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I PROBLEMI DEI BAMBINI DOTATI

I bambini ad alto potenziale intellettivo sono quei bambini che hanno un’intelligenza superiore, una vivacità spiccata e una curiosità molto più elevata rispetto ai bambini della stessa età. Cosa succede se ci troviamo di fronte ad un bambino del genere? Siamo preparati ad accettarlo e a interagire con lui? La complessa realtà dei bambini ad alto e altissimo potenziale intellettivo è un ambito poco esplorato. Qual è l’atteggiamento della società nei loro confronti, quali sono i loro problemi?. Anche i bambini ad alto potenziale intellettivo possono avere difficoltà di inclusione a scuola, in particolare nella classe. A tali tematiche sarà dedicato il workshop “Bambini ad alto potenziale intellettivo. Ricoscerli e improntare una didattica adeguata” all’interno dell’ottava edizione del Convegno internazionale “La qualità dell’integrazione scolasrtica e sociale” Il convegno, promosso dal Centro Studi Erickson, rappresenta l’appuntamento più importante per chi si occupa di educazione in Italia.

Seguiamo la storia di Valerio M, bambino prodigio, figlio unico di una giovane biologa. A quattro anni Valerio dà lezioni di astronomia ai bambini di quinta elementare. Conosce perfettamente il mondo vivente ma è attratto in particolare dal mondo delle “macchine”. Legge appassionatamente i libretti di istruzioni sul funzionamento delle cose, gioca ed inventa storie con robot trasformabili e con l’aiuto della madre si cimenta in costruzioni complesse. All’ingresso in prima media Valerio è riconosciuto subito come talento. “Ha una preparazione scientifica di tipo universitario” commenta l’insegnante di scienze. Il bambino è amato dalla maggior parte degli insegnanti ed in particolare dal professore di Educazione tecnica, un chimico che discute per ore con lui come se si trattasse di un collega. Oltre la scuola, Valerio costringe la madre ad accompagnarlo ai convegni di fisica, astronomia e informatica che si tengono in città, ascoltando i relatori con estremo interesse e partecipando alla discussione finale con domande pertinenti. Fa un po’ tenerezza quella coppia madre-bambino che resta fino alla fine del convegno, quando la maggior parte del pubblico si è dileguata. Ma non tutti accettano quel bambino intelligente e curioso. La madre ascolta sgomenta le proteste dell’insegnante di italiano delle scuole medie: “Mi fa sempre troppe domande, vuole mettermi in difficoltà davanti a tutta la classe!”. Oppure: “Lo vedo sogghignare compiaciuto quando i compagni sbagliano una risposta”. E’ davvero cosi? In realtà Valerio ha compreso da tempo di essere diverso dagli altri.

Il bambino non ha vita facile neppure alle superiori. E’ diventato un ragazzone dai modi un po’ impacciati. Ma l’impaccio sparisce per incanto quando discute di fisica o intelligenza artificiale. Frequenta un liceo scientifico ad indirizzo informatico. Alla stima dei professori di fisica, chimica e matematica si contrappone la malcelata o manifesta derisione dei compagni. Talvolta applaudono e si alzano in piedi, in segno di scherno, quando la mattina il ragazzo entra in classe. Anche la madre è derisa o svalutata da alcuni parenti e colleghi di lavoro. “Tuo figlio sarà speciale, ma tu non lo sei affatto!” l’apostrofa una collega. I colloqui della madre con i professori del figlio sono velocissimi e a volte perfino brutali: “Lo sa che suo figlio è un genio dell’informatica?” le dice a bruciapelo l’insegnante di matematica. Oppure: “I colleghi mi descrivono suo figlio come un ragazzo brillante, ma nella mia materia questa brillantezza non si ancora manifestata!”, commenta stizzita l’insegnante di inglese.

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Oggi Valerio è un ingegnere informatico specializzato in sistemi intelligenti e informatica quantistica. Sta per ottenere il PhD in informatica, partecipa a congressi internazionali dove espone i risultati delle sue ricerche. Ogni tanto rivede i compagni di liceo, giovani tra i 27 e i 29 anni. Qualcuno si è “sistemato” con un lavoro fisso, altri si accontentano di quello che trovano. In mezzo a loro Valerio è sempre un “diverso”, non parla dei suoi studi, delle ricerche che sta portando avanti. Col tempo ha maturato un grande rispetto per tutte le professioni, anche le più umili. “Non tutti devono diventare scienziati”, spiega alla madre, quasi incredulo che a lui sia invece toccato in sorte un difficile ed incerto destino di ricercatore, qualcosa che dovrà costruire da sé con infinita pazienza giorno dopo giorno.

( Rosalba Miceli – La Stampa)

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