tedesco Pascual Jordan:

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Non solo le osservazioni disturbano ciò che deve essere misurato, ma esse lo producono… Noi costringiamo un elettrone ad assumere una posizione definita… ma siamo noi stessi che produciamo i risultati della misurazione.

E in maniera più filosofica Basil Hiley:

Noi siamo coinvolti, noi siamo partecipi della natura, e questo necessariamente significa che noi non siamo in grado di avere una visione della natura per come essa effettivamente è fuori da noi; noi non possediamo la virtù di un “terzo occhio” che ci permetta di avere una visione intellettuale della globalità della realtà.

Ne consegue che quello che noi sappiamo sulla particella prima che abbia luogo la misura, non è esattamente informazione sulla particella ma su una specie di “nuvola di probabilità” in cui la particella potrebbe trovarsi. Ma quando effettuiamo la misura improvvisamente la particella la troviamo in un posto preciso: è stato il nostro atto di osservarla a farle assumere quella posizione. Questa sconvolgenti deduzioni derivano da studi matematici rigorosi, tra i quali sicuramente l’equazione di Schrödinger è l’espressione di punta nel campo della meccanica quantistica, la quale comunque considera eventi subatomici non intesi come eventi reali ma come una specie di “media statistica” di tutte e possibilità. Questa rappresenta la cossi detta “interpretazione di Copenhagen” della meccanica quantistica, ovvero la prima elaborazione di questa teoria (da parte del fisico teorico danese Niels Bohr), una teoria che ci aveva aperto le porte a un mondo di misterioso e profondo ma non direttamente conoscibile dai sensi umani. Ma la meccanica quantistica non si dimostrò solo essere una mera elaborazione matematica e astratta della realtà ma portò anche a esperimenti ancora più sconvolgenti della teoria stessa.

Tratto dal libro di Massimo Teodorani "Entanglement" (Macro Edizioni).

 

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